Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Ho assistito alla tragedia dei migranti nel Mediterraneo. Questa “arte” mi mette a disagio

Lorenzo Tondo, The Guardian - 12 maggio 2019

Photo credit: David Levene/The Observer

Nella notte del 18 aprile 2015, a circa 180 chilometri da Lampedusa, un peschereccio si è rovesciato in mare con centinaia di migranti a bordo. Tra le onde e sotto lo scafo lungo 23 metri, 700 passeggeri con il sogno di una vita migliore sono affogati nelle acque del Mediterraneo.

La settimana scorsa, la nave, enorme, arrugginita, è arrivata a Venezia in occasione della Biennale, in cui è stata esposta domenica, in un’installazione progettata dall’artista Christoph Büchel.

In quanto giornalista attivo in Italia, ho visto i tragici risultati dei viaggi in mare, disperati e spesso condannati in partenza, dei migranti attraverso il Mediterraneo.

La scorsa settimana, ho visto trainare la nave lungo il Canale Giudecca e mi sono sentito a disagio. Nonostante le buone intenzioni dell’artista e degli organizzatori dell’evento (accrescere la consapevolezza pubblica nei confronti delle tragedie che coinvolgono i migranti), ho iniziato a pensare che, forse, la nave si trovava nel posto sbagliato.

L’arrivo del relitto ha velocemente suscitato critiche, in particolare da parte della Lega, partito di estrema destra italiano, il cui leader Matteo Salvini, vicepresidente del consiglio italiano, ha chiuso i porti italiani alle navi di soccorso per i migranti.

Secondo la Lega, tutto questo sarebbe “propaganda politica” e “manipolazione”. Sostiene che la Biennale dovrebbe trasferire il relitto in Svizzera, paese di origine di Büchel.

Lo stesso Büchel ha rifiutato di rilasciare interviste a proposito del progetto, intitolato Barca Nostra, ma la sua collaboratrice Maria Chiara di Trapani ha detto: “Stiamo vivendo un periodo tragico, senza memoria. Guardiamo i telegiornali e tutto sembra lontano; qualcuno è morto in mare e cambiamo canale”.

La presenza fisica della nave, sostiene, potrebbe cambiare le cose. Si augura che i visitatori della Biennale “provino rispetto e la guardino in silenzio anche solo per due minuti, per ascoltare e riflettere”.

Capisco il suo punto di vista, ma continuo a sentirmi a disagio, per quanto le mie opinioni politiche siano diametralmente opposte a quelle del partito di Salvini.

La verità è che, nonostante le buone intenzioni di Büchel, trasformare la commemorazione di queste tragedie in spettacolo rischia di sminuire – se non, addirittura, di strumentalizzare – la sofferenza legata alla crisi dei migranti.

Soprattutto in questo caso, dato che il relitto in questione non è una nave qualsiasi: la storia del suo recupero ha fatto clamore, rivelando tutta una serie di ipocrisie e di mancanze.

La nave, che si trovava a 400 metri di profondità, è stata recuperata dalle autorità italiane nel 2016, con l’autorità dell’allora presidente del consiglio, Matteo Renzi. Il recupero è diventato uno spettacolo pubblico, dato che un’intera sezione della marina italiana è stata mobilitata per l’operazione e i lavori si sono protratti per mesi, per un costo totale di 9.5 milioni di euro.

Era doveroso dare una sepoltura a quei nostri fratelli, a quelle nostre sorelle che altrimenti sarebbero rimasti per sempre in fondo al mare”, disse Renzi a un evento il giorno in cui la nave fu portata alla luce con quasi 300 corpi intrappolati al suo interno.

Tuttavia, finite le commemorazioni, nel febbraio 2017, Marco Minniti, il precedente ministro degli interni, appartenente al PD, strinse un accordo con la guardia costiera libica il quale le permetteva di riportare i profughi in un paese in cui le agenzie umanitarie avevano denunciato casi di tortura e abusi.

Mentre i migranti venivano rimandati nei centri di detenzione libici e uomini, donne e bambini continuavano a morire nel Mediterraneo, in Italia avveniva un macabro braccio di ferro tra diverse istituzioni per determinare chi avrebbe assunto il controllo del relitto recuperato. Nonostante nessuno sembrasse preoccuparsi dei migranti, le imbarcazioni su cui viaggiavano si stavano imponendo all’attenzione di decine di persone “dalle buone intenzioni”.

Le organizzazioni chiedevano che la nave fosse trasportata in diverse città italiane perché fosse esposta in musei. Alla fine, la città di Augusta, in Sicilia, in cui la missione di recupero era stata condotta, fu autorizzata a ottenere la nave, con la promessa che sarebbe stata usata per creare un monumento in ricordo delle vittime della tragedia.
Qualche mese fa, la nave è stata data in “prestito libero e temporaneo” a Büchel per la Biennale. “Parlerà alle nostre coscienze”, ha detto Ralph Rugoff, il curatore del festival.

Sono un convinto sostenitore del valore dell’arte come strumento per risvegliare le coscienze e confrontarsi con le istituzioni. L’arte ha sempre avuto questo ruolo, è suo diritto e dovrebbe continuare a farlo.

Eppure, continuo a pensare che esporre il relitto in un contesto prettamente artistico (lontano dalle istituzioni responsabili della tragedia o dalle comunità che hanno assistito a questo orrore un anno sì, un anno no) rischia di perdere qualsiasi significato di denuncia politica, rendendolo un’opera in cui la provocazione prevale sull’obiettivo di sensibilizzare la mente dello spettatore.

La decisione di Büchel rischia di creare un’ulteriore celebrazione nostalgica della tragedia, senza che a essa corrisponda alcun atto di condanna nel presente; è troppo distante da coloro verso i quali il messaggio andrebbe rivolto.

Immagino folle di persone (ben vestite e con in mano uno spritz) davanti a una bara che conteneva 700 persone. Immagino i loro sguardi fissi sulla vernice scolorita, la stessa tinta del cielo di Venezia. Penso ai 28 sopravvissuti al naufragio e a cosa avrebbero dato anche solo per un secondo di quell’attenzione.