Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

tratto da Migra news

I centri interculturali in Emilia Romagna, una risorsa da valorizzare e da estendere

una ricerca di di Paola Bonora e Angela Giardini

Il lavoro di ricerca* di cui riferisce il presente rapporto si svolge nel corso dell’anno 2003 con l’obiettivo di costruire una mappa dei centri interculturali presenti in Emilia-Romagna e di rappresentarne le dinamiche di funzionamento, la capacità di aggregazione identitaria, l’efficacia nell’ambito delle pratiche per l’integrazione e la collocazione nella rete delle risorse territoriali.

Il richiamo al concetto di intercultura contenuto nella definizione dei centri implica, almeno idealmente, una proiezione delle attività nella direzione del confronto, del dialogo, della reciprocità fra individui provenienti da contesti culturali diversi, anche al fine di ricercare una sintesi fra posizioni differenti. Un approccio che contempla pertanto il forgiarsi, attraverso il tempo, di una cultura meticcia, ibrida, mescolata, come possibile esito di processi comuni e condivisi.

I centri interculturali si situano, grazie alla sperimentazione al loro interno di dinamiche innovative, fra i luoghi centrali, in una prospettiva geografica, per tentare di far luce sulle trasformazioni culturali, oltre che sociali, che caratterizzano attualmente i contesti urbani e più in generale le società locali. Una prospettiva interessata anche a valutare l’emergere, nei luoghi indagati, di meccanismi di auto-organizzazione e auto-rappresentazione, realizzati con il coinvolgimento delle persone di origine immigrata, potenzialmente in grado di produrre forme di territorialità attiva e, quindi, plus-valore territoriale.

La ricerca nasce da una collaborazione tra il Settore Politiche per l’Accoglienza e l´Integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna ed il Dipartimento di Discipline storiche dell’Università di Bologna , con l’obiettivo di comprendere le peculiarità, le valenze ed i punti critici di un insieme di esperienze relativamente recenti, sperimentate localmente dalle istituzioni o nate da dinamiche spontanee delle associazioni nel tentativo di dare risposte adeguate a bisogni nuovi, maturati per effetto della crescita e della stabilizzazione dell’immigrazione straniera.

I centri interculturali sono presenti da alcuni anni in numerose regioni del territorio nazionale, seppure più diffusamente fra quelle del Nord, ma vi sono ancora pochi studi ai quali fare riferimento e manca inoltre una definizione sicura che porti ad una loro chiara identificazione, per cui non sempre risulta facile tracciare in modo netto i confini per includere alcune esperienze fra i centri interculturali, escludendone altre.

L’indagine, di conseguenza, non si muove da un elenco disponibile a priori ma, partendo da alcuni luoghi dell’Emilia-Romagna auto-definitisi come centro interculturale, ha un carattere esplorativo, volto, piuttosto che a censire un fenomeno noto, a rintracciare le esperienze in possesso delle principali caratteristiche che sembrano distinguere, anche in ambito nazionale, i centri che portano questa denominazione, tenendo conto del carattere ancora aperto, “in costruzione”, della definizione in uso.

Sono presi in esame, in primo luogo, i centri interculturali intesi quali sedi di confronto fra nativi e migranti, la cui attività è dedicata in via prioritaria a favorire l’incontro e lo scambio di punti di vista e di esperienze, nel tentativo di migliorare la conoscenza reciproca delle specificità culturali, di diffondere una maggiore consapevolezza fra gli immigrati delle risorse e dei vincoli del territorio di accoglienza e di costruire percorsi partecipati di inserimento sociale. Si tratta di centri che, in Emilia-Romagna, nascono recentemente e il cui progetto costitutivo spesso deriva dall’iniziativa spontanea di soggetti appartenenti al mondo associativo, che in seguito si convenzionano in vario modo con le istituzioni pubbliche locali, spingendo a volte queste ultime a far proprio il progetto iniziale e a dargli vita.

Tenendo conto di quella che sembra essere la tipologia di centro interculturale prevalente in Italia vengono esaminati anche i servizi o centri di documentazione che si rivolgono principalmente agli insegnanti e agli operatori scolastici, con lo scopo di promuoverne la formazione e di fornire loro un supporto per l’inserimento nelle classi di bambini stranieri e per la sperimentazione e diffusione nelle scuole delle pratiche e dei principi della pedagogia interculturale. Principi diffusi dalla fine degli anni ottanta del Novecento dalle direttive nazionali ed europee e oggetto di una significativa esperienza nel corso degli anni successivi (1).

Nel corso dell’indagine emerge anche la centralità, per lo sviluppo di dinamiche interculturali, di una tipologia di luoghi non considerati inizialmente, ossia dei centri volti a sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche della pace, dei diritti umani e della solidarietà internazionale. L’esperienza dei centri per la pace (o delle scuole di pace) è diffusa soprattutto nella vicina Toscana, mentre in Emilia-Romagna caratterizza solo alcuni territori. In questi centri il tema dell’immigrazione è assunto quale aspetto fondamentale della riflessione sul come promuovere la convivenza pacifica fra i popoli, dentro e fuori i confini della nazione, e, in alcuni casi, le caratteristiche del luogo e le attività sperimentate hanno molti punti in comune con gli altri centri interculturali. Si cercano quindi di considerare anche le esperienze di questo genere che risultano più significative a livello regionale.

La ricognizione e l’esame dei centri si basano su interviste di tipo semi-strutturato rivolte ai funzionari delle Province emiliano-romagnole che si occupano di immigrazione, ad alcuni funzionari comunali dei settori immigrazione e scuola ed agli operatori dei centri interculturali e degli spazi di cui man mano si viene a conoscenza. Sono poi contattati telefonicamente anche alcuni operatori dei Centri di Servizio per il Volontariato dei diversi territori provinciali, di alcuni comuni ed associazioni e sono considerate le informazioni disponibili in internet.

L’indagine potrebbe tuttavia non essere esaustiva di tutti i centri interculturali presenti in Emilia-Romagna, perlomeno considerandoli nell’accezione più ampia del termine. Uno studio con queste finalità andrebbe probabilmente condotto alla scala comunale, esaminando più da vicino a questo livello perlomeno i servizi dedicati alla scuola e alla cultura, oltre che il mondo associativo e delle organizzazioni non lucrative.

Adottando un parametro restrittivo l’indagine approfondisce soltanto l’esperienza dei centri dotati di uno spazio autonomo, di una sede, e caratterizzati dalla presenza di un certo numero di operatori (sebbene il caso del Servizio Educazione Permanente di Modena, esaminato nel rapporto, possegga solo in parte a questi requisiti). Pertanto non sono approfondite le esperienze, seppure presenti in ambito regionale, dei singoli funzionari che, in particolare all’interno dei Settori Scuola comunali o provinciali, si occupano principalmente di tematiche interculturali (2).

Fra le esperienze delle associazioni sono invece privilegiate quelle che, oltre a possedere i requisiti già indicati, godono del riconoscimento delle istituzioni pubbliche, formalizzato attraverso specifiche convenzioni, relative ad una parte significativa delle attività. Tuttavia, il livello al quale è compiuta l’indagine, principalmente la scala provinciale, potrebbe far trascurare esperienze interessanti e significative conosciute principalmente in ambito comunale (3).

Complessivamente sono indagati quindici centri interculturali, che ad oggi sono aperti e operativi. Vengono anche prese in esame alcune esperienze che, per motivi diversi, non proseguono la loro attività cercando di comprendere i motivi del fallimento o del ripensamento. Inoltre, si cerca di considerare, per quanto possibile, anche i centri di futura costituzione, rispetto ai quali si è ancora in una fase di progetto.

Le informazioni emerse nel corso dell’indagine diventano la base di partenza per il progetto di formazione di una rete regionale dei centri interculturali in Emilia-Romagna, che sta prendendo corpo e del quale si è cominciato a discutere in occasione degli incontri fra gli operatori dei centri ed i funzionari regionali a partire dal mese di giugno del 2003. I primi passi in vista del coordinamento regionale hanno previsto la realizzazione di un seminario, con finalità conoscitive e relazionali, nell’ottobre 2003, e di un convegno, nel successivo mese di novembre, promosso dal Centro Interculturale “Massimo Zonarelli” di Bologna e organizzato con il contributo determinante di quasi tutti i centri e della Regione Emilia-Romagna. Il convegno ha rappresentato il primo di una serie di appuntamenti annuali per promuovere e rafforzare le realtà interculturali dell’Emilia-Romagna rendendo sempre più efficace ed esteso il loro contributo.

La partecipazione e collaborazione a questo insieme di iniziative conducono questo studio ad assumere sempre più le caratteristiche di una ricerca-azione, per cui le informazioni raccolte nelle interviste della prima fase dell’indagine vengono arricchite di nuovi contenuti nel corso delle frequenti interrelazioni all’interno di un gruppo di lavoro composto da alcuni operatori dei centri (di numero variabile da cinque a dieci persone), costituito appunto con l’obiettivo di creare la rete regionale dei centri interculturali. Ciò da un lato consente una più ampia conoscenza delle realtà studiate, dall’altro può determinare un minore distacco nell’interpretazione delle informazioni raccolte, del quale è bene tener conto nella lettura del rapporto.

1) In realtà, a causa del carattere di “scelta politica” proprio della pedagogia interculturale, in Italia tali principi diventano meno centrali negli ultimi anni, da quando il Governo attualmente in carica cessa di promuoverli (la Commissione Intercultura del MIUR, ad esempio, non viene convocata dalla primavera del 2001);

2) Questa situazione è rilevata nei Comuni di Parma, Reggio Emilia, Novellara, Carpi e Sassuolo, ma certamente riguarda un numero superiore di enti locali;

3) Vedi il caso del piccolo Centro Culturale Internazionale F.I.L.E.F. di Rio Saliceto, descritto nel rapporto.