Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Gli Enti Locali e le difficoltà di governo dei processi migratori

Di Paolo Fasano

Premessa

Le ultime vicende in merito alla diversità di prassi adottate dai Comuni della nostra Regione in applicazione delle nuove norme sull’idoneità alloggiativa per ricongiungimento familiare meritano una riflessione su come venga oggi declinato l’attuale assetto dell’ordinamento fra Stato, Regioni e autonomie locali e ricondotta ad unità la necessaria autonomia degli enti territoriali minori. Sono sempre più frequenti contraddizioni e conflitti all’interno delle istituzioni locali, in particolare tra servizi che partecipano a procedimenti amministrativi per l’accesso a diritti e prestazioni da parte di cittadini stranieri. Le conseguenze possono essere devastanti sul piano dell’uniformità e certezza del diritto e rivelarsi nel tempo molto negative per la coesione sociale e l’autorevolezza delle istituzioni.

Non possiamo rassegnarci a bandi per l’assegnazione della case popolari che modulano l’accesso dei cittadini stranieri in modo profondamente contraddittorio da un comune all’altro o ad adempimenti obbligatori per il cittadino straniero che in un comune prevedono il normale tributo in bolli ed in quello contiguo ben altri costi, come pare stia avvenendo per l’idoneità alloggiativa. Queste situazioni rappresentano una parodia del federalismo ed un elemento di grave disgregazione territoriale e sociale che oltretutto aggrava le già pesanti condizioni di soggiorno a cui sono sottoposti oggi i cittadini stranieri. Tale deriva può essere contrastata solo se vi è uno sforzo comune per ricondurre ad unità le diverse dinamiche, spesso contraddittorie, che nascono e si alimentano a livello locale, e nelle quali si fronteggiano tensioni che possiamo definire centripete e centrifughe.

Proviamo allora a ricostruire alcuni dei processi, tuttora in atto, che possono essere ritenuti responsabili dell’attuale situazione.

Le politiche per l’immigrazione

Il dlgs. 286/98 delinea sin dall’inizio una governance fortemente strutturata in senso verticale per le politiche per l’immigrazione, finalizzate all’inserimento ed all’integrazione dei cittadini immigrati, Nel testo infatti sono numerosi i riferimenti alle Regioni e agli Enti Locali e sono previsti diversi organismi di coordinamento per le politiche per l’immigrazione. La Commissione per le politiche di integrazione (art. 46), la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie (art. 42) e a livello locale i Consigli territoriali per l’immigrazione (art. 3) sono organismi nei quali siedono i rappresentanti delle Regioni e degli Enti Locali. Questi organismi si occupano, come abbiamo detto, soprattutto, di politiche per i cittadini migranti con compiti di analisi e promozione di interventi, sia a livello nazionale che locale.

Motore centrale appare l’istituzione del Fondo nazionale per le politiche migratorie destinato in larga parte – l’80% del fondo – a finanziare gli interventi annuali e pluriennali attivati dalle Regioni nonché dagli Enti Locali. Le Regioni redigono programmi di durata massima triennale sulla base delle linee guida impartite con decreto dal Ministro della solidarietà sociale, d’intesa con la Conferenza Unificata Stato, Regioni e autonomie locali. Partecipano inoltre al finanziamento di tali programmi con risorse proprie per una quota non inferiore al 20% del totale e successivamente relazionano al Ministero sullo stato di attuazione degli interventi previsti nei programmi, sulle misure da adottare per migliorare le condizioni di vita degli stranieri sul territorio, sulle risorse impegnate e i risultati perseguiti.

Le politiche dell’immigrazione

Meno articolata si presenta la governance, quando la legge tratta della programmazione delle quote di ingresso nonché dei rilasci / rinnovi dei titoli di soggiorno e delle autorizzazioni all’ingresso.

Il dlgs. 286/98 affida allo Stato la gestione “solitaria” delle politiche dell’immigrazione, intese come disciplina e regolazione degli ingressi, delle autorizzazioni di soggiorno e delle sue proroghe. Fino al 2002 il Governo emana “in perfetta solitudine” i decreti flussi annuali, che definiscono le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per motivi di lavoro. Solo il documento di programmazione triennale, che individua i criteri generali che presiedono alla definizione delle politiche di ingresso e di integrazione dei cittadini stranieri, viene predisposto dal Presidente del Consiglio dopo aver ascoltato anche la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e la Conferenza Stato, città e autonomie locali.

Per la gestione della posizione amministrativa del cittadino straniero sul territorio nazionale, attraverso i rilasci e i successivi rinnovi dei titoli di soggiorno, non vi è invece alcuna forma di coordinamento o di condivisione delle problematiche fino all’anno 2006, restando esclusiva la competenza e la funzione amministrativa in capo agli uffici periferici dello Stato, in primis la Questura cui subentra successivamente, in alcuni procedimenti, lo Sportello Unico per l’Immigrazione.

La riforma del titolo V della Costituzione e l’immigrazione

Nello stesso periodo accade in Italia qualcosa di molto importante: dal 1997, con le cd. “Leggi Bassanini”, viene avviato un processo riformatore che aumenta notevolmente le competenze regionali, tanto legislative quanto amministrative.

Questa impostazione più regionalistica e autonomistica giunge a conclusione nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione che stabilizza, sottraendola ai cambi di maggioranza parlamentare, una nuova configurazione sia dei rapporti tra Stato e Regioni che delle autonomie territoriali (1). Viene capovolto il criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, in quanto sono assegnate alle Regioni tutte le materie che non sono affidate espressamente alla competenza dello Stato (2). Le Regioni hanno quindi una potestà generale su ogni materia non espressamente riservata allo Stato ed una potestà concorrente (3) su tutte le materie elencate al comma 3 dell’art. 117 cost. Si tratta di settori importanti che interessano la vita concreta delle persone.

In base all’art. 117 della cost. sono quindi attribuite alle Regioni una serie di materie strettamente connesse anche con la condizione di cittadino immigrato in Italia, titolare di rapporti giuridici e potenziale beneficiario di prestazioni e servizi.

L‘immigrazione e la condizione giuridica dello straniero rimangono invece sottoposti alla competenza esclusiva dello Stato (4), che mantiene su questa materia anche il potere regolamentare e le funzioni amministrative, normalmente attribuite ai Comuni.

La prima conseguenza è che mentre il governo del territorio, l’istruzione, la programmazione sociale, la tutela della salute, la tutela e la sicurezza del lavoro sono materie su cui, dopo la riforma costituzionale del 2001, le Regioni esercitano una competenza concorrente o esclusiva, i processi migratori, che possono influire fortemente sugli equilibri locali di un territorio, vengono sottratti al governo locale e sottoposti all’autorità statale.

La necessità di una migliore collaborazione tra Stato e Regioni

Qui iniziano i problemi. Come ben sappiamo, i flussi migratori si caratterizzano per le improvvise e repentine accelerazioni, ad elevata concentrazione spazio – temporale, con pesanti ricadute sui territori e sulle loro politiche. Il movimento migratorio, che sia per lavoro o per riunione familiare, di un consistente numero di cittadini, è necessariamente portatore di una serie di istanze individuali e familiari di welfare ed espone i territori locali ignari a imprevedibili rischi di squilibri sociali, economici e a conflitti di comunità.
Questi rischi possono essere superati solo tenendo strettamente collegate le politiche dell’immigrazione con quelle per gli immigrati, ma non accade. Negli anni, anzi, con l’aumento della popolazione immigrata, questa divaricazione tra politiche dell’immigrazione e politiche per gli immigrati diventa sempre più evidente.
Dall’anno 2002 vi è un’inversione di tendenza nelle politiche per l’immigrazione: lo Stato riduce progressivamente il proprio intervento, smantellando consulte, commissioni e fondi, ed esse finiscono per ricadere quasi interamente sulle Regioni e gli Enti locali. Il Dipartimento delle politiche sociali, dipendente dalla Presidenza del Consiglio viene accorpato al Ministero del lavoro, con una struttura fortemente orientata alle politiche per il lavoro più che a quelle sociali. Il Fondo nazionale per le politiche dell’immigrazione viene ridotto da 56,8 milioni di euro del 2001 ai 39,3 milioni del 2002 e successivamente confluisce nel Fondo indistinto per le politiche sociali, trasferito alle Regioni e agli Enti locali, senza distinguere le politiche dedicate agli stranieri da quelle indistinte a favore di tutti i beneficiari di politiche sociali. Sono le Regioni poi a scegliere sulla loro destinazione e il ministero non può più svolgere le sue funzioni di indirizzo e monitoraggio della spesa (5). I fondi vengono ridotti drasticamente anche negli anni successivi, come conseguenza dei tagli operati alla spesa pubblica (6). La spesa complessiva a sostegno dell’immigrazione nel periodo 2002 – 2005 diminuisce nonostante raddoppi la popolazione straniera e malgrado Regioni ed Enti locali cerchino di compensare con risorse a carico dei propri bilanci i tagli, superiori al 50%, dei finanziamenti provenienti dai fondi nazionali (7).

Infine la Commissione per le politiche di integrazione non viene più rinnovata quando scade nel 2001 e la Consulta degli immigrati passa dal ministero della solidarietà sociale sotto la responsabilità del Dipartimento per le pari opportunità, finendo in un lungo oblio.

Questo processo di ridimensionamento dell’intervento statale non viene supportato da forme di coordinamento con le politiche dell’immigrazione, in modo da consentire alle Regioni e agli Enti Locali di partecipare attivamente anche al governo dei processi migratori, e non solo di subirne le implicazioni sociali ed economiche nei propri territori. Ecco perché inizia a farsi strada tra i dirigenti delle amministrazioni regionali e locali la consapevolezza che non sia più procrastinabile un collegamento più efficace tra le politiche dell’immigrazione e le politiche per gli immigrati, necessario per un governo più equilibrato dell’immigrazione. “In futuro occorrerà tuttavia lavorare maggiormente su di una correlazione tra la gestione dei flussi migratori e le politiche di accoglienza ed integrazione sociale: nel senso che sta aumentando l’accesso degli immigrati ai servizi di welfare (sanità, scuola, casa, sociale, ecc) ed occorre pertanto evitare il prodursi di una frattura sociale soprattutto tra le fasce più povere della popolazione. Coniugare i flussi migratori con le politiche di integrazione rappresenterà in futuro uno degli elementi centrali delle politiche di coesione sociale e di prevenzione dei conflitti raccomandate anche dall’Unione Europea”. È quanto sostiene Andrea Stuppini, il quale dirige il Servizio Politiche per l’Accoglienza e l’Integrazione sociale della Regione Emilia Romagna (8).

D’altra parte è la stessa riforma costituzionale – art. 118 c.3 cost. – a richiamare la necessità per l’immigrazione di una legge statale che disciplini forme di coordinamento tra Stato e Regioni (9).

Allo stato dei fatti il legislatore ha risolto questa esigenza con l’istituzione del Comitato per il coordinamento e il monitoraggio (10), all’interno del quale sono presenti rappresentanti delle Regioni ed esperti designati dalla Conferenza unificata Stato – Regioni ed autonomie locali e la previsione che vengano sentiti, prima dell’emanazione del decreto flussi, sia il Comitato che la Conferenza Unificata (11).

Dobbiamo chiederci allora se l’istituzione ed i poteri del Comitato di coordinamento e di controllo, insieme con il rilancio dei Consigli territoriali dell’immigrazione, che si sono caratterizzati per lungo tempo come organismi pletorici e troppo ampi per poter incidere efficacemente sulle problematiche locali connesse ai bisogni degli immigrati, possano realizzare quel coordinamento invocato dall’art. 118 cost., oppure se il modello di governo dell’immigrazione disegnato dal dlgs. 286/98 appaia superato e non più in grado di interpretare le dinamiche in atto nei processi politici – istituzionali. Se le criticità evidenziate nei paragrafi precedenti siano gestibili in nome della “leale collaborazione tra Stato e Regioni” oppure diventi necessario ragionare su un nuovo modello di governance dell’immigrazione, alla luce di questo processo di riassetto dell’ordinamento fra Stato, Regioni e autonomie locali.

Una maggiore consapevolezza dei processi federalistici in atto

A sostegno dell’ultima ipotesi vi sono almeno altre 2 importanti ragioni: i contenziosi che negli ultimi anni hanno caratterizzato, in parte, i rapporti tra Stato e Regioni nella specifica materia e l’indisponibilità del dato amministrativo relativo al fenomeno migratorio da parte degli enti locali.

Mi riferisco in primo luogo alle sentenze della Corte Costituzionale n. 300/2005, 156/2006 e 50/2008 con le quali è stato possibile dirimere contrasti sorti in merito a leggi regionali sull’immigrazione (dell’Emilia – Romagna e del Friuli Venezia Giulia), impugnate, in tutto o in parte, dallo Stato che le riteneva lesive delle proprie competenze, e a fondi statali vincolati, istituiti dalla legge finanziaria per le politiche per l’immigrazione, impugnati dalle Regioni (Lombardia e Veneto) in quanto incidenti su materie di competenza regionale (12).

E infine alle gravi difficoltà che incontrano i Comuni che vogliono programmare gli interventi di mediazione culturale, dei servizi sociali o di prevenzione, per l’assenza dei dati relativi ai flussi migratori ovvero per il ritardo con cui ne vengono in possesso, quando il fenomeno si è già manifestato in tutta la sua forza. La gestione della posizione amministrativa dei cittadini stranieri è uno strumento importante per le politiche del territorio, necessario affinché l’Ente Locale possa monitorare in tempo reale l’evoluzione locale del movimento migratorio. Solo in questo modo i comuni possono restituire efficacia alle politiche del territorio (scuola, sicurezza, accoglienza), messe in crisi anche e soprattutto dalle repentine trasformazioni dei fenomeni migratori. Il dato anagrafico non appare sufficiente in quanto l’iscrizione anagrafica può avvenire anche molto tempo dopo l’ingresso regolare in Italia oppure non accadere, essendo molto diffuso il fenomeno della domiciliazione in alternativa alla residenza.
Il deficit informativo rischia di rivelarsi un handicap gravissimo, anche perché su questo aspetto l’interesse del mondo politico appare limitato, se non completamente assente, quando invece uno sforzo tutto sommato modesto in termini di risorse consentirebbe di migliorare ulteriormente la qualità della documentazione statistica sulla componente regolare del fenomeno, con ovvie ed importanti ricadute positive sul processo decisionale a tutti i livelli”(13).

Nel 2006, l’ANCI e il Ministero degli Interni hanno avviato una sperimentazione nazionale con l’obiettivo di predisporre un modello alternativo di gestione dei rilasci/rinnovi dei permessi di soggiorno. Si è cercato di avviare un processo di condivisione tra Stato ed Enti Locali delle problematiche relative alla gestione amministrativa delle posizioni giuridiche dei cittadini immigrati (14), in una prospettiva di trasferimento di specifiche competenze ai Comuni.

Questa sperimentazione triennale ha consentito agli enti territoriali minori di rafforzare, sotto il coordinamento dell’ANCI, una capillare rete di assistenza al cittadino straniero nelle procedure relative al rilascio/ rinnovo dei titoli di soggiorno, ma siamo ancora lontani da una gestione condivisa sul piano amministrativo del fenomeno migratorio.

Se quello delineato è il quadro attuale sono allora comprensibili le spinte locali alla gestione dei fenomeni migratori ed appare evidente il rischio di un federalismo domestico, del tipo “fai da te”. L’esplosione di micro conflitti a livello locale e la variabilità delle risposte da parte dei territori sono fenomeni che possono essere contenuti solo se investiamo nella costruzione di un tessuto comune dell’apparato amministrativo locale anche su questa materia dal ridondante significato simbolico. Esso non va dato per già esistente ma va invece costruito con la convinzione che da qui passa un pezzo del senso di appartenenza alla comunità e il rafforzamento della coesione sociale nel nostro territorio. Esemplare è la vicenda del decreto legislativo 30 del 2007: non si è trattato solo di un passaggio, seppur rilevante, di una funzione amministrativa dalle Questure alle Anagrafi dei Comuni, con alcune significative innovazioni di carattere amministrativo, ma di fatto ha costretto l’apparato amministrativo a confrontarsi sul piano delle prassi e dei procedimenti, con normative e istituti giuridici dell’Unione Europea e a compararli con quelli tradizionali presenti nel nostro ordinamento. Gli operatori locali non sono stati chiamati semplicemente a proseguire una gestione ma necessariamente hanno dovuto creare nuove prassi nel solco di una rinnovata cultura amministrativa.

Note

(1) La nuova architettura istituzionale che appare delinearsi è quella di un ordinamento policentrico nel quale, accanto allo Stato e alle Regioni, viene riconosciuta pari dignità agli enti territoriali minori (Comuni, Province, Città Metropolitane), in quanto elementi costitutivi della Repubblica, pur nella diversità dei poteri – Principio di “Pari dignità costituzionale in posizione”.

(2) Principio della “Residualità a favore delle Regioni della competenza legislativa”

(3) Concorrente nel senso che lo Stato definisce la “cornice” dei principi fondamentali all’interno della quale le Regioni esercitano poi la potestà legislativa – Art. 117 c. 3 ultimo capoverso: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.”

(4) Il termine “immigrazione” per la prima volta con la riforma fa ingresso nella nostra carta costituzionale (è una conseguenza dell’inversione del criterio di riparto delle competenze tra Stato e Regioni) ma resta sottoposta alla competenza esclusiva dello Stato (Art. 117 c.2 cost.), nel solco di una diffusa esperienza costituzionale (Austria, Spagna, Germania) – Il “referendum sul federalismo”, schede di lettura del testo che modifica il titolo V della parte II della Costituzione, sottoposto a referendum il 7 ottobre 2001 – Senato della Repubblica – Servizio Studi – Ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali.

(5) “Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi” – L. Einaudi pagg. 355 e ss.

(6) Dai dati della Corte dei Conti emerge che i finanziamenti per le politiche a sostegno dell’integrazione degli immigrati calano da 63 milioni di euro nel 2002 a 29 milioni di euro nel 2004, e nel 2005 vi è un’ulteriore riduzione dovuta al dimezzamento del fondo nazionale per le politiche sociali, utilizzato anche per le politiche per gli immigrati.

(7) Da un’inchiesta del Sole 24 Ore su 6 regioni italiane dal titolo “Fondi sempre più scarsi. Politiche sociali: i finanziamenti statali assorbiti dal contrasto agli ingressi illegali. Le risorse messe in campo dalle regioni non riescono a sopperire a tagli del 50%”.

(8) Intervento al Forum della Pubblica amministrazione sul tema “Le politiche delle Regioni per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati” – Rimini 2008

(9) L’altra materia è “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”

(10) Introdotto dalla legge 189 del 2002, nota come legge “Bossi Fini”, in vigore quindi dopo la pubblicazione della legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001

(11) In realtà il parere di questi organismi deve essere richiesto dal Governo solo se il numero di ingressi supera quello dell’anno precedente.

(12) Per un approfondimento vedi: Serena Baldin “La competenza esclusiva statale sull’immigrazione vs. la legislazione regionale sull’integrazione sociale degli immigrati: un inquadramento della Corte Costituzionale”; Francesca Biondi Dal Monte “La Corte Costituzionale torna sui fondi statali vincolati, con alcune novità in materia di immigrazione”; Davide Strazzari “L’immigrazione tra Stato e Regioni”

(13) C. Bonifazi, 2007, L’immigrazione straniera in Italia, ed. Il Mulino, pag. 194

(14) Sul piano amministrativo, l’immigrazione nasce in Italia come questione di pubblica sicurezza. Fino al dlgs. 286/1998, il testo di riferimento è infatti il TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza). Si tratta di norme approvate durante il fascismo, il cui regolamento di esecuzione viene addirittura promulgato un mese prima del coinvolgimento dell’Italia nel conflitto mondiale, e pertanto risentono non solo dell’ideologia autoritaria del regime fascista ma anche della particolare percezione dello “straniero” da parte di un Paese coloniale che sta entrando in guerra. Nel dopoguerra le norme vengono modificate con l’introduzione del permesso di soggiorno ma l’impostazione rigida e l’ampia discrezionalità amministrativa permangono. Inoltre l’assenza di una legge organica che collegasse l’autorizzazione a soggiornare a diritti riconosciuti, aveva nel tempo determinato un’incredibile produzione di circolari ministeriali che, nel tentativo di coprire il vuoto legislativo e in aperta violazione della riserva di legge prevista dall’art. 10 c. 2 cost., si sovrapponevano in modo non coerente, creando palesi contraddizioni di diritto e nelle prassi. Quando il fenomeno migratorio assume dimensioni rilevanti, negli anni ’80, diventa improcrastinabile la necessità di un intervento legislativo. In successione abbiamo la legge 943 nel 1986, la legge 39 del 1990, nota come legge Martelli, fino all’attuale decreto legislativo 286 del 1998, primo intervento legislativo organico nella materia. Il dlgs. 286 del 1998 completa l’abrogazione della normativa contenuta nel TULPS, iniziata con la legge Martelli, ma lascia alle Questure la funzione amministrativa di gestione dei rinnovi delle autorizzazioni di soggiorno al fine di garantirne l’esercizio unitario. Anche dopo la riforma del titolo V della costituzione le funzioni amministrative, normalmente attribuite ai Comuni (art. 118 cost.), per l’immigrazione restano in capo agli uffici periferici dello Stato.

Bibliografia
C. Bonifazi, 2007, L’immigrazione straniera in Italia

L. Einaudi 2008, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi

Il “referendum sul federalismo” – Schede di lettura del testo che modifica il titolo V della parte II della Costituzione, sottoposto a referendum il 7 ottobre 2001 – Senato della Repubblica – Servizio Studi – Ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali

“La competenza esclusiva statale sull’immigrazione vs. la legislazione regionale sull’integrazione sociale degli immigrati: un inquadramento della Corte Costituzionale” di Serena Baldin

“La Corte Costituzionale torna sui fondi statali vincolati, con alcune novità in materia di immigrazione” di Francesca Biondi Dal Monte

“L’immigrazione tra Stato e Regioni” di Davide Strazzari

Antonio Ruggeri – Carmela Salazar “Ombre e nebbia nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di emigrazione/immigrazione dopo la riforma del Titolo V”