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Idomeni e il vertice UE

Foto: Idomeni, 4 marzo 2016

Il 7 marzo a Bruxelles si è svolto il vertice tra i leader dell’Unione Europea e il primo ministro turco, per prendere una decisione sulla crisi dei migranti per quanto riguarda
– la totale applicazione del Codice Frontiere Schengen e la chiusura definitiva della Balkan Route,
– il rinforzo degli aiuti umanitari ai profughi, soprattutto in Grecia.
Il vertice è stato rimandato di dieci giorni perché non si è riusciti ad arrivare ad un accordo che soddisfacesse tutte le parti chiamate in causa.
In questo incontro tra leaders si è continuato a parlare di chiusura invece che di apertura, di frontiere invece che di persone, tranne che per i profughi che fanno notizia, come se la vita di chi non fugge da una guerra valesse di meno, e di soldi invece che di diritti.

A Idomeni c’è chi sperava in questo incontro, perché spera ancora dell’Europa , e c’è chi invece era molto preoccupato perchè sapeva che non sarebbe uscito niente di buono da questo incontro e già si preparava immaginando le conseguenze, nella speranza che, come tutte le altre volte, di conseguenze non ce ne sarebbero state.

Ma questa volta conseguenze ce ne sono anche se il vertice si è concluso con un niente di fatto: l’unica cosa che continua a rimanere sicura infatti è la chiusura della Balkan Route, la Slovenia ha già chiuso i suoi punti di valico e la Macedonia non fa più passare nessuno. E’ stata stilata una bozza di accordo, anche se verrà ridiscussa nel prossimo vertice, e leggendo quello che è previsto in questo patto la prima cosa che salta all’occhio è uno spostamento della questione trattata, la gestione dei flussi migratori diventa strumentale ad altri fini.

La Turchia sta cercando di ottenere ciò che le interessa usando la questione delle migrazioni verso l’Europa come materia di scambio, questo dunque fa temere che la Turchia non abbia interesse a risolvere davvero la questione ma piuttosto a lasciarla in una condizione tale da poter continuare a sfruttarla il più possibile.

Secondo quanto deciso il 7 marzo inoltre, la Turchia dovrebbe diventare un Paese di raccolta dei profughi che attendono l’asilo in Europa mentre le partenze verso la Grecia attraverso il Mar Egeo saranno ostacolate.

Per quelli che riusciranno ad attraversare il mare è previsto il respingimento in Turchia, con uno scambio di uno a uno, un siriano accolto in Europa per un profugo respinto in Turchia. In questo baratto di persone non si specifica la natura dei migranti, solo siriani? E che ne sarà delle persone provenienti da altri Paesi? Non è un dettaglio da poco considerando che sono i migranti non siriani che più si rivolgono ai trafficanti, unica loro speranza di raggiungere l’Europa visto che il passaggio legale per loro è precluso, e che con questo accordo UE-Turchia si vorrebbe sconfiggere anche il mercato dei passuer.

I migranti afghani, iraniani, pakistani, marocchini sono quelli che stanno subendo più violazioni dei diritti umani ma rimangono nell’invisibilità e anzi vengono criminalizzati e strumentalizzati.

La sostanza di questo accordo è che, se fino adesso lo sbarramento era in Grecia o in vari punti della Balkan Route, adesso tutta quella che è definita “la crisi dei migranti” viene spostata in un Paese fuori dalla Fortezza Europa e, se prima il confine era aperto ai siriani, adesso è chiuso anche per loro. Ma il ruolo della Turchia nel compito di gestire i flussi migratori desta molte preoccupazioni: prima tra tutti il comportamento che la Turchia sta tenendo sia con i migranti che con i curdi nel sud-est del Paese, ma soprattutto il fatto che un lavoro così delicato e umanitario venga affidato ad un Paese che non brilla per il rispetto dei diritti umani fondamentali.

Anche l’UNHCR ha espresso la sua estrema preoccupazione e giudica questa intesa in contrasto sia con il diritto europeo che con quello internazionale. Non da meno i dubbi sull’uso che la Turchia farà dei finanziamenti che arriveranno dall’Europa che sono addirittura raddoppiati (6 miliardi di euro), deportazioni, respingimenti, centri di accoglienza/detenzione, ecc. Sicuramente la Turchia può mantenere la parola, ma chi vigilerà sul suo operato, soprattutto se non deve rispondere ai limiti e alle convenzioni umanitarie previste invece per i Paesi europei?

Intanto a Idomeni continuano le proteste, sporadiche, e le condizioni di vita sono ulteriormente peggiorate in questi due giorni perchè è arrivata la pioggia e il campo è sommerso dal fango, il confine è stato definitivamente chiuso. In Grecia si sta anche lavorando all’apertura degli hotspot, ne sono stati annunciati 15, quattro di prossima apertura. La situazione è in rapida evoluzione, ma non ci sono linee guida decise e determinate nel rispetto dei diritti umani, nonostante gli sforzi degli abitanti di Idomeni di denunciare la loro condizione.