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Gelo. Report da Ventimiglia

Di Amelia Chiara Trombetta e Antonio G. Curotto

Foto di Amelia Chiara Trombetta

Partiamo all’ora di pranzo. Non c’è molto tempo questa volta, ma abbiamo appena ricevuto una donazione di farmaci.

Soprattutto vogliamo andare a verificare se, con l’arrivo delle temperature invernali, ci sono persone abbandonate all’addiaccio e quante sono.

Purtroppo, la realtà supera ampiamente le nostre previsioni. Giunti in prossimità della ferrovia in via Tenda, osserviamo dall’alto un gran numero di persone in piccoli gruppi, alcuni vicini ad un fuoco, altri che entrano negli anfratti del ponte. Accanto a noi passa un ragazzo in maglietta e pantaloni corti. Sono le 16.30, il sole sta per tramontare e la temperatura si sta abbassando rapidamente.

Ci avviciniamo al primo gruppo di persone a livello della chiesa di Sant’ Antonio ormai silenziosa e spenta. Chiediamo se hanno bisogno di aiuto e informiamo che siamo medici: sono un gruppo di persone sudanesi, presentano malattie evidenti dell’apparato respiratorio, scabbia e traumi da percorsi accidentati in montagna. Abbiamo con noi una confezione di crema anti scabbia galenica e forniamo una dose in bicchieri di plastica con l’indicazione della necessità, prima di iniziare la terapia, di ottenere un cambio completo di vestiti, forniti al momento da una solidale incontrata. Poiché tale situazione si riproporrà più volte, nel nostro percorso invitiamo le persone visitate a rivolgersi l’indomani all’Infopoint Eufemia (nella speranza che abbia abbastanza vestiti).

Visitiamo circa una trentina di persone, in prevalenza assoluta, come già detto, affette da problemi respiratori, che nelle condizioni attuali non possono che complicarsi nonostante le terapie da noi fornite.

Il problema è evidente, a chi abbia occhi e cuore, circa 300 persone sono abbandonate all’addiaccio con temperature che al momento della nostra partenza sono di circa 5 gradi e nella notte saranno ancora più rigide. Sono in prevalenza sudanesi, eritrei spesso minorenni, ma con la presenza anche di pakistani e di persone provenienti dall’Africa subsahariana, si aggirano con vestiti inadatti, avvolti in coperte e intorno a bracieri di fortuna. Incontriamo, anch’essa sdraiata ed avvolta da coperte, una ragazza eritrea al quinto mese di gravidanza che si rifiuta assolutamente di recarsi nel campo della Croce Rossa. Non parla inglese, alcune persone che ha conosciuto a Ventimiglia ci dicono che ha 17 anni, ha finito i soldi ed è sola.

Peraltro, un ragazzo eritreo “ospite” del campo della Croce Rossa, con una ferita al piede, ci dice che, anche lì dorme in una tenda e quindi ha ugualmente molto freddo.

Parliamo con molti minorenni. Un ragazzino di 15 anni eritreo e un altro di 17. Diciamo loro di cercare di entrare in contatto con l’avvocatessa spesso presente presso l’infopoint Eufemia. Per il più piccolo, proviamo a capire se abbia qualche parente che vuole raggiungere in Europa, ma ci risponde che non ha nessuno: no family. Vuole andare in Inghilterra.

Un altro ragazzo eritreo ci chiede se parliamo inglese. Non vuole assistenza sanitaria, ma dirci soltanto che quel posto è terribile e che lui ha bisogno di andare a scuola, di lavorare, di mandare soldi alla sua famiglia – ha 22 anni.

Raggiungiamo, ormai al buio e tra i vari fuochi accesi, il piazzale davanti all’entrata del cimitero. C’è più di un centinaio di persone. L’organizzazione francese Un gest pour tous sta fornendo la cena: una lunga fila, si mangia seduti per terra. Sullo sfondo il cellulare della polizia. Dopo aver chiesto a varie persone se hanno bisogno di noi e visitato dapprima un gruppo di pakistani e quindi un numeroso gruppo di persone sudanesi, aiutati nella traduzione da un ragazzo che parla inglese molto bene, ci accorgiamo della presenza di una famiglia con 2 bambini. La madre è vestita con una giacca leggera, i bambini saltellanti ci salutano stringendoci le mani nelle loro, gelate. Vengono raggiunti da un volontario dell’organizzazione francese e si allontanano per andare a cercare nel loro furgone qualche indumento più pesante.

Incontriamo sulla via del ritorno un amico solidale sudanese. Ci conferma che da quando la chiesa di S. Antonio ha chiuso, le donne e le famiglie ormai dormono lungo il fiume. Afferma di aver più volte tentato di indurre queste persone con bambini a trovare rifugio nel campo della Croce Rossa. Almeno per coloro che sono stati già identificati tramite le impronte digitali nel luogo di sbarco. Il campo Roia, come più volte denunciato, è inadeguato ed illegale nella gestione ed accoglienza soprattutto dei minori e delle donne, ma se non altro in questa situazione di urgenza può fornire un luogo coperto. Comunque la diffidenza è troppa, il diniego è assoluto.

Ritornando in via Tenda troviamo aperta la saracinesca dell’infopoint Eufemia. Ci sono due giovani solidali spagnoli. Li informiamo che abbiamo indicato a diverse persone di recarsi domani da loro per il cambio di abiti e per il freddo intenso. Ci informano di avere un po’ di abiti, non molti.

Durante il viaggio di ritorno l’angoscia è grande.

Poco riusciamo a fare e ci chiediamo se sia possibile una presa di coscienza della società civile, almeno ora. In questa situazione di vera urgenza, le istituzioni latitano completamente, anzi la nuova ordinanza del sindaco che vieta la somministrazione del cibo ai migranti, emessa per la terza volta, cristallizza l’indecente espressione del potere.

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