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I richiedenti asilo in Italia: tra diritto e realtà

La Convenzione di Ginevra del 1951 definisce giuridicamente chi è rifugiato, che diritti ha e quali sono gli obblighi degli Stati nei suoi confronti. In Italia è divenuta esecutiva con la legge del Luglio 1954, n. 722, eppure leggere quella Convenzione ci aiuta ben poco, se vogliamo capire la realtà dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia.

Alla persona che al suo ingresso in Italia fa richiesta di asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno non valido per lavoro ma che concede solo il diritto di permanere sul territorio nazionale, di usufruire dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione scolastica per i minori. Successivamente alla richiesta d’asilo le prefetture erogano un contributo di prima assistenza pari a circa 800,00 Euro (versato non sempre e spesso con mesi di ritardo).

Dal giugno 2001 esiste in Italia un Piano Nazionale Asilo (Ministero degli Interni, ACNUR, ANCI), attualmente Servizio Centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, recepito anche dalla Legge Bossi-Fini e che da accoglienza e assistenza a circa 2.000 persone, in centri distribuiti su tutto il territorio nazionale. Tale misura appare del tutto insufficiente a coprire il numero reale di richiedenti asilo presenti in Italia e pari a circa 20.000 unità, con la conseguenza che per coloro che non vengono accolti si aprono le porte del lavoro nero, degli asili notturni, della vita in strada, delle stazioni.

L’iter della richiesta d’asilo si conclude con un’audizione presso la Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, che esaminerà ogni singolo caso. I tempi d’attesa per la convocazione attualmente vanno dai 15 ai 24 mesi circa, a fronte dei 45 gg. previsti dalla normativa. I lunghi tempi d’attesa sono in parte giustificati dall’elevato numero di richieste ma in special modo imputabili ad inefficienze ed errori nella comunicazione della convocazione dalla Commissione alla Questura competente, e da quest’ultima al richiedente.

L’invito a presentarsi in Commissione arriva spesso nel posto sbagliato: gli spostamenti dei richiedenti, gli errori o le inefficienze fanno arrivare la convocazione a Reggio Calabria o Milano quando la persona si trova (due anni dopo) a Trapani o Trieste. Di qui, ulteriori lungaggini, la richiesta di una nuova convocazione, ancora attesa. Alcune persone vengono ricevute per informazioni o delucidazioni, altre no (non sembra possibile definire i criteri di riferimento nelle decisioni). Non viene rispettato un ordine temporale nelle convocazioni. Infine a causa delle difficoltà di comunicazione con la Commissione Centrale è stato istituito uno sportello telefonico che dovrebbe dare informazioni relative alle situazioni individuali (tempi d’attesa etc.) che comunque risponde in modo troppo spesso generico e insufficiente non risolvendo di fatto il problema.

Per quanto riguarda le persone tutto è fin troppo prevedibile e prestabilito: la lunga attesa costringe alla totale “dipendenza” per soddisfare ogni sorta di necessità, innesca assistenzialismo (se c’è qualcuno che assiste), disagio sociale e psicologico, rende ridicolo il pensiero di una “integrazione”.

Le audizioni in Commissione hanno una durata che va dai 5 minuti alle due ore. Persone che hanno storie e provenienze uguali ricevono talora risposte diverse. Persone che provengono da situazioni di violenza diffusa, facilmente appurabili con semplici strumenti di informazione, possono ottenere un diniego senza che venga utilizzato lo strumento della Protezione Umanitaria (Permesso di Soggiorno temporaneo concesso in genere a coloro che provengono da situazioni di conflitto che rendono impossibile un rientro nel paese d’origine).
Le decisioni a tal riguardo sembrano prese sulla base di criteri non oggettivi e imprevedibili. Afghanistan, Congo, Sudan, Liberia, Sierra Leone etc. sono considerati paesi “sicuri”, motivazione che giustifica i numero dinieghi, nonostante gli organi internazionali (ACNUR…) raccomandino particolare attenzione verso le persone provenienti da questi paesi.
Le audizioni non sono in alcun modo controllabili in itinere e i richiedenti asilo non possono avere una persona di fiducia che li accompagni. Il numero dei Commissari e del personale della Commissione è ridicolmente insufficiente e, l’unico rappresentante ACNUR cui viene dato il diritto di assistere alle audizione, ha semplicemente potere consultivo; inoltre i mezzi tecnici sono obsoleti o inesistenti.

Meno del 10% dei Richiedenti Asilo in Italia riceve un esito positivo in Commissione. Il restante 90% viene diniegato.

Spesso i dinieghi sono motivati con risposte generiche, tendenti a ricondurre la richiesta alla ricerca di migliori condizioni di vita. Ora, sicuramente i tempi sono assai mutati dalla stipula della Convenzione di Ginevra (1951) e 50 anni dopo i criteri fissati possono risultare per alcuni aspetti inadeguati rispetto alle reali situazioni. Bisognerebbe forse prendere atto del fatto che non è più individuabile il “perfetto modello del rifugiato”, in fuga per motivi di persecuzione personale attuata dallo Stato: bisogna adesso confrontarsi con ben più ampi movimenti di persone provenienti da paesi in guerra che comunque non garantiscono la sopravvivenza individuale ne tanto meno l’esercizio dei più elementari diritti.

A seguito del diniego è possibile procedere con un ricorso, nuova legge permettendo, totalmente a carico del ricorrente (che, come già detto, non può lavorare!), nuovo imbottigliamento nei tribunali, nuova lunga attesa prima di ottenere una sentenza. Per coloro che invece non possono accedere al ricorso si riapre la strada di sempre: clandestinità e vita errante, in fuga e impauriti, in Italia e/o in Europa.

L’assenza di una legge strutturata, i numerosissimi dinieghi, le disfunzioni interne alla Commissione, non fanno altro che incrementare il numero di “clandestini” alla mercé del mercato del lavoro nero e alla perdita di qualsiasi diritto del quale, pensiamo, debba essere portatore ogni Essere Umano.

L’unica risposta strutturata a questa realtà è costituita, come già accennato, dai Centri del Servizio Centrale, che però, a causa dei tempi appena descritti, non riescono a garantire una rotazione delle presenze. Di fatto, la presenza del Servizio Centrale, non ha modificato, nella sostanza, né tempi né modalità.

Tutto l’iter quindi avviene in un limbo giuridico protratto in attesa del Decreto attuativo della Legge Bossi-Fini che non andrà comunque a colmare la lacuna prodotta dall’assenza di una legge specifica dal punto di vista della reale tutela dell’individuo e del diritto d’asilo. Per adesso, la nuova normativa è applicata “abusivamente” solo per l’internamento nei centri di identificazione, equiparati di fatto ai CPT.

La tematica dell’asilo, come da tempo importanti Associazioni e ONG affermano è “una questione di civiltà”.
Non è un argomento riferibile in modo specifico all’ordine pubblico da un lato o a una spinta caritatevole dall’altro: Ciò che è in gioco è l’individuazione, lo sviluppo e la realizzazione di diritti che sono riconosciuti ai più alti livelli delle politiche internazionali e del pensiero politico. Le persone che chiedono asilo rappresentano non solo una denuncia nei confronti di paesi e situazioni violente e inique, sono anche uno specchio che rimanda a tutti il bisogno umano di libertà, sicurezza, dignità

Comune di Venezia-Assessorato Politiche Sociali, Servizio Immigrazione e Promozione dei Diritti di Cittadinanza – Cooperativa Cogess-Opere RiuniteBuon Pastore Schio (Vi) -Associazione Il Mondo nella città