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Giornata mondiale del rifugiato: meglio se fuori dall’UE

Su entrambi questi fronti ci sembra che molto lavoro rimanga da fare. In questi giorni sono in programma numerose iniziative organizzate per spiegare chi sono queste persone, da dove vengono e perché fuggono, per presentare i progetti che, con i magri finanziamenti del Ministero dell’Interno, alcuni comuni italiani aderenti al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati hanno messo in piedi, con un numero di posti finanziati insufficienti rispetto alle presenze stimate: circa 10.000 domande nell’anno 2006 a fronte di 2350 posti che rimangono invariati da anni.
Ma le convenzioni che obbligherebbero gli stati a tutelare chi fugge da persecuzioni e guerre sono per lo più applicate parzialmente dai paesi che le hanno firmate.

Diritto di asilo in Italia: alcuni dati

In Italia non esiste ancora una legge organica in materia di asilo e non è possibile trarre un bilancio definitivo sulle modifiche apportate nella procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato dalla Legge Bossi-Fini e dal decreto di attuazione. I tempi di riconoscimento dello status di rifugiato si sono accorciati rispetto a quelli della precedente procedura, ma, in alcune Commissioni, già l’attesa è diventata di mesi.
La Redazione di Melting Pot si è più volte pronunciata sugli aspetti critici delle modifiche normative e chiede, in occasione del 20 giugno, meno dichiarazioni da parte di Ministri e Sottosegretari e più azioni concrete:
– una legge organica sull’asilo improntata a criteri di accoglienza, tutela dei diritti e riconoscimento reale di quanto sancito dalla Convenzione di Ginevra;
– abolizione del trattenimento per richiedenti asilo in attesa della risposta della Commissione;
– annullamento della misura che rende l’espulsione eseguibile anche in presenza di ricorso avverso diniego;
– aumento della accoglienza in modo da garantire a tutti i (pochi) richiedenti e rifugiati in Italia la possibilità di essere inseriti in progetti di accoglienza, tutela legale, insegnamento della lingua italiana, e inserimento lavorativo.

Oltre a mancare una legge organica, in Italia non esistono nemmeno dati sulla presenza di richiedenti asilo, sul numero di domande presentate e sulle decisioni in merito al riconoscimento dello status.
Secondo le stime dell’UNHCR le domande di asilo presentate in Italia sarebbero state circa 10 mila: coloro che chiedono il riconoscimento dello status sono per il 20% provenienti dall’Eritrea, per l’8% dalla Nigeria e il 6% del Togo.
Secondo quanto riportato dal CIR, Consiglio Italiano per i Rifugiati, le domande esaminate nel 2006 sarebbero circa 9.400, delle quali il 60% avrebbero ricevuto risposta positiva, cioè riconoscimento dello status o della protezione umanitaria. I riconosciuti rifugiati sarebbero il 9%.

La politiche europea in materia di asilo

Da quando asilo e immigrazione sono entrate a far parte del primo pilastro con il Trattato di Amsterdam nel 1999, divenendo quindi di competenza comunitaria, è in atto una progressiva uniformazione delle legislazioni degli Stati dell’Unione Europea in materia.
L’Italia, dopo aver recepito con un anno di ritardo la direttiva in materia di norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, che abbiamo commentato, deve ancora recepire la direttiva sulle norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, peraltro criticata da associazioni che operano nella tutela del diritto di asilo.

Ma quali le tendenze in Europa?
Il numero di richiedenti asilo che arriva in Europa, sarebbe forse più appropriato dire che riesce ad arrivare in Europa è in continuo calo, le domande presentate nel 2006 sono il 10% in meno rispetto a quelle del 2005, secondo i dati dell’UNHCR – vedi documento in allegato – che, aggiunge, dimostrano numeri in calo per il quinto anno consecutivo.
Principalmente provengono dall’Iraq, dalla Cina, dalla Serbia e Montenegro e dalla Federazione Russa. Per capire come si spiega questo calo, a fronte di un aumento delle persone che fuggite da guerre e persecuzioni sono aiutate dall’agenzia ONU per i rifugiati, può forse aiutarci quanto riferito dal portavoce dell’UNHCR William Spindler a proposito dei profughi iracheni: “Lo scorso anno, gli iracheni hanno presentato circa 22mila domande d’asilo nei paesi
industrializzati. Sebbene significativa, questa cifra appare irrisoria se confrontata ai circa 2 milioni di iracheni che sarebbero presenti in Siria, in Giordania e in altri paesi del Medio Oriente. Rappresenta ugualmente meno della metà delle 52mila domande d’asilo presentate dagli iracheni nel 2002 – prima dell’invasione e del successivo collasso della situazione della sicurezza in Iraq.
Dato che non si può obiettivamente descrivere la situazione in Iraq come migliore oggi rispetto a com’era nel 2002, perché il numero dei richiedenti asilo iracheni in Europa e negli altri paesi industrializzati è ancora così basso?
Questa la risposta che suggerisce Spindler: “I difensori dei rifugiati ritengono che il motivo principale risiede nelle politiche restrittive dei numerosi paesi industrializzati, che rendono molto difficile per i potenziali rifugiati entrare in questi paesi e, se comunque ci riescono, li dissuadono dal richiedere asilo. Di conseguenza, dopo aver fatto una propria analisi dei rischi e dei benefici, può darsi che i rifugiati abbiano rinunciato al tentativo di venir riconosciuti come tali. Se così fosse, allora vorrebbe dire che il sistema di protezione dei rifugiati costruito con tanta fatica all’indomani della seconda guerra mondiale comincia a mostrare segni di cedimento.”
Sicuramente chi fugge trova sempre più ostacoli burocratici al riconoscimento del proprio status e spesso pochi benefici, come chi arriva in Italia, dove difficilmente trova qualcuno ad aiutarlo e dove si troverà a scontrarsi con la difficoltà di poter esercitare la propria professione o a far riconoscere i propri titoli di studio, ma certamente la guerra dichiarata dai paesi dell’Unione Europea e dalla UE ai migranti senza documenti ha una larga parte di responsabilità sul calo degli arrivi.
L’estate è appena cominciata e già arriva notizia di naufraghi non soccorsi, di paesi che, lamentando le scarse risorse, non permettono ai barconi di scaricare il loro carico umano di disperazione e di rimpatri che si trasformano in tragedie.
L’immagine degli uomini aggrappati alle reti dei tonni, lasciati per tre giorni e tre notti senza soccorso, ci pare significativa. Si è scritto che erano eritrei, probabilmente in fuga da un regime dittatoriale che ha scarso rispetto per i diritti umani, e questo ci dà qualche indizio sul calo degli arrivi, ma francamente poco aggiunge alla tragica gestione dei flussi migratori che caratterizza anche l’attuale governo italiano.

E se non si può ignorare chi naufraga, o respingere chi ha già messo piede in territorio italiano, si possono comunque effettuare respingimenti verso paesi che non hanno firmato la convenzione di Ginevra e che sono da anni al centro delle polemiche per le violazioni dei diritti umani, come la Libia, con la quale l’Italia ha stipulato accordi bilaterali mantenuti segreti nonostante il cambio di governo e che hanno causato violazioni di diritti umani denunciate da Human Right Watch, di cui abbiamo dato notizia nell’articolo L’esternalizzazione del controllo dei flussi migratori: il caso Libia.

Anche quest’anno per i rifugiati ci pare vi sia poco da celebrare.

Elisabetta Ferri, Redazione Melting Pot