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#FragileMosaico – Beirut al voto tra territori, religione ed etnie

Racconti dal viaggio della campagna overthefortress in Libano

Foto di Gloria Chillotti

Beirut – Mancano solo sei giorni al voto e lo si respira in ogni angolo di Beirut. I volti truci dei militari che ti scrutano dalle garitte col kalashnikov in mano fanno da contraltare ai sorrisi bonaccioni dei candidati che ti ammiccano dagli immensi cartelloni di propaganda. Ce ne sono di talmente grandi che coprono intere facciate di grattacielo. Altri, appesi a bandiera tra alti edifici sono forati scientificamente per impedire che la prima folata di vento se li porti via.

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Il Paese mediorientale torna a votare dopo nove anni di stallo. Una decisione “inevitabile” – stando perlomeno a come l’ha giustificata il primo ministro Saad Hariri – dovuta all’aggravarsi della crisi siriana ed al serio rischio di interferenze esterne.
Interferenze che, a dirla tutta, non sono certo una novità su questa sponda del Mediterraneo! La consultazione in programma domenica prossima, 6 maggio, vedono contendersi due principali schieramenti, il partito sunnita attualmente al potere e dichiaratamente filosaudita con appoggio dei cristiani, e la coalizione “8 marzo” di Hezbollah che fa riferimento a Teheran.

Gli elettori libanesi inoltre sono solo una ridotta percentuale di quanti risiedono in Libano considerato che né i “vecchi” profughi palestinesi dei campi né i “nuovi” profughi provenienti dalla Siria in fiamme che insieme, secondo fonti dell’Onu, coprono una percentuale che fra dal 30 al 40 per cento degli abitanti, ha diritto di voto. E nemmeno un qualsiasi riconoscimento di cittadinanza. Ufficialmente, per il Governo, nemmeno esistono. Meno reali di quei famosi cedri fenici che oramai non ci sono più ma che ancora compaiono nella bandiera nazionale e che ancora regalano al Libano l’appellativo di Paese dei Cedri.

Grafica di Gloria Chillotti
Grafica di Gloria Chillotti

Il primo gruppo della carovana di FragileMosaico è sbarcato all’aeroporto di Beirut nel primo pomeriggio. Eccoci ancora qui, #OverTheFortress, a gettare uno sguardo indagatore su quanto avviene sui confini e al di là dei muri della Fortezza Europa, dopo i viaggi a Idomeni, in Turchia, nel Kurdistan.

Ci accoglie Giovanni D’Ambrosio, torinese, studente di antropologia, da anni impegnato a studiare il fenomeno delle migrazioni. Abita nel quartiere cristiano maronita di Ashrafieh che si inerpica su una collina circondata da palazzoni che ti nascondono la vista del mare. Nell’82, al tempo della guerra dei Campi, quando l’esercito israeliano invase Beirut ovest, Ashrafieh era la roccaforte dei falangisti che furono gli autori dei massacri di Sabra e Chatila. “Le elezioni non sposteranno nessun equilibrio – ci spiega Giovanni -. Il sistema elettorale libanese non consente capovolgimenti di fronte di nessun genere. Ogni schieramento è legato ad una parte di popolazione. I cristiani maroniti votano per il partito dei cristiani maroniti, gli sciiti per gli sciiti, i drusi per i drusi e così via. Si sa già quanti deputati avrà questo o quel partito. Inoltre, le alte cariche come presidente della Repubblica, primo ministro o presidente della Camera vanno per legge a rappresentanti di diverse “confessioni”, per una questione di rappresentanza. Il solo gioco possibile è tutto sugli equilibri interni di ogni partito e sule figure forti che ne usciranno“. Questo è il motivo per cui tutti i cartelloni di propaganda raffigurano persone e non simboli elettorali. L’etnia insomma determina l’appartenenza politica e questo certo non giova al dibattito politico che, di fatto, non esiste.

Camminando per Ashrafieh, non possiamo non notare le tantissimo statue di madonne e santi cristiani, disseminate ad ogni angolo. La devozione popolare qui, non c’entra nulla. E’ solo un modo, violento, per alzare muri e marcare il territorio, che fa da contraltare alle bandire verdi che sventolano sulle finestre dei quartieri sciiti. Un po’ come i cani che fanno la pipì agli angoli delle loro strade.
Giovanni ha una borsa di studio dell’università di Torino per uno scambio culturale e lavora con l’associazione palestinese Beit Atfal Assumoud che ha l’obiettivo di contrastare con la cultura e l’educazione il dilagare dell’integralismo tra le fasce più disagiate e povere della società.
Ma di questo racconteremo meglio nelle prossime puntate.

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Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.