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Commento alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 254 del 6 luglio 2007

Gratuito patrocinio – Estenderlo all’interprete è un diritto

a cura dell' Avv. Marco Paggi

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 254 del 6 luglio 2007 si occupa del diritto di assistenza con patrocinio gratuito a spese dello Stato, che è generalmente riconosciuto nei procedimenti penali nel caso in cui l’imputato non abbia sufficienti mezzi di sostentamento; per l’appunto, con tale pronuncia viene riconosciuto in particolare il diritto degli stranieri ad essere assistiti non solo da un difensore di fiducia ma anche da un interprete di fiducia che possa permettere loro di partecipare effettivamente al processo penale.

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 254 del 6 luglio 2007 ha riguardato in particolare il giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 102 Dpr 30 maggio 2002 numero 115.
Si tratta del T.U, precisamente delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia che, mentre prevede la possibilità di ottenere un difensore di fiducia, come pure un consulente tecnico a spese dello Stato, con ammissione al gratuito patrocinio, non prevede invece la possibilità di nominare un interprete.

Si tratta di una vera e propria lacuna, rimessa al vaglio della Corte Costituzionale dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Venezia, per dirimere una questione che ha riguardato e riguarderà moltissimi immigrati che devono difendersi in un procedimento penale: infatti, nel caso in cui siano privi di sufficienti mezzi economici, essi sono stati sinora costretti ad assistere ad una sorta di spettacolo in lingua straniera, senza poter parteciparvi effettivamente –e nemmeno poter interloquire, di fatto, col proprio difensore- benché fossero i soggetti più direttamente coinvolti.

Ebbene, la Corte Costituzionale ha considerato fondata la questione ritenendo che la norma contenuta all’articolo 102 del dpr 115 del 2002, nella parte in cui prevede che lo straniero, o chi é ammesso al gratuito patrocinio, possa nominare un consulente tecnico di parte, un difensore, ma non possa invece nominare un interprete, sia una norma che non consente un effettivo esercizio del diritto di difesa e di partecipazione al processo, in contrasto quindi con la nostra Costituzione, con i principi di diritto alla difesa stabiliti dalla nostra Costituzione.

Ma anche se non volessimo considerare le precise garanzie stabilite dalla nostra Costituzione, la Corte Costituzionale non ha mancato di rilevare che questa normativa così lacunosa è anche in contrasto con la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali” e contro il “Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici” del 19 dicembre 1966 adottato a New York.

Queste due norme internazionali, di analogo tenore, prevedono il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete se l’interessato non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Questa è una sentenza che riguarda una norma di carattere generale, quella sul patrocinio gratuito a spese dello Stato per i non abbienti, che coinvolge quindi tutte le persone, indipendentemente dalla loro cittadinanza, ma ovviamente si presta ad essere utilmente applicata nella quasi totalità dei casi nei confronti di cittadini stranieri che hanno, normalmente, il problema della lingua.

Ecco che d’ora in avanti chi avrà la necessità di difendersi in un procedimento penale, avrà al possibilità di pretendere, richiamando esattamente questa sentenza, il diritto di poter nominare non solo un difensore, non solo un consulente tecnico (ad esempio, un medico legale), ma anche un interprete, e potrà quindi esercitare il diritto di partecipare effettivamente al processo.

La Corte Costituzionale non ha mancato di sottolineare che l’altra norma del nostro ordinamento, l’articolo 143 del codice di procedure penale, che prevede che nel caso in cui l’imputato non conosca la lingua italiana il giudice possa autorizzare l’assistenza di un interprete, è una norma che non risolve da sola il problema dell’effettività del diritto di difesa, perché prende in considerazione l’uso dell’interprete solo per una “comodità” del giudice, cioè come una specie di strumento a sua disposizione per poter interrogare l’interessato.
La differenza è evidente sul piano pratico: per fare un esempio, l’interprete nominato dal giudice deve tradurre fedelmente e riportare al giudice medesimo tutto ciò che dice l’imputato; viceversa, l’interprete nominato dall’imputato risponde solo a quest’ultimo e deve rispettare il segreto professionale nell’interesse esclusivo dello stesso, non potendo rivelare senza la sua autorizzazione nulla di quanto può avere appreso assistendolo nei colloqui col suo difensore.

Questa pronuncia della Corte Costituzionale sgombra finalmente il campo da tante “doglianze” rispetto alla difficoltà degli immigrati, soprattutto dei meno abbienti, di partecipare effettivamente al processo, e naturalmente eviterà anche il rischio, purtroppo molto serio indipendentemente dalla volontà e dalla qualità degli avvocati, di fraintendimenti tra l’avvocato e il cliente, magari in relazione a scelte fondamentali per la sua difesa.