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Guinea – Protezione umanitaria riconosciuta per non interrompere la stabilità economica e l’integrazione sociale raggiunta

Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 1152 del 10 novembre 2020

La protezione umanitaria va riconosciuta quando l’interruzione della stabilità economica e integrazione sociale raggiunta concorrerebbe a determinare una situazione di vulnerabilità personale pregiudizievole dei diritti fondamentali inviolabili

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Torino ha riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 D.lgs. n. 286/1998, vecchia formulazione, in favore di un cittadino guineano il cui percorso di integrazione sul territorio nazionale si è distinto per una certa stabilità economica e sociale.

Il Collegio puntualizza che “il fatto di svolgere regolare attività di lavoro in Italia, come dimostra la documentazione allegata, non rientra tra i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno. Esso denota, certamente, un certo grado di inserimento socio economico nel nostro Paese, ma non può essere apprezzato, da solo, per il riconoscimento della protezione umanitaria. Si consideri, infatti, che il lavoro degli stranieri in Italia è ammesso e tutelato attraverso la (e nei limiti della) determinazione periodica dei flussi di ingresso. Pertanto, consentire, attraverso il riconoscimento della protezione umanitaria, una “legittimazione postuma” di chi ha fatto ingresso clandestino nel paese, significa frustrare il meccanismo normativamente previsto per consentire l’ingresso nel paese per motivi di lavoro; privilegiando coloro che, trovandosi già (clandestinamente) sul territorio, godono di una situazione di vantaggio nel reperimento di una sistemazione lavorativa”.

Tuttavia, la Corte rileva che, oltre al brillante percorso di inserimento lavorativo culminato nell’assunzione del richiedente a tempo indeterminato e nell’indipendenza abitativa raggiunta, nella fattispecie “l’eventuale rimpatrio del predetto nel Paese d’origine comporterebbe una seria compromissione dei suoi diritti: sarebbe infatti costretto a doversi reinserire in un contesto socio-economico completamente diverso rispetto a quello europeo (dove oramai risiede da più di 7 anni) e non avrebbe né un’abitazione, (…) né un’attività lavorativa” (in senso conforme Corte appello Roma, 26/05/2020, n. 2519: “Deve accordarsi la protezione umanitaria di cui agli artt. 32, comma 3, d.lgs. 28-1-2008 n. 25 e 5, comma 6, d.lgs. 25-7-1998 n. 286 in virtù del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di cui risulti titolare il richiedente la protezione, poiché tale situazione fa ritenere che il richiedente stesso in Italia beneficia di una sicura e legittima fonte di reddito, così dimostrando di avere conseguito una effettiva e stabile integrazione sul territorio nazionale, sulla base del rapporto di lavoro le cui caratteristiche, normative e retributive, in quanto connesse al contratto collettivo nazionale di settore vigente in Italia, egli non potrebbe certamente conseguire nel Paese di origine e la cui prosecuzione deve essere tutelata. Si deve quindi riconoscere la condizione di vulnerabilità soggettiva propria della protezione umanitaria.”).

In conclusione, nel caso in esame, sono ravvisabili motivi di carattere umanitario, tali da ritenere necessaria la protezione prevista dall’art. art. 5 comma 6, del d. lgs. 1998 n. 286, in quanto la stabilità economica e l’integrazione sociale raggiunta, se interrotte, concorrerebbero a determinare una situazione di vulnerabilità personale in capo all’appellante, oltremodo, pregiudizievole dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

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Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 1152 del 10 novembre 2020