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I rifugiati siriani vengono sfruttati nelle aziende agricole di nocciole in Turchia ma è difficile dimostrarlo

David Segal, The New York Times - 29 aprile 2019

Noccioline in essicazione in Akcakoca, sulle coste del Mar Nero nel nord della Turchia. Le coltivazioni dell’Akcakoca ricoprono circa il 70% dell'offerta mondiale. Omer Urer/Anadolu Agency, via Getty Images

AKÇAKALE, Turchia – Come migliaia di altri rifugiati siriani, Shakar Rudani ha lavorato, la scorsa estate, nella regione turca del Mar Nero, che ospita la maggiore concentrazione di coltivazioni di nocciole al mondo. È arrivato lì ad agosto con la speranza che lui e i suoi sei figli, di età compresa tra i 18 e i 24 anni, avrebbero potuto guadagnare l’equivalente di qualche migliaio di dollari. Se n’è andato alla fine di settembre con poco più che una ferma decisione: non tornare mai più!

Il lavoro era duro e rischioso. A causa del terreno pieno di pendii ripidi, i suoi figli passavano gran parte del loro tempo attaccati con delle corde a dei sassi: una precauzione contro una caduta potenzialmente fatale. Quel che era peggio è che la paga era di 10 dollari al giorno: la metà della paga promessa dall’intermediario che gli aveva offerto il lavoro.

Siamo riusciti appena a coprire i costi del viaggio di andata e ritorno da lì” – ci ha detto Rudani, un cinquantasettenne dalla pelle seccata dal sole che vive in un villaggio turco al confine con la Siria – “più tutto quello che abbiamo speso per viverci: siamo tornati senza niente!”.
Circa il 70 % di tutte le nocciole proviene dalla Turchia, un’abbondanza prodotta da circa 600.000 piccole aziende agricole sparse per il verdeggiante paesaggio che si estende lungo la costa settentrionale del paese.

Gran parte della raccolta va a finire nelle amatissime produzioni dolciarie come quella della Nutella, la crema spalmabile prodotta da Ferrero, le barrette di cioccolato fatte da Nestlé e i cioccolatini Godiva realizzati da una compagnia turca, Yildiz. Pochi consumatori sanno che dietro a ciascuna di queste delizie c’è un raccolto che da tempo è noto per i suoi rischi e le sue difficoltà, così come per la prevalenza del lavoro minorile, una piaga che il governo ha cercato di combattere da anni.

Ora, un numero sempre più crescente di lavoratori stagionali di nocciole è costituito da rifugiati siriani, una schiera vulnerabile in modo unico. Pochi hanno permessi di lavoro, il che significa che non godono di protezioni legali.

Il codice del lavoro in Turchia non si applica alle imprese agricole con meno di 50 dipendenti, quindi, gran parte della sorveglianza di questo raccolto ricade sulle aziende dolciarie. La Ferrero afferma di essere impegnata in uno sforzo molteplice per la proibizione del lavoro minorile e per la disposizione del salario e degli standard di sicurezza. L’azienda privata, diretta da Giovanni Ferrero (la cui fortuna personale si aggira intorno a 22,3 miliardi di dollari secondo Forbes), è un impero costruito sulle nocciole: acquistano un terzo delle nocciole dalla Turchia; lottano, insieme ai concorrenti, per garantire che non ci sia alcuna ombra sul raccolto.

Rifugiati siriani che lavorano nei campi di Adana, nella Turchia meridionale. Circa 200.000 braccianti agricoli del paese sono rifugiati provenienti dalla Siria. Fonte: Furkan Temir, per The New York Times
Rifugiati siriani che lavorano nei campi di Adana, nella Turchia meridionale. Circa 200.000 braccianti agricoli del paese sono rifugiati provenienti dalla Siria. Fonte: Furkan Temir, per The New York Times

Ma il monitoraggio completo delle coltivazioni di nocciole della Turchia è un obiettivo eccezionalmente elusivo poiché esse sono tante ed autonome. Inoltre, il salario minimo, che quasi ogni coltivatore offre, non è in grado di far mantenere una famiglia al di sopra della soglia di povertà del paese e tutto ciò viene ancor prima della riduzione della paga da parte degli intermediari che collegano gli operai alle aziende agricole e spesso intascano più del 10% dei salari standard.

Per le aziende di cioccolato tutto ciò rappresenta un enigma. Mentre altri paesi hanno cercato di rafforzare la loro produzione di nocciole, la Turchia rimane la miniera d’oro e sarebbe impossibile soddisfare la domanda internazionale senza fare grandi acquisti qui. Ma comprare nocciole in Turchia significa sostenere una coltura con evidenti falle umanitarie.

In sei anni di monitoraggio, non abbiamo mai trovato una sola fattoria di nocciole in Turchia in cui fossero rispettati tutti gli standard del principio di lavoro dignitoso” – ha affermato Richa Mittal, direttrice dell’innovazione e della ricerca per la Fair Labor Association che ha svolto ricerche sul campo proprio nelle coltivazioni in Turchia – “In linea generale, non ce n’è una!”.

“Nessuno ti troverebbe mai”

La Turchia è diventata la capitale mondiale delle nocciole grazie alla fortuna ed all’intervento del governo. La regione del Mar Nero sembra avere la combinazione ideale tra terra argillosa, sole e pioggia. A partire dalla fine degli anni ’30, il Partito popolare repubblicano ha incoraggiato gli agricoltori locali a piantare alberi di nocciole, sia per risollevare l’economia locale sia per ridurre le frane.

Oggi, le nocciole sono solo una delle colture che fanno dell’agricoltura il 6% dell’economia della Turchia (altre coltivazioni comprendono arance, tè, cotone e tabacco). Circa un quinto della forza lavoro del paese è impiegato in agricoltura, compresi i lavoratori stagionali che si spostano in regioni diverse man mano che iniziano i vari raccolti. Circa 200.000 sono rifugiati siriani.

Il signor Rudani ed i suoi figli fanno ora parte di questo gruppo. Era un contadino nel suo paese natale, coltivava grano e cotone su un terreno di 37 acri. Nel gennaio 2014, è fuggito da casa con la sua famiglia di 12 persone perché stavano arrivando i combattenti dello Stato islamico. La bandiera nera dello Stato islamico avrebbe sventolato sul suo villaggio per i prossimi tre anni. Oggi, il controllo del villaggio è in mano ad un gruppo di milizie curde.

Akcakale, dove si sono stabiliti, confina con la frontiera siriana. “Vedi la casa verde in cima a quella collina?” – mi chiede Rudani, indicando una macchiolina in lontananza – “Quella era casa mia!”.

Nawwaf Ibrahim e sua moglie con sei dei loro dieci figli ad Adana. Tre dei suoi figli adolescenti lavorano con lui nei campi. Fonte: Furkan Temir per The New York Times
Nawwaf Ibrahim e sua moglie con sei dei loro dieci figli ad Adana. Tre dei suoi figli adolescenti lavorano con lui nei campi. Fonte: Furkan Temir per The New York Times

Sfilando i grani del “rosario musulmano” tra le sue mani, Rudani è stato lì, a raccontarmi, per tutto il resto del tempo, della sua vita tumultuosa e, nel frattempo, una processione di figli e cugini, tutti veterani del raccolto di nocciole, si fermava di tanto in tanto ad ascoltare.

Come circa 3,4 milioni di altri rifugiati siriani entrati in Turchia dal 2011, a Rudani ed alla sua famiglia è stato concesso il “labile” status di “persone sotto protezione temporanea”. A queste persone sono concessi pochi permessi di lavoro e l’agricoltura è uno dei pochi settori in cui non sono richiesti permessi di lavoro.

Il suo primo incontro con il raccolto di nocciole, nell’estate del 2017, è stato un fiasco di breve durata. Lui e i suoi figli hanno guidato verso nord con un’auto a noleggio diretti al Mar Nero, un viaggio di 800 miglia che ha richiesto 24 ore. Quando il signor Rudani ha capito quanto fosse pericoloso il lavoro, ha deciso che non ne valeva la pena per ciò che si guadagnava. Il giorno successivo, lui e i suoi figli ritornarono a casa.

Le montagne… incredibili!” – ricorda – “Hai l’impressione che se dovessi cadere, nessuno ti troverebbe mai!”.

L’anno successivo, il signor Rudani era ancora più disperato per i soldi e un intermediario si è messo in contatto per dirgli che le paghe nell’estate del 2018 sarebbero state più alte.

Disse a mio padre che quell’anno i coltivatori stavano pagando da 80 a 100 lire turche al giorno” – ci riferisce Muhammad Rudani, figlio maggiore di Rudani – “ma quando mio padre arrivò lì, si rese conto che tutti i supervisori stavano imbrogliando la gente! Uno di loro disse a mio padre: «ti daremo 50 lire al giorno, e basta!»”.

Il signor Rudani e i suoi figli restarono.

La raccolta delle nocciole è essenzialmente suddivisa in due compiti: raccolta e trasporto. I raccoglitori afferrano e imbustano le nocciole, mentre i trasportatori portano le borse, ciascuna di circa 110 libbre, su e giù per le montagne e sui camion.

Gli accampamenti dei rifugiati accanto ai campi di arance ad Adana. Fonte: Furkan Temir for The New York Times
Gli accampamenti dei rifugiati accanto ai campi di arance ad Adana. Fonte: Furkan Temir for The New York Times

Il problema principale è che non c’è possibilità di alzarsi” – ci dice Abrahim Khalil, uno dei cugini di Mr. Rudani – “Il terreno è così ripido. Semplicemente non si riesce a stare in piedi”.

Anche le ore sono estenuanti, dalle 7 alle 19 in alcuni campi. Se non lavori, non vieni pagato, così la settimana lavorativa di sette giorni diventa la norma.

Date le magre somme che guadagnano, molti rifugiati siriani, nelle coltivazioni di tutto il paese, dicono di non avere molte alternative se non quella di chiamare a lavorare nei campi anche i propri figli. Nawwaf Ibrahim, padre quarantottenne di 10 figli, era un autista di taxi in Siria, un lavoro con cui è riuscito a mantenere la famiglia. Di recente, si è fermato nella casa in rovina che ha affittato vicino alla città meridionale di Adana, rifugio che può permettersi solo perché tre dei suoi figli adolescenti lavorano con lui nei campi di arance.

Le persone che non hanno abbastanza familiari da impiegare nei lavori dei campi, sono costrette a vivere in tende di plastica sul ciglio della strada” – dice – “Riesci a immaginare?”.

Questo è il grosso problema di un suo amico e vicino di casa, Yasin Al Mohammed, che è stato costretto, una volta, a vendere le sue pecore nella nativa Siria. Yasin Al Mohammed non è abbastanza forte per lavorare nei campi di arance 10 ore al giorno e, come se non bastasse, i suoi otto figli sono troppo malati o troppo giovani per lavorare. Quando il suo contratto di locazione scadrà tra qualche mese, sarà senza tetto.

Non sono l’unico” – dice Mohammed – “Molte famiglie sono condannate al mio stesso destino!”.

Intermediari irregolari

Le difficoltà del lavoro agricolo sono moltiplicate dagli intermediari.

Conosciuti come dayibasi (pronuncia “deiabashi”), gli intermediari turchi sono gli operatori meno controllati e meno visibili nel sistema agricolo. Per legge, devono avere la licenza elementare e un permesso che viene rinnovato ogni tre anni. In pratica, gli intermediari sono irregolari e non hanno alcuna formazione.

Un terzo delle nocciole turche sono acquistate da Ferrero che li usa per la produzione della famosa crema spalmabile, la Nutella, prodotta in una fabbrica di Villers-Écalles in Francia. Fonte: Charly Triballeau/Agence France-Presse Getty Images
Un terzo delle nocciole turche sono acquistate da Ferrero che li usa per la produzione della famosa crema spalmabile, la Nutella, prodotta in una fabbrica di Villers-Écalles in Francia. Fonte: Charly Triballeau/Agence France-Presse Getty Images

I dayibasi spesso concedono ai braccianti una sorta di prestiti ponte, durante il raccolto, che suonano tanto come forme di servitù vincolata. Più comuni, dicono i siriani, sono le bugie sui salari che vengono solitamente pagati in somme forfettarie a fine raccolto. Sino ad ora, i braccianti ricevono una paga con la quale riescono a coprire solo vitto e alloggio e per il resto ricevono dei “biglietti da visita” – sostanzialmente dei “pagherò” – per ogni giorno di lavoro.
Apparentemente, il sistema è progettato per garantire la lealtà, ci riferisce Saniye Dedeoglu, professoressa di economia del lavoro all’Università turca di Mugla.

Per formare un gruppo di lavoro, sono necessarie dalle 15 alle 20 persone e se qualcuno è in debito con te, è improbabile che se ne vada per un lavoro diverso” – aggiunge poi – “Ma abbiamo visto così tanti braccianti con un mucchio di «biglietti da visita» e l’intermediario scomparso!“.

Alcuni intermediari rubano gli stipendi senza preoccuparsi di scomparire. Ismail Sulman, uno dei cugini di Mr. Rudani, ha detto che dopo aver lavorato un’estate nel raccolto di nocciole con otto dei suoi figli, un dayibasi si prese altre 3.000 lire turche – circa $ 560 – delle 20.000 che avrebbe dovuto pagargli. “ Litigare era inutile! “.

Eravamo in nero” – dice Sulman – “quindi non abbiamo potuto denunciarlo alla polizia”.

Akcakale ospita dozzine di intermediari. Uno di loro, Ibrahim Ergun, seduto nel giardino, un po’ fatiscente, dietro casa, in fondo alla strada di Mr. Rudani, ci ha brevemente spiegato il suo lavoro.

Lo faccio da 10 anni” – ha detto Ergun, 71 anni – “Di solito porto con me tra i 100 e i 150 lavoratori a nord”.

Era pienamente consapevole della cattiva reputazione del suo mestiere.

Questa è la realtà!” – ha detto – “La maggior parte degli intermediari prende denaro e non dà diritti ai propri lavoratori”.

Yasin Al Mohammed e la sua famiglia, i vicini siriani del signor Ibrahim che rimarranno senza una casa alla scadenza dell’affitto tra pochi mesi. “Molte famiglie sono condannate allo stesso destino” riferisce. Fonte: Furkan Temir per The New York Times
Yasin Al Mohammed e la sua famiglia, i vicini siriani del signor Ibrahim che rimarranno senza una casa alla scadenza dell’affitto tra pochi mesi. “Molte famiglie sono condannate allo stesso destino” riferisce. Fonte: Furkan Temir per The New York Times

Il signor Ergun si affretta ad aggiungere che non ha mai ingannato nessuno dei suoi lavoratori. “In realtà” – dice – “una volta ero a corto di 10.000 lire perché un coltivatore non ce l’aveva fatta a pagarlo”.
Quindi” – dice – “ho pagato i miei lavoratori di tasca mia”.

Il mistero della tracciabilità

Sebbene le nocciole della Turchia fruttino all’incirca 1,8 miliardi di dollari in una buona annata, le aziende agricole lottano per la redditività. I più generosi programmi di sostegno dei prezzi sono stati gradualmente eliminati. Il terreno accidentato rende quasi impossibile meccanizzare la raccolta. E quando i contadini muoiono, la loro terra è spesso suddivisa tra i loro figli, aggiungendo più toppe ad una trapunta che sembra già abbastanza stravagante. La dimensione di una azienda agricola media oggi è di soli quattro acri.

Alcuni agricoltori non credono che la raccolta di nocciole possa davvero fruttare ricchezza. Sema Otkunc, una settantenne proprietaria di una azienda agricola ad Akcakoca, ha ereditato un terreno di quattro acri da suo padre e continua a coltivarlo solo per un senso di obbligo familiare.

Siamo in balia del mercato libero oggi!” – dice -“Gli acquirenti dicono «ti darò questo prezzo» e non c’è niente che qualcuno possa fare a riguardo”.

La signora Otkunc è una minuscola parte di un complesso sistema multilivello di cui non sa quasi nulla. Non può nominare nessuno degli attori coinvolti in questo sistema, a parte il suo compratore locale o la destinazione finale delle sue nocciole. I grandi produttori dolciari che siedono in cima a questa catena di approvvigionamento tendono a tenere la tracciabilità in segreto.

Nessun acquirente è più grande o più riservato di Ferrero. Non nominerò una singola azienda dalla quale i suoi fornitori acquistano sebbene la semplice aritmetica suggerisca che la risposta è «la maggior parte di essi!”.

L’azienda, che vende anche cioccolatini Kinder e Rocher, è il terzo produttore di cioccolato al mondo, dopo Mars e Mondelez e davanti a Nestlé e Hershey, secondo Euromonitor International.

Sono 3,4 milioni I rifugiati siriani che grossomodo si sono riversati in Turchia dal 2001. Fonte: Furkan Temir per The New York Times
Sono 3,4 milioni I rifugiati siriani che grossomodo si sono riversati in Turchia dal 2001. Fonte: Furkan Temir per The New York Times

Giovanni Ferrero raramente concede interviste o permette ai media di visitare la sede della società ad Alba, in Italia. Una portavoce ha risposto alle domande via e-mail, inviandoci un elenco di organizzazioni con cui la Ferrero ha collaborato per promuovere quello che definisce: il programma Ferrero Farming Values.

Ferrero si impegna sempre a fornire ai suoi dipendenti condizioni di lavoro sicure e dignitose” – ha scritto in una e-mail – “e chiediamo che i nostri coltivatori autonomi facciano lo stesso”.

Uno dei partner di Ferrero è GIZ, un’agenzia di sviluppo tedesca. In una e-mail, un portavoce ha affermato di aver fornito consulenza all’azienda per aiutare a progettare e attuare un sistema per tracciare le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori stagionali.

È impossibile giudicare il successo degli sforzi di GIZ, o di qualsiasi progetto di Ferrero, dato che la società non condividerà alcuna informazione in merito per via di “restrizioni ai sensi delle leggi nazionali sulla privacy”.

La sig.ra Mittal della Fair Labor Association ha detto che la Ferrero avrebbe preso parte alle telefonate con l’organizzazione e partecipato alle discussioni del comitato sulle questioni inerenti alla manodopera ma che non rivelerà dove e come acquista le nocciole.

Non sappiamo nulla dei risultati dei programmi che hanno in atto” – ha detto – “non sappiamo nulla della differenza tra aziende certificate e non certificate; non ne abbiamo idea!”.

La Fair Labor Association ha una visione di gran lunga migliore della filiera Nestlé avendo collaborato con la stessa su un progetto pilota di 31 mesi patrocinato dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti. Nella migliore delle ipotesi, questi sforzi rappresentano un modesto inizio, come dichiarato dalla stessa Nestlé in un sondaggio del 2017 pubblicato sul suo sito web.

Oltre il 72% dei lavoratori ha riferito di avere a malapena il denaro per sopravvivere. Il 99% ha dichiarato di aver lavorato sette giorni su sette. Le questioni relative al lavoro minorile, ha affermato la compagnia, si sono “deteriorate nell’ultimo anno” a causa della guerra in Siria. Nestlé ha rifiutato di commentare questo articolo.

Per i rifugiati, l’agricoltura turca è sia un’ancora di salvezza che una continua prova. Nei cinque anni trascorsi da quando ha lasciato la sua patria, il signor Ibrahim, l’ex tassista, ha sviluppato un nuovo senso di ciò che costituisce la sfortuna.

Siamo fortunati!” – dice – “Possiamo sopravvivere qui. Non saremo mai ladri. Non dovremo mai mendicare per strada”.