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Germania, dove l’onda di rifugiati è una risorsa (e non un problema)

Francoforte – Cosa succede a quei rifugiati siriani, eritrei e iracheni che sfuggono alla morte nel Mediterraneo e/o a un rimpatrio forzato a sud?

Nella stragrande maggioranza dei casi, la risposta si trova a ovest della Germania, negli agglomerati urbani attorno al Reno e il meno: è qui, dove l’economia più performante del mondo è di casa, che è stato ricevuto, selezionato, ripulito e sistemato quello che è probabilmente il numero più elevato di profughi di guerra africani e asiatici.

Nessun altro paese ospita una percentuale più elevata di richiedenti: solo lo scorso anno, la Germania ha ricevuto (e accettato nella sua gran parte) 173.000 richieste di asilo, un terzo del totale europeo e più del doppio della Svezia, che occupa il secondo gradino del podio. Il Canada ne ha accolti 13.000 e altri 16.000 sono attesi quest’anno. È dagli anni ’90, tristemente noti per le sanguinose guerre balcaniche, che la Germania non ospitava un così elevato numero di rifugiati: all’epoca accolse circa 438.000.

A differenza del Canada, dove i rifugiati sono accolti e supportati perlopiù da famiglie e opere di carità, il governo tedesco classifica i suoi richiedenti asilo e, in base alle loro qualità e caratteristiche, seleziona il luogo più adatto al loro stanziamento. Solitamente le città con un’economia ben consolidata ricevono il maggior numero di persone. 
Questa settimana la cancelliera Angela Merkel ha esortato i 27 stati membri dell’Unione europea a imitare questo sistema, ma fino ad ora le risposte sono state gelide. 

Per contro, i cittadini e politici tedeschi accolgono questi migranti con tranquillità e persino ottimismo. 

Sebbene agli inizi di quest’anno vi siano stati brevi ritorni di fiamma nelle politiche anti immigrazione (sviluppatisi principalmente nell’area dell’ex Germania est, dove la percentuale di cittadini stranieri è quasi nulla rispetto al resto del paese), è opportuno sottolineare come gli stessi si siano rapidamente estinti.

Ed è anche per questo che anche i rappresentanti dei diritti dei rifugiati si dicono sorpresi dell’accoglienza per la maggior parte positiva riservata ai loro assistiti.
Con le parole di Zerai Kiros Abraham, un ex rifugiato eritreo ora direttore di Project Moses (un rifugio per richiedenti asilo a Francoforte): “Sono meravigliato da quanto è cambiato questo paese. Fino a qualche decennio fa un’immigrazione simile avrebbe creato un clima di rabbia e sfiducia, ma oggi non sento altro che parole di benvenuto per i nuovi rifugiati: i cittadini stanno dimostrando grande apertura”.

Olaf Cunitz, vicesindaco di Francoforte e responsabile del settori alloggi e pianificazione, sostiene che i rifugiati siano oggi visti dai tedeschi non più come un problema, bensì una soluzione: “è abbastanza insolito vedere quanto gli abitanti qui a Francoforte siano molto, molto sensibili al problema dei rifugiati. Al momento non abbiamo riscontrato alcuna resistenza allo stanziamento di profughi nei vari quartieri, da nessuna parte. La gente dice di aver bisogno di persone nuove e che necessitino del nostro aiuto. Siamo una città ricca, siamo in grado di gestire questa situazione”
Questo atteggiamento è più visibile che mai a Gelnhusen, piccola e semplice cittadina a est di Francoforte: i funzionari sperano che i 2500 rifugiati che accoglieranno quest’anno siano la risposta alla loro forza lavoro sempre più anziana e sempre più ridotta. In particolare, i Siriani potrebbero essere la soluzione ideale: tendenzialmente di ceto medio e in possesso dei titoli di studio e delle capacità tecniche di cui è in cerca l’economia locale.

“Averli qui è senz’altro meglio che doverci recare presso le loro comunità di origine a cercarli. C’è carenza di manodopera e il trend demografico della zona è piuttosto negativo, ecco perché abbiamo bisogno di persone nuove. Una regione rurale come questa di solito non attrae i migranti” sostiene Susanne Simmler, presidente del consiglio regionale.

E’ stato senz’altro positiva l’abolizione delle politiche di esclusione dei rifugiati dalla ricerca di posti di lavoro: generazioni di migranti sono state abbandonate al bighellonaggio nelle piazze e nei centri commerciali, relegandoli ai margini della società ed esasperando una visione negativa del migrante in generale, privando al contempo la Germania di una forza lavoro di cui aveva disperatamente bisogno. Ora invece è possibile lavorare dopo soli 3 mesi di permanenza, anzi: molti comuni e privati premono Berlino perché i tempi di attesa vengano ridotti.

Tuttavia, quest’ottimismo può essere di breve durata: i rifugiati, a differenza degli immigrati comuni, hanno spesso più difficoltà nell’assestamento, in quanto difficilmente conoscono la lingua del paese ospite, né hanno i risparmi e le connessioni necessarie per avviarsi al mondo del lavoro, e sono spesso profondamente traumatizzati. Per il momento, la grande domanda, in tutto il paese, è dove poterli ospitare tutti. Molti vivono in migliaia di container adibiti a rifugi dallo Stato, che oltre a danneggiare il paesaggio, tendono a diventare quartieri degradati o slums.

Marion Schmitz-Stadtfeld, alto funzionario della grande società pubblica di alloggi NH, progetta di costruire centinaia di migliaia di “NH Homies” da integrare nei quartieri residenziali già esistenti: moduli abitativi consistenti in prefabbricati di legno a due piani, isolati e progettati per l’efficienza energetica e, soprattutto, riutilizzabili come idee per alloggi per studenti o anche condomini. Non sono pochi i funzionari ad aspettarsi che almeno due terzi dei rifugiati siriani tornino in patria una volta conclusasi la guerra.

C’è di più che avere semplicemente un alloggio, ma anche di più rispetto all’avere una casa: si tratta di sviluppare una cultura dell’accoglienza”.
C’è da dire che in questo momento sembra sia ciò che sta veramente accadendo.