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Gambia – L’esistenza migliore in Italia e il rischio che il rimpatrio comporterebbe una violazione dei diritti umani del richiedente giustificano la protezione umanitaria

Corte d'Appello di Trieste, sentenza n. 318 del 29 giugno 2018

Il Collegio, facendo uso corretto delle regole che disciplinano l’onore della prova nella materia della protezione internazionale, ha accertato la credibilità del ricorrente.
La Corte ha preso atto che le COI attestano il “gravissimo sovraffollamento, l’inadeguatezza dell’assistenza medica e anche dell’alimentazione nelle prigioni del Gambia, considerata la particolare condizione soggettiva del richiedente per il fatto che ha lasciato il Gambia ancora nel luglio 2013, in età particolarmente giovane (non aveva ancora compiuto diciotto anni) e ha vissuto fuori dal suo Paese per molti anni (dei quali un anno in condizioni di grave difficoltà e in Libia, dove ha subito anche un lungo periodo di carcerazione); dopo la sua partenza il padre è morto, come da lui riferito alla Commissione, per cui è venuto meno anche quel legame familiare con il Paese di origine; egli è in Italia dal 2015 e qui sta compiendo un percorso di integrazione sociale, attestato dai documenti prodotti, relativi alla partecipazione a un laboratorio di orticultura dal luglio al novembre 2016 (doc.4 fascicolo primo grado del ricorrente) e a un laboratorio teatrale di integrazione, con cinquanta ore di lezione e due spettacoli nel luglio 2017 (doc.5 stesso fascicolo)” ed ha rinviato alla “Cass. 4455/2018 per la ricostruzione della disciplina della protezione umanitaria“.

Il Collegio ha quindi riconosciuto la protezione umanitaria, “ eseguendo la valutazione comparativa indicata dalla Cassazione tra la situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, rapportata alla sua specifica condizione personale, rispetto alla vita nel paese di accoglienza ” per cui: “ non si configura soltanto un’esistenza migliore in Italia, ma una condizione individuale e concreta che giustifica il rientro posticipato, in quanto allo stato attuale il rimpatrio sottoporrebbe l’appellante al rischio di violazione dei suoi diritti umani ”.

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Corte d’Appello di Trieste, sentenza n. 318 del 29 giugno 2018