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Ho scoperto lo straniero: riflessioni contro false verità

di Alessia Tranfo *

Foto di Erika Cei - http://photofrasando.blogspot.com/

Ormai da qualche anno sto studiando, o almeno ci provo, quello che gli esperti o presunti tali chiamano “fenomeno migratorio”. Lo faccio da giurista perché fa parte del mio lavoro, lo faccio comodamente seduta sulla mia poltrona con il ventilatore sparato in faccia. Leggo le sentenze dei nostri giudici, inorridisco davanti alla descrizione delle atrocità compiute sulla pelle di un migrante, leggo le parole di chi ha studiato prima di me il fenomeno, cerco di capire cosa sia cambiato tra ieri e oggi e ogni tanto vado a qualche evento organizzato da un’università e racconto gli esiti dei miei studi ad un pubblico che sta dalla mia stessa parte, che annuisce quando parlo, che applaude sul finale e che so già non mi contesterà granché. Insomma, mi occupo di immigrazione senza immergermi nel fenomeno come, invece, fanno quotidianamente un medico, un operatore legale, un mediatore culturale. Sto lì e guardo dall’alto. Sono una privilegiata tra le privilegiate. Sono l’emblema di chi predica bene tra i suoi simili, senza assumermi troppi rischi perché gioco in casa.
Però poi devo scendere dalla mia torre d’avorio e allora subentrano le cene con gli amici nel corso delle quali puntualmente viene tirato fuori il classicone “non possiamo accoglierli tutti, il sistema sociale non reggerebbe”, ciascuno con le proprie motivazioni, talvolta anche ragionevoli, poi ci sono le interviste che ascolto in tv dove ci propinano il tradizionale “hanno riportato malattie che avevamo debellato”, ci sono i post pseudo impegnati di colleghi e conoscenti che improvvisamente si interessano di attualità e politica (ammetto che li preferivo quando ci deliziavano con le foto del loro addome scolpito), ascolto i commenti delle amiche che “va bè ma perché tu non ci lavori insieme, sono così arroganti, maleducati, appoggiano i piedi sui tavoli dove mangiano”. Sì, forse non tutti i ragazzi stranieri conoscono le regole del bon ton ma, se guidi nel traffico il lunedì mattina, anche i nostri italianissimi uomini non risultano sempre particolarmente galanti.

Allora, miei cari miss and mister “menomale che è arrivato Salvini”, forse per pulirmi la coscienza, senza la pretesa di farvi cambiare idea ma con la convinzione che a questione complessa si risponda con soluzione complessa, vi racconto cosa ho studiato in questi anni:

Ho scoperto che il Libano ha il maggior numero di profughi in rapporto ai cittadini: 164 ogni 1000 abitanti. Ne accoglie un milione e mezzo; forse di più se includiamo anche quelli non registrati. Perlopiù siriani. Il Libano, quello staterello di neanche 11 mila kmq con 6 milioni di abitanti. Sì, proprio lui.
L’Italia dà asilo a due richiedenti ogni mille abitanti. Siamo in 60 milioni su una superficie di 300 mila kmq e i richiedenti asilo nel 2017 sono stati 130 mila.
Nel 2014 – anno della “grande invasione” – sono arrivate via mare 170 mila persone. Quindi, se la matematica non mi inganna, qui da noi non si può parlare di emergenza, un libanese si arrabbierebbe.

Ho anche scoperto che oggi i lavoratori stranieri regolari sono 2,4 milioni, significa più o meno 14 volte il numero di richiedenti asilo presenti nei centri di accoglienza (170 mila). Sono persone che pagano i contributi, che sostengono il nostro Stato sociale. In pratica, i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per gli utenti immigrati (sanità, scuola, abitazioni, giustizia e così via) sono ampiamente compensati dalle tasse pagate e dai contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri (quasi il 6% del totale dei contributi provengono dai non italiani). Si potrebbe immaginare quindi che il gettito che arriva dagli stranieri lavoratori finanzi circa 640 mila pensioni.

Ho scoperto che i residenti regolari stranieri in Italia sono poco più dell’8%. Ripeto l’8%, NON L’80%.

Ho scoperto che si stima che gli irregolari in Italia siano non più di 66.047 calcolati nell’ultimo triennio. Per capirci meglio, se noi riunissimo tutti gli irregolari a San Siro, non riempiremmo lo stadio.

Siccome la parola tortura pare che oggi non ci faccia neanche inorridire più di tanto, allora, forse, la descrizione rivoltante di cosa si celi dietro a quella parola diventata ormai neutra, ci smuoverà ancora un lieve, seppur minimo, moto di compassione. Ho scoperto che uno straniero che arriva in Libia da uno qualsiasi dei Paesi centro africani, non ha scampo e viene arrestato da una delle innumerevoli milizie locali e portato brutalmente in campi di detenzione, (campi privati, fuori dal controllo del potere pubblico, ammesso che in Libia possa individuarsi ad oggi un’autorità pubblica) dove abili e improvvisati aguzzini praticano quotidiani orrori al fine di ottenere un riscatto dalle famiglie di origine. Potrei fermarmi qui ma temo non basti per suscitare un poco di empatia in noi bianchi doc. Così scendo nel dettaglio. In ordine sparso, il “clandestino” viene frustato sotto ai piedi e obbligato a correre, viene bastonato sui genitali più volte al punto da divenire impotente in taluni casi, viene bagnato con acqua e colpito con scariche elettriche, le donne vengono violentate e spesso costrette a portare in grembo il frutto dello stupro a meno che il feto non muoia prima del parto a causa di successive violenze, qualcuno viene obbligato a stare sveglio per giorni, la maggior parte dichiara di aver bevuto almeno una volta la propria urina perché non è detto che l’acqua basti per tutti ogni giorno. Vi ho indignato troppo? Sì, volutamente. Perché “respingiamoli in mare”, “lasciamo che siano le autorità libiche (?) ad occuparsene”, significa augurare a un essere umano di subire queste pratiche.

Ho anche scoperto che la Libia è solo l’ultimo tassello del gioco degli orrori che deve subire un migrante: prima della Libia, deve riuscire a sopravvivere al Sahara che non è un’allegra scampagnata. Funziona più o meno così: gruppi di migranti si affidano ad autisti-trafficanti, si incontrano ad Agadez, cittadina al centro del Niger, spesso l’autista si fa pagare in anticipo e parte in direzione di Sahba, città libica. Non è detto che il tragitto venga concluso, a volte il camion si guasta perché sovraccarico, altre volte il trafficante trasporta il gruppo di aspiranti profughi nel bel mezzo del deserto, li fa scendere e garantisce di tornare dopo qualche ora. Di fatto, non torna, si intasca il denaro, non accompagna nessuno al confine e va a prendere un altro carico di ingenui disperati. Nel frattempo, l’aspirante profugo muore di sete nel Sahara. Si calcola che nel 2017 le morti nel deserto duplichino quelle dei naufragati nel Mediterraneo. Più di 4 mila persone.

Ho scoperto che il fenomeno migratorio in Italia dà da mangiare agli italiani: operatori legali, mediatori, insegnanti di italiano, psicologi, dipendenti di servizi alimentari, etc…

Ho scoperto che esistono delle regole internazionali che ci impediscono di respingere chi arriva sul nostro territorio senza aver preso in considerazione le loro domande di asilo. Significa che non possiamo rispedirli verso l’Africa. Se lo facciamo la Corte europea dei diritti dell’uomo ci sanziona e l’Italia deve pagare cospicui risarcimenti al profugo che ha fatto ricorso. Soldi che l’Italia dovrà versare, non Salvini di tasca sua, non Minniti, l’Italia quindi noi.

Ho scoperto che c’è stato qualcuno che ha lavorato per due anni in Parlamento europeo per tentare di cambiare le regole del gioco che oggi impongono quasi solo ai Paesi del Mediterraneo la gestione dei migranti. Ne è nata una proposta di riforma del Regolamento di Dublino III che avrebbe obbligato gli Stati membri a ricollocare i migranti anche nei Paesi più riluttanti e, se questi ultimi si fossero rifiutati, avrebbero dovuto versare 250 mila euro per ogni straniero non accolto. Sarebbe stata la svolta. Si sarebbero alleggerite Italia e Grecia ridistribuendo i richiedenti asilo anche negli altri Stati. Ma gli esponenti della Lega si sono astenuti e i Cinque stelle hanno votato contro. Le motivazioni di tale scelte ad oggi non sono ancora chiare a nessuno. Dove è finita tutta la voglia di responsabilizzare l’Europa?

Ho scoperto che c’è l’articolo 80 nei Trattati UE che impegna gli Stati membri alla solidarietà. Ma nessuno sembra ricordarlo.

Ho scoperto davvero tante cose in questi anni, la più triste è che non c’è alcuna volontà politica di risolvere una questione complessa a cui servono soluzioni ben ponderate e condivise in Parlamento europeo e non in diretta fb. Ho scoperto che abbiamo creato un nemico comune, l’uomo nero, per distogliere l’attenzione dal vero unico nemico: l’ignoranza, una bestia, pure quella nera, che si insinua a prescindere dal titolo di studio che hai, quella che ti rende indifferente davanti alle ingiustizie, quella che ti rende soprattutto incapace di riconoscere chi si prende gioco di te e del futuro del tuo Paese, mascherandosi da uomo qualunque, simile a te, onesto e difensore della Patria.