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Francia – Calais zona di crisi umanitaria

In aprile, in continuità con la politica di chiusura e di espulsione dal territorio francese – da Sarkozy nel 2002, Sangatte, a Hollande nel 2014, Calais – la Prefettura aveva evacuato con la forza gli immobili abbandonati e occupati dai migranti in città, poi costretti ad accamparsi nelle vicinanze di un centro d’ “accoglienza” diurno, aperto dalle 11 alle 20, per potersi lavare, curare e ottenere un pasto al giorno. Dopo tre mesi la situazione è degenerata in crisi umanitaria.

Nell’immensa bidonville alla periferia di Calais che ospita circa 3.000 migranti è arrivata un’unità di soccorso sanitario mobile di Médecins du monde, un intervento in un contesto simile a quelli che vengono attivati nelle situazioni d’urgenza provocate da catastrofi umanitarie. Dalla scorsa settimana, nell’area della discarica trasformatasi in accampamento, arrivano i camion carichi di pacchi alimentari o di prima necessità e di taniche di plastica vuote per permettere agli abitanti della bidonville di avere una riserva di acqua. A Calais è difficile trovare cibo, medicine e accesso all’ acqua potabile.

Il Soccorso cattolico interviene con una bonifica e un cantiere per costruire spazi collettivi, un’operazione definita di “riqualificazione abitativa” , il Soccorso islamico francese distribuisce il cibo, Solidarités internazionale è sbarcata per la sua prima missione in Francia con un team di specialisti che installano servizi igienici, la distribuzione dei pacchi di prima necessità e la raccolta rifiuti. In Francia, diversamente da altri territori segnati da una catastrofe umanitaria, non ci sono interlocutori locali, dell’amministrazione o del governo a cui rivolgersi per chiedere un aiuto logistico o economico per una popolazione che è diventata un flusso continuo di presenze e di partenze.

L’urgenza individuata dalle ONG internazionali è quella di assicurare la sopravvivenza fisica degli accampati, un dovere del governo francese a cui l’intervento umanitario organizzato si è sostituito. La situazione di abbandono e di degrado è dunque peggiore che nelle zone di crisi umanitaria a cui siamo abituati a pensare: un accesso d’acqua ogni 1000 persone quando la norma di soccorso internazionale ne impone un minimo di 1 ogni 250 persone. E non esistono al momento dei servizi igienici.

I migranti, formalmente e regolarmente respinti, dispersi e resi “invisibili“, si raggruppano da sempre in piccoli accampamenti oppure occupano edifici abbandonati in centro o alla periferia delle città, a Calais in particolare per via della frontiera franco-britannica, dove si erano installati gruppi che potevano variare tra le 500 e 700 persone. Rifugi urbani lungo le rive di fiumi, negli angoli di piazze o di parchi, nelle aree lasciate al degrado o nei cantieri fermi, spazi creati dai migranti. Luoghi occupati e autorganizzati per la sopravvivenza in assenza di assistenza e riferimenti pubblici,
frequentati anche da vicini e da residenti solidali. Ne esistevano una decina tra Calais e Dunkerque, alcune situazioni erano molto precarie, altre seguite dai comitati o collettivi locali erano dei veri e propri riferimenti per le reti di migranti. Si era creata una “Piattafoma di Servizi ai Migranti” composta d auna ventina di associazioni locali ma oggi, alcune di queste associazioni, a fronte dell’involuzione delle politiche europee sull’immigrazione, vengono coinvolte dalla Prefettura per organizzare l’evacuazione, il trasferimento e l’espulsione dei migranti. Questo avviene con la minaccia dell’espulsione violenta in assenza di “mediazione” e di “incarico” a registrare, preparare delle liste per la selezione di chi ha diritto o no all’asilo ma anche all’accoglienza in generale.

Una parte associativa per evitare conflitti e preservare un rapporto con la realtà dei migranti ha accettato le condizioni imposte dalla Prefettura il cui scopo e quello di allontanare e di controllare la massa dei migranti in un campo distante dalla città.

I motivi logistici (“lavorare meglio e più efficacemente”) servono a facilitare la selezione sulla base di nazionalità, éta, sesso, situazione familiare. Nello spazio del ‘campo’ le auto della polizia circolano in continuazione, uno dei lati confina con i bordi dell’autostrada, recinto da un’alto reticolato metallico, corridoio che si forma con la barriera già costruita dall’altra parte dell’autostrada. La polizia staziona all’entrata della bisonville e ferma tutti i migranti che escono e si avvicinano alla strada per portarli al centro di detenzione amministrativa (CRA). L’operazione “umanitaria” maschera il dispositivo di controllo e di sicurezza dei migranti.
Ma la separazione violenta tra migranti e abitanti della città, come la marginalizzazione delle associazioni locali, è una catastrofe nella catastrofe.

Nelle piccole strutture di accoglienza, o negli immobili occupati intervenivano le associazioni locali di solidarietà e di sostegno ai migranti ma la dimensione di ‘campo’ di 18 ettari con 3000 persone che si prevede diventeranno 5000 entro breve tempo, non è gestibile dalle piccole organizzazioni che aiutano rifugiati e profughi di passaggio in Francia. Il numero dei migranti è aumentato dopo lo sgombero della bidonville della Chapelle e le successive persecuzioni contro i migranti a Parigi.

Dal 28 giugno un centinaio di migranti siriani organizza un presidio permanente nella piazza centrale di Calais per chiedere di “poter presentare una domanda di richiesta di asilo” in Gran Bretagna, sono stati malmenati dalla polizia e mandati via con tiri di lacrimogeni mentre chiedevano alle autorità francesi di poter partire dalla Francia.