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Giungla di Calais: un anno dopo lo sgombero, una normalizzazione incompiuta

Photo credit: L'Auberge des Migrants

21 ottobre 2017

Alla fine d’ottobre 2016, lo Stato francese trasferiva in qualche giorno 7.400 migranti dalla giungla” di Calais in dei centri di accoglienza nelle varie regioni. Ciononostante, un anno dopo, centinaia di esiliati vivono qui nella precarietà, in un clima di fermezza da parte delle autorità pubbliche in materia di migrazione.

Prendere un biglietto per la doccia alle 9h15”: il cartello in inglese è ancora appeso al cancello del vecchio centro di accoglienza Jules ferry. Su un muro, un tag “Jangil” ricorda la bidonville sparita ormai da un anno. Ad un centinaio di metri, le ruspe si attivano per una riconversione ecologica del sito, dove alcune rondini protette hanno già fatto il loro nido.

Il 24 ottobre 2016, di prima mattina, centinaia di sudanesi, afgani ed eritrei aspettavano in fila con le loro valigie davanti alle porte di un hangar trasformato in stazione di bus in occasione dello sgombero. L’inizio di un’incessante processione durata tre giorni. Non verso l’Inghilterra, come sognavano alcuni, ma verso dei centri di accoglienza ed orientamento (CAO) più vivibili rispetto al fango che rappresentava la quotidianità della “giungla”, costruita un anno e mezzo prima.

Il personale umanitario aveva dato l’addio ai migranti che salivano sui bus e, allo stesso tempo, l’addio è stato fatto alla convivenza di comunità diverse.
Per le 7.400 persone andate nei CAO (5.450 adulti, più di 1.900 minori orientati verso dei centri specializzati), l’evacuazioneè andata bene, le persone erano impazienti di essere accolte altrove in Francia”, ricorda Christian Salomé, presidente de l’Auberge des migrants.

Un anno dopo, il 42% dei migranti che hanno chiesto l’asilo l’hanno ottenuto, il 7% è stato rifiutato ed il 46% è in attesa di una decisione definitiva. Il resto dei migranti fa parte di altri progetti rispetto all’asilo, secondo l’Ofii (Ufficio francese per l’immigrazione e l’integrazione). Tra i minori, solo 515 hanno potuto raggiungere l’Inghilterra.

«Tabula rasa»

Lo Stato evidenzia anche il bilancio della sicurezza. Il prefetto Fabien Sudry sottolinea che “la pressione migratoria è nettamente diminuita: oggi ci sono circa 500 migranti (600-700 secondo le associazioni, NDLR) in confronto agli 8.000 di un anno fa”.
Inoltre, «non ci sono più occupazioni abusive, né campi di fortuna, né d’intrusioni nell’Eurotunnel», i tentativi di salire sui camion “sono diminuiti di 3.5 volte sulla tangenziale”, sulla quale sono stati installati solo 27 posti di blocco notturni nel 2017.

«Continuo a pensare che fosse necessario sgombrare la giungla, è stato un successo, un modello di collaborazione tra lo Stato e le associazioni», aggiunge Stéphane Duval che dirigeva il centro Jules Ferry per conto dell’associazione La vie active, partner dello Stato.

Tuttavia, «c’é stato qualcosa d’incompiuto perché lo sgombero ha suonato la campanella della fine degli alloggi d’emergenza”, dice rimpiangendo il fatto che Bernard Cazaneuve, allora Ministro degli interni, non abbia rispettato la promessa di riaprire un centro a Calais.

E’ quello che pagano oggi i migranti, secondo l’opinione di una dozzina di associazioni che dipingono «una situazione umanitaria particolarmente catastrofica». Da novembre 2016, supportate da un rapporto del difensore dei diritti (Défenseurs des droits) di giugno, queste associazioni hanno puntato il dito contro la pressione della polizia che, dispiegata in gran numero, impedisce ai migranti di dormire, confisca i loro averi e utilizza gas lacrimogeni.

«Lo sgombero è consistito nel fare tabula rasa di tutti i dispositivi esistenti e nel mettere in atto una politica totalmente securitaria”, denuncia Vincent De Coninck del Secours catholique.

«Precarietà sanitaria»

Senza contare la precarietà sanitaria che persiste davanti alle resistenze dello Stato per installare punti d’acqua e docce per paura di un nuovo “punto di installazione” a Calais.

L’ONU ha giudicato «preoccupante che circa 700 migranti a Calais e nei suoi dintorni possano contare temporariamente su solo 10 toilette mobili e 10 rubinetti”.

Una situazione che s’iscrive in un giro di vite più ampio. La commissione nazionale consultativa dei diritti dell’uomo (CNCDH) denuncia le “reticenze” dello Stato ad applicare la legge a Calais, le “molestie” delle forze dell’ordine e le “violenze” contro i migranti, obbligati a spostarsi continuamente, “soprattutto a Parigi, a Calais e nella valle della Roya”. Correndo il rischio, secondo lei, di contribuire a “nutrire un sentimento di xenofobia”.

Al confine franco-italiano, cinque ONG tra cui Amnesty, Medici senza frontiere e il Secours catholique denunciano delle violazioni “inammissibili” dei diritti dei migranti che si vedono respinti e non possono quindi richiedere l’asilo.

Lo Stato fa una netta distinzione tra questi migranti «economici » e i rifugiati che hanno ottenuto l’asilo. Per quest’ultimi, “vorrei che accogliessimo in maniera esigente e conforme ai nostri valori”, ha affermato mercoledi Emmanuel Macron, ma “che riconduciamo in maniera ferma le persone che non hanno un titolo”.

Davanti ad un’opinione pubblica spesso vista come timorosa, ad un’Europa che predica la più grande fermezza, “la posizione dello Stato è coerente sul piano politico”, dichiara Stéphane Duval. Ma “non lo è sul piano umano perché ci sono delle persone per strada che bisogna aiutare”.