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Idoneità dell’alloggio – Il problema dei nuovi nati

Ritorniamo a commentare una delle tante implicazioni sorte grazie alle novità introdotte dal nuovo regolamento di attuazione della legge c.d. Bossi – Fini (Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n.334 – “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 (supplemento ordinario n. 17/L) del 10 febbraio 2005). Ci si riferisce in particolare al requisito della idoneità dell’alloggio (si vedano gli artt. 8-bis e 35 del regolamento di attuazione), ossia alla necessità di dimostrare sempre il possesso di un alloggio idoneo, in relazione al numero degli occupanti, in base ai parametri previsti dalle norme regionali di edilizia residenziale pubblica.
Si tratta di un requisito richiesto per poter rinnovare il permesso di soggiorno (art. 13, comma 2-bis del regolamento di attuazione) e, secondo alcune questure, anche per mantenere la carta di soggiorno già precedentemente concessa (art. 9 del Testo Unico sull’Immigrazione e e art. 16 del regolamento di attuazione).
Il problema dell’idoneità dell’alloggio si sta riflettendo non solo sui rapporti di lavoro in corso, con conseguente difficoltà a mantenerli, ma anche sulla possibilità di stipularne di nuovi.
Una delle conseguenze di questa assurda condizione prevista dalla normativa è anche quella di far diventare delle persone clandestine – o far rischiare la clandestinità , se non addirittura la perdita di assegnazione di un alloggio popolare – per il solo fatto che il nucleo familiare si ingrandisce per la presenza di un nuovo figlio, che non arriva dall’estero ma nasce proprio in Italia.

Cosa succede quando nasce un nuovo figlio?
Aumenta il nucleo familiare e, quindi, aumenta il numero di occupanti di un appartamento; e ciò anche se si tratta di un “piccolo” nuovo inquilino, che però, dal punto di vista giuridico, conta come una persona e come tale deve essere considerato ai fini della verifica sul rispetto dei parametri previsti dalle leggi regionali.
Esempio pratico – Un appartamento è abitato da mamma, papà e due figli, ed è certificato come idoneo per quattro persone. Se nasce un figlio – secondo alcune questure, sempre di più – l’alloggio non è più idoneo e quindi, teoricamente, il padre o la madre (o entrambi) dovrebbero essere licenziati perchè vivono in una casa troppo piccola!!!.
Questa è la realtà che sta emergendo in modo sempre più preoccupante. Inoltre, oltre ad esservi le già menzionate difficoltà relative sia ai rinnovi dei permessi di soggiorno che all’inserimento del nuovo nato nella carta di soggiorno, emergono conseguenze anche per quanto riguarda l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Una sintesi eloquente di questa grave situazione è contenuta in una nota predisposta dal responsabile del centro lavoratori stranieri della CGIL di Bologna unitamente al responsabile del Sunia, indirizzata a Comune e Questura, concernente il problema del rinnovo dei permessi di soggiorno per stranieri che vivono in alloggi di edilizia residenziale pubblica. Nel documento viene esposta la situazione attuale relativa alla nascita dei figli dei cittadini stranieri e alle implicazioni che ciò può avere sulla idoneità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e, quindi, sul rinnovo dei permessi di soggiorno degli stessi.

Nel testo si legge: “Sono numerosi gli assegnatari che si rivolgono ai nostri uffici in merito ai problemi in oggetto. In questo momento ci preme sottoporre alla vostra attenzione uno, in particolare, quello relativo agli accrescimenti naturali del nucleo familiare. Per i cittadini stranieri residenti in alloggi di edilizia residenziale pubblica, la nascita di un figlio significa spesso rimettere in discussione tutto ciÒ che di stabile e positivo fino ad allora avevano realizzato.

Le strette regole sulle assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica e la ridotta mobilità allogiativa o possibilità di cambiare alloggio, fanno sì che un’abitazione idonea, al momento dell’assegnazione, non lo sia più a distanza di pochi mesi per la nascita di un figlio, e che questa condizione permanga per anni. Le altrettanto strette regole sui flussi migratori, non concedendo i permessi di soggiorno per inidoneità alloggiativa, rendono burocraticamente irregolare la posizione dei nuclei familiari che già da tempo avevano trovato casa e lavoro, cittadini oggettivamente in regola. Sappiamo che la problematica è ben più ampia: tocca chi è in alloggi privati e, perfino, chi ha già acquistato un alloggio. Ma vogliamo restare al problema in oggetto, perchè destinato a riproporsi con la nascita dei figli e a rendere precarie situazioni positive e consolidate, perchè anche se vengono introdotti nuovi parametri, ossia un nuovo rapporto più favorevole tra il numero delle persone e i mq, sarà egualmente frequente lo sforamento in occasione della nascita dei figli, con tempi di attesa non brevi per un nuovo alloggio idoneo, e perchè non vi è alcuna responsabilità dell’assegnatario, non è colpa sua, se ha deciso di fare un figlio e se, quindi, l’alloggio è troppo piccolo e l’ente ci mette troppo tempo per dargliene uno di più adeguato.
Non sono soluzioni auspicabili il rimpatrio di madre e neonato con rottura del nucleo familiare, ne privare del permesso di soggiorno un componente del nucleo familiare per far tornare i conti (rapporto tra persone e mq), in un momento che richiede particolari attenzioni e cure per il neonato.
Per questo, all’amministrazione comunale facciamo richiesta di un riesame dei parametri e di una riflessione in merito, per i prossimi bandi di edilizia residenziale pubblica, e una maggiore disponibilità per i cambi di alloggio, che oggi sono poche decine all’anno.
Alla questura chiediamo la concessione di permessi di soggiorno ai casi di assegnatari di edilizia residenziale pubblica, soprarichiamati, che documentino di essere in attesa di cambio di alloggio e che tale richiesta À¨ stata accolta dal Comune”.

Viene qui sintetizzata la situazione delle persone che vivono in un alloggio pubblico e che, per il fatto che è diventato troppo piccolo, rischiano di perderlo a causa dell’atteggiamento delle questure che rifiutano il rinnovo del pds o rifiutano di inserire il nuovo nato nella carta di soggiorno.
Va precisato che sull’argomento non può ancora ritenersi definito un orientamento interpretativo della magistratura, ossia non ci sono controversie già attivate e definite con provvedimenti giudiziari, in altre parole non c’è ancora un precedente che consenta di fornire una interpretazione diversa di queste disposizioni. Certo è che tutte le disposizioni previste fino all’entrata in vigore della legge c.d. Bossi- Fini (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) consideravano il nucleo familiare, quindi l’esigenza di un rapporto tra la superficie dell’alloggio e il numero di occupanti previsti, solo con riferimento all’ingresso dall’estero di familiari (si veda l’art 29, comma 3, lett. a) del Testo Unico sull’Immigrazione in materia di “Ricongiungimento familiare”), con la conseguenza che non si poneva assolutamente il problema dei nuovi nati in Italia.
Quindi, prima della c.d. Bossi – Fini, un nuovo nato non costituiva un problema, o non avrebbe dovuto costituirlo ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.
L’attuale intimo collegamento tra contratto di lavoro e certificato di idoneità dell’alloggio, ha già mostrato le proprie conseguenze nefaste per quanto riguarda la stabilità dei rapporti di lavoro. Questo stretto collegamento fa sì che, anche per quanto riguarda il rinnovo del pds o il mantenimento della carta di soggiorno, vi siano gli stessi rischi di vedersi opporre un rifiuto.
Ed è proprio la situazione segnalata nella nota della Cgil sopra riportata.
Naturalmente, non possiamo assicurare che le situazioni evidenziate siano difendibili e che le posizioni assunte dalle amministrazioni competenti siano illegittime; questo perchè, come sopra precisato, non ci sono ad oggi casi che ci risultino affrontati dall’autorità giudiziaria e definiti in un senso o nell’altro.
Se dovessimo considerare la questione sotto il profilo dei rapporti tra la famiglia di immigrati che già hanno ottenuto in assegnazione un alloggio popolare e l’ente che ha alla stessa assegnato l’alloggio, certamente sarebbe del tutto ridicolo considerare che l’alloggio non spetta più di diritto perchè la famiglia si è ingrandita. Non si potrebbe certo far pagare alla famiglia, che ha tutto il diritto di allargarsi, la carenza dell’ente pubblico che non è in grado di soddisfare, quando si verifica, la necessità di un alloggio più adeguato alle esigenze dell’accresciuto nucleo familiare. I famoso parametri stabiliti dalle norme regionali, infatti, riguardano proprio l’assegnazione degli alloggi popolari. Sembra ovvio che se l’ente competente all’assegnazione non rispetta, perchè non À¨ in grado, questi parametri, non possa farla pagare agli assegnatari. Quindi, da questo punto di vista, non dovrebbero e non potrebbero esservi problemi.

Il problema però è quello che, in alcuni casi già segnalatici, la questura non ha più rinnovato il pds, in considerazione della non adeguatezza dell’alloggio, all’intero nucleo familiare. Ovvio poi, si fa per dire, che senza permesso di soggiorno si decade dall’assegnazione dell’alloggio popolare. Per un nuovo nato pagherebbero tutti quelli che, fino a quel momento, sono stati in regola. Ciò discende dalla presunta applicazione del regolamento di attuazione, che estende a tutte le situazioni il collegamento tra contratto di soggiorno e certificato dell’idoneità dell’alloggio.

Le disposizioni relative sopra menzionate, come più volte sottolineato, vanno ben oltre l’esigenza di attuare norme contenute nel T.U. sull’Immigrazione in quanto, in realtà , sono creative di nuovi diritti e obblighi e di sanzioni indirette, quali la perdita del pds e, persino, la perdita dell’alloggio popolare regolarmente assegnato.
A fronte di controversie che, ormai, sono imminenti presso diverse autorità giudiziarie, speriamo che la questione fondamentale della denunciata illegittimità delle disposizioni del regolamento di attuazione, e quindi della loro necessaria disapplicazione da parte del giudice, trovi accoglimento già nelle prime interpretazioni dell’autorità giudiziaria competente. Altrimenti, le conseguenze – che già non hanno mancato di manifestarsi in termini di ritorno all’irregolarità – non mancheranno, come si può intuire facilmente sin d’ora, di dimostrarsi disastrose.