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tratto da Punto informatico

Gli USA spingono la biometria di frontiera

Washington (USA) – Non si ferma l’amministrazione statunitense sul fronte del controllo biometrico delle frontiere ed anzi rilancia: ad un anno dall’inizio della sperimentazione che tanta attenzione ha suscitato, il Governo ha annunciato un sostanziale ampliamento delle infrastrutture di monitoraggio elettronico.

I 50 punti di accesso via terra più frequentati, sia dal Canada che dal Messico, sono stati dotati di quei dispositivi che consentono alla polizia frontaliera di infilare nel database federale i dati di chi entra nel paese.

In particolare il sistema, già adottato in via sperimentale, si basa sulla fotografia digitale dei volti, i cui tratti caratteristici vengono registrati per poter essere successivamente confrontati, e sulla mappatura dell’indice di entrambe le mani. L’idea è che incrociando queste diverse registrazioni biometriche si possano ridurre quasi del tutto errori di identificazione.

Ad annunciare la novità sono stati i funzionari del Dipartimento per la Homeland Security, divisione creata all’indomani dell’11 settembre, che ha lo specifico compito di rimediare a quei buchi nei sistemi di sicurezza che i sanguinosi attentati del 2001 hanno messo in luce.

Stando a quanto dichiarato, nell’ultimo anno i sistemi di identificazione biometrica hanno consentito alle autorità di confine di respingere o arrestare 372 individui su quasi 17 milioni di controlli. Si tratta di persone che in molti casi erano ricercate per crimini federali, perlopiù legati all’immigrazione clandestina. Il fatto che in nessun caso si sia verificato un arresto legato ad attività terroristiche, però, non viene letto come un mancato raggiungimento dell’obiettivo primario quanto invece come un successo per il buon funzionamento del sistema.

Secondo Asa Hutchinson, l’ormai celebre sottosegretario che guida la sicurezza frontaliera per il Dipartimento, il cosiddetto US-Visit (che sta per “U.S. Visitor and Immigrant Status Indicator Technology”) è infatti divenuto ormai “lo standard d’eccellenza in fatto di sicurezza e comodità”. La comodità viene legata dal Dipartimento al fatto che con i nuovi sistemi i tempi di attesa per l’ingresso sono scesi in alcuni casi del 50 o 60 per cento.

Entro la fine di quest’anno si prevede che anche i più remoti confini statunitensi saranno presidiati dai nuovi sistemi biometrici, così come accadrà per 115 aeroporti e 15 porti marittimi. Va detto che oggi sono pochi i messicani e i canadesi che vengono “scrutati” dai nuovi apparati, che si focalizzano invece sugli immigrati asiatici e sudamericani nonché su quelli europei provenienti dai paesi nei quali per l’accesso agli USA è richiesto un visto.

Ad ogni modo, Hutchinson non intende fermarsi qui. Nel mezzo della sperimentazione, lo scorso gennaio, il funzionario americano ha infatti iniziato a spingere per la creazione di un grande database federale degli stranieri, un progetto faraonico da sviluppare nel corso dei prossimi dieci anni per mettere insieme i dati finanziari, biometrici e di polizia ed integrarli dinamicamente nelle attività di controllo dei confini. Un progetto che si ritiene costerà, se portato avanti dall’amministrazione, almeno 10 miliardi di dollari.

Non tutti sono però convinti che US-Visit sia ciò che Hutchinson dichiara. Moira Whelan, membro democratico della Commissione parlamentare che vigila sulle attività del Dipartimento, ha proprio in queste ore messo l’accento sul fatto che l’intero programma ha fin qui pesato sulle casse del paese per 700 milioni di dollari senza, a suo parere, raggiungere gli obiettivi.