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da Il Manifesto 30 aprile 2005

Idealservice, vittoria sulla coop

Cinque lavoratrici reintegrate, 15 accettano la buonuscita

Si è conclusa con una vittoria la vertenza che ha visto coinvolte le venti
lavoratrici della cooperativa Idealservice, rappresentate dall’associazione difesa
lavoratori.
«Siamo riusciti a strappare cinque posti di lavoro a tempo pieno –
spiegano i rappresentanti sindacali – e per altre quindici persone abbiamo ottenuto
un reddito non previsto da alcun ammortizzatore sociale». La vicenda è presto
riassunta: a giugno del 2004 la cooperativa (che si occupa di riciclaggio di
rifiuti) comunica a venti lavoratori (la maggior parte donne e migranti) dello
stabilimento di Rive d’Arcano (in provincia di Udine) di voler trasformare il loro
contratto da full time a part time. Per i lavoratori significa vedersi decurtato lo
stipendio in maniera drastica. Trecento, trecentocinquanta euro è ciò che
porterebbero a casa con il part time. Una miseria. La Cgil (alla quale molte delle
lavoratrici sono iscritte) suggerisce di accettare il tempo parziale. Ma alle
lavoratrici la cosa non sembra giusta. Chiedono consiglio allo sportello degli
invisibili e decidono di spostarsi verso l’associazione difesa lavoratori, che apre
una vertenza con l’azienda per molti versi inconsueta.
Quattro mesi di lotta che
hanno visto protagoniste le donne colpite dal provvedimento dell’impresa (che un
mese fa ha aperto le procedure di mobilità). Sono state le donne a prendere la
parola e a decidere le iniziative: ci sono stati scioperi, manifestazioni, presidi.
E, senza mai perdere di vista la loro condizione di migrante (che le rende
doppiamente ricattabili), hanno unito la loro lotta a quella contro la costruzione
del centro di permanenza di Gradisca, in Friuli. Perché perdere il lavoro, grazie
alla legge Bossi Fini, potrebbe significare per molte il rimpatrio, visto che il
permesso di soggiorno è legato al contratto.

La vertenza aperta dall’associazione difesa lavoratori ha coinvolto non soltanto la
coop ma anche le istituzioni. Ed anche questo è stato per molti versi un passaggio
inedito.
Nel senso che alle istituzioni il sindacato di base ha chiesto di garantire
del reddito, e non semplicemente di offrire solidarietà. In altre parole, la
richiesta alle istituzioni è stata quella di offrire alternative a queste
lavoratrici, da un posto di lavoro alla possibilità di accedere a corsi di
qualificazione che permettessero alle lavoratrici di imparare nuove mansioni e
quindi di essere più spendibili nel mercato del lavoro.
Ma la vertenza ha anche
scoperchiato la realtà di molti lavoratori nel nord est (e non solo): salari bassi
(alla Idealservice un full time è di 750 euro al mese, un part time di 350) e
condizioni di lavoro insopportabili. Non a caso proprio l’Idealservice (che è una
cooperativa con sei stabilimenti e 620 dipendenti, di cui un buon 20% è
rappresentato da lavoratori migranti) era stata protagonista di un’altra protesta.
Nello stabilimento di Ballò di Mirano (in provincia di Venezia), infatti, i
lavoratori sono costretti a sostenere ritmi di lavoro stressanti alla linea di
separazione dei rifiuti e hanno diritto a due pause di 15 minuti l’una.

La vertenza a Rive d’Arcano si è conclusa con il reinserimento di cinque persone
licenziate a tempo pieno e con le dimissioni volontarie di altre quindici. A queste
è stata pagata, alla fine di una trattativa, una buonuscita ritenuta dignitosa.
Questo esempio di lotta dal basso, che ha avuto come protagoniste le lavoratrici,
sostenute dalla vertenza di San Precario (come la definiscono adl e sportelli degli
invisibili) dimostra che è possibile intavolare trattative e soprattutto raggiungere
obiettivi anche quando le premesse non sono delle più rosee (nel settore non sono
previsti ammortizzatori e si è comunque riuscito a strappare un reddito).
L’auspicio
degli invisibili è che questa forma di lotta si espanda.