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I centri di detenzione amministrativa uccidono ancora

A cura di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

Non si conosce ancora il numero esatto dei migranti morti nel rogo del centro di detenzione amministrativa ubicato all’interno dell’aeroporto di Amsterdam, ma la gravità sconvolgente della tragedia conferma la necessità di chiudere subito tutti i centri di permanenza temporanea e le cd. “zone di attesa aeroportuali”, luoghi nei quali i migranti irregolari vengono trattenuti senza alcun rispetto per la dignità e per i diritti fondamentali della persona umana.
Come in mare, sono centinaia gli immigrati morti in Europa nel corso della detenzione amministrativa o durante le pratiche sempre più violente di allontanamento forzato.

La tragedia di Amsterdam ricorda il rogo del centro di permanenza temporanea Vulpitta, a seguito del quale, nel dicembre del 1999, morirono sei immigrati maghrebini.
Vedremo se in questa occasione la giustizia olandese riuscirà a rendere giustizia ai morti, risultato che non è stato raggiunto in Italia in casi analoghi, malgrado le responsabilità e le contraddizioni emerse nel corso del processo di Trapani, una vicenda che ormai nessuno ricorda più, malgrado gli atti siano facilmente accessibili su internet tramite un qualsiasi motore di ricerca.

Ricordare oggi la tragedia del Vulpitta potrebbe essere assai spiacevole per coloro che in quel periodo gestivano la prima applicazione della legge Turco-Napolitano che aveva introdotto i centri di permanenza temporanea.
Come per l’ex ministro degli interni Bianco, strenuo difensore della detenzione amministrativa, che dopo la tragedia di Trapani propose di utilizzare le caserme militari per rinchiudere gli immigrati in attesa di espulsione.

Ma ricordare i drammi e gli abusi che si consumano all’interno dei CPT è altrettanto scomodo per chi oggi afferma oggi di volere il superamento della legge Bossi-Fini ed una svolta nelle politiche dell’immigrazione, dell’asilo e della cittadinanza, ma nei fatti ripropone sbarramenti (come gli accordi di riammissione con i paesi di transito) e pratiche di detenzione che si collocano al di fuori delle costituzioni e dei trattati internazionali.
I trattamenti inumani e degradanti vietati dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo sono ormai la pratica quotidiana che si adotta nella detenzione amministrativa degli immigrati irregolari per sancirne il loro status di “non persone”, da espellere più facilmente o da sfruttare nel mercato nero del lavoro.

Quanto accaduto nel centro di detenzione dell’aeroporto di Amsterdam pesa sulla coscienza di quei governanti europei che hanno scelto la politica dell’Europa- fortezza, una politica che produce ogni giorno decine di morti, da Ceuta e Melilla a Malta ed alle coste greche e turche, da Lampedusa ad Amsterdam.
Quei morti invisibili, senza nome, sono testimoni muti di una barbarie di stato che sta minando alle basi la possibilità di convivenza pacifica tra immigrati e cittadini europei.
Una barbarie alla quale è ancora possibile opporsi chiedendo verità e giustizia, in tutte le sedi giudiziarie nazionali ed internazionali.

La moltiplicazione delle barriere, dei reticolati e dei meccanismi di esclusione alimentano nel tempo quei rischi che i fautori delle politiche securitarie sostengono di volere allontanare. I diritti fondamentali dei migranti irregolari sono invece un patrimonio prezioso per una società democratica e possono essere difesi in una cornice di sicurezza (per tutti).

La detenzione amministrativa non può costituire la struttura portante di un diritto speciale che si applica solo agli immigrati irregolari. Il contrasto alle reti criminali che trafficano esseri umani deve rispettare i diritti delle persone, che di quel traffico sono le prime vittime. Quello che è successo nel 1999 a Trapani e oggi ad Amsterdam potrebbe ripetersi ancora altre volte.
Su questo terreno associazioni e movimenti, dovranno raggiungere una maggiore unità (anche con le organizzazioni dei migranti) ed una migliore capacità di comunicazione con l’esterno, con l’intera opinione pubblica, e diventare così interlocutori diretti delle istituzioni locali e di quelle forze politiche che oggi si candidano per una svolta nel governo del paese.

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo