Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Le Monde diplomatique di giugno 2008

Francia, i sans papiers scendono in sciopero

Primo maggio con nuovi protagonisti

di Olivier Piot

I distintivi “CGT” e “Droit devant” (“Confederazione generale del lavoro” e “Diritti prima di tutto”, ndt) hanno dato un’aria inedita al corteo parigino del Primo maggio di quest’anno. Quasi cinquemila lavoratori sans papiers hanno animato la sfilata delle tradizionali bandiere sindacali e politiche. Maliani, senegalesi, ivoriani…finora, eravamo abituati ad incrociare i loro volti neri africani nelle mobilitazioni particolari degli stranieri che vivono nel nostro paese. Adesso, eccoli nella manifestazione più simbolica della classe operaia francese.

Chi sono dunque queste migliaia di uomini e donne che reclamano la regolarizzazione, e che in quasi settecento, sostenuti dalla Cgt hanno scatenato scioperi in una dozzina di imprese dell’Ille-de-France, il 15 aprile 2008, e in altre ventitré siti il 20 maggio? Si tratta di cuochi, carpentieri, manovali, manutentori, stagionali, impiegati in settore come quello alberghiero, la ristorazione, l’edilizia, la sicurezza, le nettezza urbana, l’agricoltura o i servizi alla persona.
Con il denominatore comune di essere lavoratori salariati (hanno contratti o buste paga) che pagano le tasse e i contributi salariali. Comune anche il metodo “ I padroni non controllano al momento del impiego – racconta un lavoratore edile maliano. Basta presentare i documenti di un cugino o di un amico, o addirittura documenti falsi che costano dai 300 ai 500 euro”.

Quanti si trovano in questa situazione? “Non foss’altro che per evidenti ragioni di sopravvivenza, la grande maggioranza degli stranieri lavorano, in un modo o nell’altro. Le centinaia di lavoratori in sciopero nell’Illes-de-France sono solo l’avanguardia di altre centinaia di migliaia di loro”, spiega Jean-Claude Amara, responsabile dell’associazione “Droit devant! Secondo alcune associazioni, come il Groupe d’information et de soutien de immigrés (Gisti, Gruppo di informazione e sostegno agli immigrati), il Comité inter-mouvement auprès des èvacuès (Cimade, Comitato inter-movimenti a sostegno degli evacuati) o ancora Uni(e)s contre une immigtation jetable (Ucij, Uniti/e contro un’immigrazione “usa & getta”), in Francia si contano nel 2008 tra i trecentomila e i seicentomila lavoratori sans papiers.

Sebbene i salari dichiarati da questi lavoratori (tra i 1.000 e i 1.400 euro al mese) si avvicinino al salario minimo inter-professionale di crescita (smic), essi nascondono un numero incalcolabile di ore straordinario non pagate. Tanto che alcuni sans papiers lavorano per 3,80 euro l’ora, per settimane che possono arrivate a sessanta ore! “Il padronato sa bene che questi lavoratori sono costretti ad accettare condizioni di lavoro che i francesi rifiuterebbero – sottolinea l’ispettore di lavoro Gèrard Fioche. Ore non pagate, licenziamenti abusivi, mancati pagamenti dei congedi e delle indennità, lavoro notturno o nel fine settimana: siamo in settori in cui il diritto di lavoro è mortificato”.

La delegazione interministeriale per la lotta contro il lavoro illegale (Dilti) stima che la percentuale di infrazioni imputate all’”impiego di stranieri senza contratto di lavoro” sia quasi raddoppiato in Francia tra il 2004 e il 2006 (14,8% contro 8,4%). Secondo un’inchiesta dell’Acoss-Urssaf (2) sul settore alberghiero e della ristorazione, sono stati constatati casi di lavoro illegale nel 25% dei 7.123 ristoranti esaminati, e la proporzione passa al 61% nell’Ille-de-France. “Siamo in una pura logica di flessibilità e di profitto – conclude Filoche. E la globalizzazione stavolta non c’entra, perché i settori coinvolti sono gestiti da gruppi francesi che investono sul territorio nazionale, senza concorrenza internazionale.”

Per Amara, tale “vergognoso sfruttamento” si verifica nell’”ipocrisia generale”: “lo stato percepisce le tasse dai sans papiers, gli enti ricevono i contributi salariali e i padroni utilizzano le loro braccia in piena cognizione di causa”. Dall’inizio del movimento, numerosi imprenditori posti sotto la luce dei riflettori avevano dichiarato di ignorare che alcuni dei loro dipendenti avessero documenti falsi. “E’ possibile qua e là per qualche piccolo imprenditore isolato – riconosce Patrick Soulinac, responsabile della sezione sindacale Sgt del VII e VIII arrondissement di Lione. Ma la maggioranza di loro lo sa molto bene. Abbiamo dossier che mostrano lavoratori che sulla busta paga appaiono con quattro nomi diversi…”

Dal canto suo, Francine Blanche, segretaria confederale della Cgt, ritiene che la portata di questo movimento oltrepassi la nozione di “moderna schiavitù”. I lavoratori sans papiers, spiega, sono i “delocalizzati di imprese non delocalizzabili”. L’espressione ha merito di sottolineare che i “vantaggi competitivi” non sono appannaggio solo di paesi in cui si praticano bassi salari . Poiché non si può immaginare di delocalizzare un ristorante, un cantiere o un posto di sorveglianza, il padronato ricrea qui le condizioni di un mercato del lavoro al ribasso assumendo lavoratori resi più vulnerabili dal loro “status” di sans papiers. Questa logica di “delocalizzazione sul posto” si collega ad un lavoro sommerso che caratterizza una parte non trascurabile del lavoro dipendente francese.

Inoltre, il ricorso a questi “delocalizzati dall’interno” progredisce e si diversifica. Poiché è entrato in funzione un nuovo meccanismo: la prestazione transnazionale dei servizi (Pts). Questa forma di contrattualizzazione consiste dell’utilizzare in Francia lavoratori dipendenti di imprese straniere che li distaccano nel quadro di una missione. Nella sua inchiesta sulle condizioni di lavoro nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici (Btp), Nicolas Jounin cita casi di imprese straniere (polacche, portoghesi, ecc.) che spediscono la manodopera per lavorare in Francia. La sociopolitologa Béatrice Mésini segnala il caso di operai ecuadoriani regolarizzati in Spagna e “in missione” in Francia come stagionali agricoli. Questa forma di “subappalto transnazionale” presenta diversi “vantaggi”: i salari sono versati dal imprenditore straniero, che nel suo paese paga contributi sociali generalmente inferiori che in Francia. E questa manodopera “distaccata” non ha bisogno di documenti francesi per lavorare in Francia.

Se questi mutamenti di fondo attraversano alcuni settori dell’economia francese già da diversi anni, perché la mobilitazione dei sans papiers avviene solo ora? “E’ una questione di maturità – commenta Violaine Carrère, ricercatrice al Gisti. Dopo la lotta degli stranieri privati del diritto d’asilo alla metà degli anni Ottanta, abbiamo vissuto le occupazioni delle chiese (Saint-Bernard…) alla fine degli anni Novanta. Questi due movimenti hanno permesso di superare l’immagine dello straniero “clandestino” verso la nozione del “sans papiers”, nella stessa logica dei “senza casa” o dei “senza lavoro””.

Nell’estate del 2006, il movimento guidato dal Rèseau èducation dans frontières (Rete di educazione senza frontiere, Tesf) ha permesso agli stranieri di “non essere più percepito come sagome inquietanti ed anonime. La lotta contro l’espulsione dei bambini nelle scuole ha dato volti, nomi e percorsi di vita agli stranieri”. Con la mobilitazione dei lavoratori sans paiers, “i francesi si accorgono all’improvviso che lo straniero lavora e assolve ai suoi obblighi di dipendente”.

Un altro fattore spiega quest’ultima trasformazione della lotta degli immigrati per i loro diritti. “Nell’estate del 2006, i nuovi testi del governo hanno mutato il contesto” sottolinea Raymond Chauveau, segretario generale del sindacato locale Cgt di Massy (Essone) e fondatore del movimento. Con la soppressione nel 1974 del diritto al permesso di soggiorno sulla base del lavoro, lo stato francese ha incitato gli stranieri a cercare la regolarizzazione ricorrendo al diritto d’asilo, alla situazione familiare (1978) o allo status di studente (1993). Reintroducendo due anni fa la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno sulla base del lavoro (la legge “relativa all’immigrazione e all’integrazione” del 24 luglio 2006), Nicolas Sarcozy contava di subordinare tale diritto alla sua dottrina dell’”immigrazione selezionata”. Ha quindi fissato la quota di riaccompagnamenti alla frontiera a 26.000 per il 2008 (1.000 in più rispetto al 2007) e ha annunciato l’aumento dei posti nei centri di trattenimento.

Nel luglio del 2007, la morsa si chiude. Un decreto del governo obbliga gli imprenditori a segnalare i loro dipendenti senza documenti con la minaccia di una multa di 15.000 euro e cinque anni di prigione. Il testo fa scalpore. Ma negli ambienti padronali, stavolta. “Ho visto arrivare piccoli imprenditori sconvolti nei locali di Droits devant!” ironizza Amara. Dal canto suo, la Cgt registra le denunce di “migliaia di sans papiers licenziati dalle loro imprese”. Il 20 novembre 2007, la legge Hortefeux (relativa al controllo dell’immigrazione, all’integrazione e all’asilo”) annuncia una lista di 150 professioni cosiddette “in tensione” (quelli che trovano pochi candidati all’assunzione). Essa verrà seguita dalla famosa circolare del dicembre 2007 che limita solo a 30 i mestieri “qualificati” riservati agli immigrati dei paesi terzi (esterni all’Unione europea). Infine, una nuova circolare del gennaio 2008 “precisa nero su bianco che la regolarizzazione è possibile a partire dalla presentazione del foglio di paga dei dipendenti impiegati nei mestieri “in tensione””, commenta Chauveau.

Il governo si aspettava che il padronato, insoddisfatto dal decreto del luglio 2007, presentasse esso stesso le sue richieste alla prefettura? Cgt e Droit devant! si infilano bella breccia. Nello stesso febbraio, in un ristorante dell’Avenue de la Grande-Armèe viene organizzato uno sciopero. Sette cuochi vengono regolarizzati. Alla fine di aprile, il sindacato deposita mille richieste di regolarizzazione nelle prefetture dell’Ille-de-France. Dieci giorni dopo, le richieste di oltre cento scioperanti vengono soddisfatte.

Certamente il movimento dà fastidio. Non solo alla maggioranza, che pensava di aver chiuso il capitolo dell’immigrazione. Ma anche una parte del Cgt, scossa dalla mobilitazione e accusata da un collettivo di sans papiers(la Coordination 75) di aver depositato “solo” mille richieste di regolarizzazione.

Perché, da parte loro, i “delocalizzati all’interno” sono determinati. “Non abbiamo più molto da perdere – sottolinea uno scioperante africano dell’impresa Millenium d’Igny (Essone). Scioperando e partecipando alle assemblee, sappiamo ciò che rischiamo. Ogni sans papiers che esce dall’ombra si espone e può essere espulso in ogni momento. Ma sono anni che usciamo ogni giorno con la paura di essere arrestati e rimpatriati. Allora, tanto vale lottare!”.

Per la prima volta in tre anni, la politica condotta nei confronti degli stranieri viene sconfitta. Il governo, ostile ad ogni forma di “regolarizzazione di massa”, dall’inizio del movimento si attesa sulla sua posizione: le richieste verranno esaminate “caso per caso”, a dispetto delle proteste e… di alcuni responsabili delle associazioni imprenditoriali. Ma questa posizione diventa insostenibile per Sarcozy. “E’ una regola che alimenta la massima arbitrarietà– spiega Patrick Peugeot, responsabile della Cimade. Di fronte ai bisogni reali dell’economia francese, lo stato dovrà prima o poi scegliere la regolarizzazione sulla base di criteri trasparenti”.