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#FragileMosaico – Beirut dopo il voto. Il trionfo di Hezbollah

Racconti dal viaggio della campagna overthefortress in Libano

Foto di Gloria Chillotti

Beirut. Scontri, tensioni e denunce di brogli hanno movimentato le elezioni della capitale libanese. Elezioni svoltesi nel segno dell’astensione e che hanno visto trionfare gli opposti estremismi: gli sciiti di Hezbollah, che ottengono più della metà dei seggi in palio, ed i filo falangisti del Free Patriotic Movement (Fpm).

Domenica, durante l’apertura dei seggi, le operazioni di voto si sono svolte in maniera abbastanza tranquilla, grazie anche ad un imponente dispiegamento di forze militari, dislocate nei punti più “caldi” delle piazze letteralmente rivestite di bandiere e manifesti. Nella vigilia del voto, alcuni sostenitori erano rimasti gravemente feriti durante una sparatoria tra opposte fazioni sunnite della capitale. Il lunedì dedicato allo spoglio, la situazione è rimasta tranquilla sino alla sera, a parte qualche centinaio di attivisti e, soprattutto, attiviste femministe che sono scesi in piazza per manifestare contro presunti brogli. La nottata è stata più calda. Dal sud sono arrivate varie centinaia di miliziani di Hezbollah in moto che hanno cominciato a “festeggiare” la vittoria nella sola maniera che i sostenitori del partito di Dio conoscono: smitragliando a destra e manca.

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Ma il dato principale di queste elezioni è la bassa affluenza. Appena il 49,2 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne. Un astensionismo visibile sin nei primi dati di affluenza che aveva annunciato al partito sunnita del primo ministro in carica, Saad Hariri, l’arrivo di una cocente sconfitta. Tanto è vero che lo stesso Hariri, nel pomeriggio di domenica, aveva inutilmente tentato far di prolungare di un paio di ore le operazioni di voto ed aveva ordinato ai suoi sostenitori di inscenare rumorosi caroselli con le auto sino alla chiusura delle urne, per spingere gli indecisi a votare.

Come era prevedibile, la bassissima affluenza ha pesantemente penalizzato il partito di Governo il cui elettorato gli ha fatto pesare scandali, corruzione, l’inefficienza di servizi pubblici come la raccolta delle immondizie e la fornitura elettrica (per tre ore al giorno, Beirut rimane sempre al buio), senza considerare la subalternità in politica estera, le troppe concessioni ai maroniti e l’incapacità di affrontare problemi reali del Paese come quelli legati alla presenza di un milione di profughi.
Le urne hanno premiato gli integralisti islamici sciiti e i loro alleati cristiano maroniti del Fpm, che fanno parte della stessa coalizione. Un risultato che il quotidiano libanese Al-Akbhar, allineato a Hezbollah, ha salutato pubblicando nell’edizione di lunedì l’immagine di un Hariri dall’espressione bastonata sotto il titolone: “Lo schiaffo“.

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Da segnalare anche la sospetta bocciatura di una delle poche candidate che hanno avuto il coraggio di parlare di politica in un clima in cui i violenti richiami a Dio, Patria e Famiglia avevano più spazio dei problemi reali del Paese. Joumana Haddad, giornalista e scrittrice, femminista dichiarata, tanto da essere stata dichiarata “persona non gradita” in alcuni Paesi arabi per il suo sostegno alle lotte per l’emancipazione femminile, si era presentata nel partito Li Baladi, in lizza con la coalizione Kull Watani, uno dei pochi schieramenti libanesi capace di andare oltre gli steccati del confessionalismo religioso. La Haddad sembrava eletta al primo conteggio, quello fatto dal partito di appartenenza, e anche al secondo conteggio, eseguito dai partiti oppositori. Se non che la nuova legge elettorale prevede un terzo conteggio di “garanzia” – così è stato definito – ad opera del Governo. Durante questa operazione, è arrivato un crash quanto meno sospetto del sistema informatico. Dopo l’inevitabile reset, il nuovo conteggio ha assegnato il seggio ad un rappresentante del Free Patriotic Movement! E questo è solo uno dei circa 7300 casi di sospetto broglio elettorale segnalati da osservatori indipendenti verificatesi domenica.

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Ma cosa cambierà ora ai piani alti del Governo con la vittoria di Hezbollah?
La risposta giusta è: niente. L’ipotesi più plausibile infatti, e la più gettonata da tutti i commentatori, è che venga rinnovato l’incarico proprio allo sconfitto Hariri. E questo perché la Costituzione stabilisce che il primo ministro debba essere forzatamente un sunnita. Inoltre, il nuovo sistema elettorale, che il parlamento libanese ha approvato dopo essersi auto rinnovato l’incarico per una legislatura (sono nove anni che non si vota in questo Paese) ha introdotto una complicatissima correzione proporzionale che non permette capovolgimenti di fronte. I risultati, in altre parole, erano già scritti in anticipo. Tanto rumore (di mitra) per nulla.

Ciò che non sarà più come prima, invece, è il ruolo del Paese dei Cedri in quel Fragile Mosaico che è il Medio Oriente. Il peso dell’Iran, storica mandante di Hezbollah, d’oggi in poi sarà ancora più determinante in Libano, e, l’ipotesi lanciata da Hariri di disarmare e sciogliere le milizie armate di Hezbollah, che nel sud del Libano fanno il bello e cattivo tempo, e normalizzare il Paese, perlomeno da un punto di vista militare, tramonta definitivamente. La possibilità di un intervento armato di Israele è quindi sempre più consistente. Tra i sionisti, la sindrome dell’accerchiamento è una malattia congenita e la cura che si somministrano è sempre quella servita dall’esercito della Stella di Davide. Nei maggiori media israeliani, i commentatori marciano già su una sola equivalenza: Libano uguale Hezbollah. E la storia sembra tornare indietro di 36 anni.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.