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“Human flow” alla Mostra del Cinema di Venezia. Ai WeiWei presenta il suo docufilm sui rifugiati

I confini non esistono. Non esistono nell’arte, non esistono nella vita e non esistono neppure nella geografia. “I confini esistono solo dentro di noi. Nelle nostre menti e nelle nostre anime“. Parole di uno dei più quotati artisti contemporanei. Artista a “tutto campo”, o se preferite, senza confini; attivo nella scultura, nella pitture, nell’architettura, nelle installazioni, nella scrittura, nel teatro, nella fotografia, nel cinema… E se poi gli chiedete cosa sia l’arte vi risponde: “Un gesto politico. Che altro?
Stiamo parlando di Ai Weiwei. Figlio del grande poeta Ai Qing, Ai Weiwei ha compiuto sessant’anni giusto un paio di giorni fa ed ha alle spalle una lunga storia di ribellione contro l’autoritarismo cinese culminata con l’arresto il 2 aprile del 2011 ed conseguente ritiro del passaporto. Misura cautelativa terminata nel luglio del 2015, anno in cui l’artista si è trasferito a Berlino, pure se, sul suo sito ufficiale – più volte chiuso dalle autorità cinesi – continua a definirsi “residente a Pechino“.

L’attivismo per i diritti umani, che è poi l’unica costante della sua multiforme genio artistico, non lo ha abbandonato dopo il suo trasferimento in Europa.
Ricordiamo i 10 mila giubbotti di salvataggio realmente utilizzati dai migranti sbarcati a Lesbo che l’artista cinese ha appeso alle colonne del Konzerthaus di Berlino. Oppure i barconi rosso sangue con i quali ha ornato le pareti di palazzo Strozzi, a Firenze.
Migrante lui stesso, costretto ad abbandonare la sua amata città natale, Ai Weiwei ha voluto raccontare con queste installazioni la tragedia dei profughi di tutto il mondo. Un “flusso umano” che non risparmia nessun Paese del mondo e che si stima superiore ai 65 milioni di sfollati costretti a cercare lontano dalle loro casa condizioni accettabili di vita.

E “flusso umano”, “Human Flow”, è anche il titolo del docufilm che Ai Weiwei, nei panni di regista e di produttore, presenterà venerdì 1 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia.
Un progetto, racconta l’artista, nato nel dicembre 2015 quando si è recato nell’isola greca di Lesbo per assistere all’arrivo dei migranti provenienti dalle coste africane ed ha deciso di realizzare un documentario sulle migrazioni e “su cosa potessero rivelare sulla nostra umanità le nostre reazioni di fronte alla crisi“.
Nei due anni successivi, Ai Weiwei ha visitato oltre 40 campi profughi in tutto il mondo e viaggiato dalla Libia ai confini tra Messico e Stati Uniti, intervistato centinaia di persone per raccogliere storie e narrazioni.
Tutti possono essere rifugiati – ha spiegato l’artista cinese -. Quella che chiamiamo la crisi dei rifugiati è di fatto una crisi umanitaria. Non importa chi può essere rifugiato, potreste essere voi o potrei essere io. Credo che il problema dovrebbe essere compreso da chi ha la fortuna di vivere in pace. E credo che la pace sia sempre una situazione temporanea. Nessuno può essere certo di vivere sempre in pace. Nessuno“.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.