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da Vita on line dell'8 gennaio 2007

Foggia, gli schiavi dei campi ora rischiano l’epulsione

Vi ricordate gli schiavi sfruttati nei campi del foggiano, costretti a lavorare in condizioni disumane per la raccolta dei pomodori? C’è una novità che li riguarda: i 100 che hanno collaborato con le istituzioni per denunciare i loro sfruttatori ora rischiano di essere rimpatriati. A denunciarlo è un cronista della redazione de “La Repubblica” di Bari, che ha raccolto le storie dei clandestini-collaboratori di giustizia.

“Polacchi, africani, slavi: centinaia di immigrati clandestini che hanno trovato il coraggio di denunciare i loro caporali, presto potrebbero essere espulsi dall’Italia senza neanche un grazie. Il loro permesso di soggiorno per motivi di giustizia, la minima ricompensa per aver scelto di collaborare con la magistratura italiana, è in scadenza e potrebbe non essere rinnovato. Così i coraggiosi che hanno rotto il muro di omertà e si sono fidati delle nostre istituzioni, a febbraio rischiano di essere trattati come clandestini qualunque. La proposta di estendere le misure di protezione per i collaboratori, avanzata in agosto dal ministro dell’Interno Amato, è scomparsa dell’agenda politica nazionale”. Esordisce così il giornalista Paolo Russo nel pezzo denuncia pubblicato oggi nella sezione cronaca locale de “La Repubblica” di Bari.

“Eppure, anche se già nessuno si ricorda più di loro”, continua Russo, “quegli immigrati sono ancora qui. Sono ripiombati nel buio, come prima della scorsa estate, quando un’inchiesta dell’Espresso aveva raccontato all’Italia le loro storie di miseria e sfruttamento nelle campagne del Foggiano. Poi erano state indagini giudiziarie, blitz delle forze dell’ordine e dibattiti politici: un coro unanime di “Mai più”. Unica soluzione – si diceva – rompere il muro di omertà, spingendo gli extracomunitari a collaborare con la giustizia, a denunciare gli schiavisti”.
Denunce che ora gli stessi clandestini sarebbero disposti a ritrattare, se potessero tornare indietro.

“Adam non lo rifarebbe”, si legge ancora nell’articolo, “e neanche gli altri cento immigrati, per lo più africani, che come lui scelsero di collaborare con la giustizia e denunciare il loro sfruttatore: Salvatore Cassetta, un contadino andriese, senza partita Iva, ma con decine e decine di stranieri irregolari alle sue dipendenze. Allettati dalla promessa di un permesso di soggiorno e dalla voglia di riscatto, dopo un’estate di umiliazioni, Adam e suoi compagni lo denunciarono alla magistratura, che aprì un’inchiesta. Oltre cento nomi su quell’esposto. Appena settanta gli stranieri che hanno potuto cominciare il processo che avrebbe dovuto vederli tutti protagonisti: gli altri trenta sono stati espulsi. Perché il premio per il loro coraggio, il permesso (temporaneo) di giustizia è arrivato solo nel febbraio 2006, quando il loro caporale è stato rinviato a giudizio. E gli altri settanta “collaboratori”, presto potrebbero fare la loro stessa fine. A febbraio in molti prenderanno parte alla seconda udienza fissata dal tribunale di Trani: dopo l’Italia non avrà più bisogno di loro”.