Il ministero dell’interno ha recentemente comunicato un calo negli sbarchi a Lampedusa, attorno al quindici per cento in meno, rispetto ai primi mesi dello scorso anno. A parte le condizioni meteo eccezionalmente negative che hanno caratterizzato, e continuano a caratterizzare, l’inizio del 2009, al punto che anche i traghetti di linea hanno saltato la maggior parte delle loro traversate, occorre ricordare come, se sono diminuiti gli “sbarchi”, sia aumentato il numero delle vittime, almeno di quelle note, perché tutti riconoscono da anni che molte imbarcazioni cariche di migranti affondano senza lasciare alcuna traccia.
La strage, silenziosa e spesso ignorata anche dai mezzi di informazione, continua, nulla si sa delle modalità di impiego e dei risultati dell’intervento delle unità di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che è impegnata da mesi nel Canale di Sicilia, a ridosso delle acque libiche e tunisine, per “contrastare l’immigrazione clandestina” e respingere verso i porti di partenza le imbarcazioni cariche di migranti. Un compito impossibile da assolvere, al di là della funzione “pedagogica” che la militarizzazione del Mediterraneo dovrebbe sortire. Di certo non sapremo mai quante saranno le vittime di queste operazioni di respingimento in alto mare.
Sempre più spesso però i cadaveri si impigliano nelle reti dei pescatori. Il prezzo imposto dalle rotte sempre più lunghe e difficili e dai mezzi a perdere che i trafficanti forniscono ai migranti per la traversata.
Il Ministero dell’interno aveva appena comunicato le ultime statistiche sugli arrivi a Lampedusa e l’ennesima tragedia ha immediatamente fatto comprendere, a quanti ne hanno avuto notizia, quali sono le reali “cause” della lieve diminuzione di sbarchi registrata in questi mesi a Lampedusa. Un battello pneumatico partito dalla Libia e diretto in Italia con a bordo un centinaio di persone è naufragato nel pomeriggio del 20 marzo al largo di Sfax, in Tunisia. Si contano 17 morti per annegamento e 50 dispersi, mentre 33 persone sono state tratte in salvo dalle unità della Marina tunisina. Lo scrive il quotidiano tunisino in lingua araba “Achourouk”, ripreso dalla stampa tedesca e francese, ma totalmente ignorato dalla stampa di regime in Italia. Ed in Sicilia non si riesce neppure a trovare in edicola il Manifesto o Liberazione, per una precisa politica della distribuzione e degli edicolanti che “cancellano” queste testate, le uniche a riferire di queste stragi e delle responsabilità di chi le determina con la politica della “fortezza Europa”.
Secondo le prime informazioni riferite dalla stampa tunisina, l’imbarcazione poi naufragata sarebbe partita dalle coste libiche e sarebbe entrata poi nelle acque territoriali tunisine, diretta verso l’Italia. In prossimità delle isole Kerkennah la barca, che trasportava un numero doppio di persone rispetto alla sua effettiva portata, è improvvisamente affondata. Stupisce quanto riferito dal giornale “Achourouk” , che sostiene che i migranti avrebbero chiamato in soccorso per telefono le unità navali tunisine.
Appare più probabile che si sia trattato di una operazione di respingimento in mare dopo che l’imbarcazione carica di migranti partita da un porto della Libia al confine con la Tunisia era stata intercettata dalle unità tunisine mentre stava risalendo verso nord in direzione di Lampedusa costeggiando le isole di Kerkennah, un luogo ben noto ai pescatori siciliani per i bassi fondali e per le onde impetuose che possono agitare il mare non appena il tempo peggiora. Una rotta che sembra diversa da quelle più dirette seguite in precedenza, probabilmente per il dispiegamento di maggiori controlli, a terra ed in mare, in territorio libico, in prossimità del porto della città di Zuwara, tradizionale punto di partenza delle “carrette del mare” stracariche di uomini, donne, minori.
Tutti i migranti giunti in Italia riferiscono, quando si trovano in difficoltà durante la traversata, di chiedere soccorso per telefono solo alle autorità italiane o maltesi, e non certo alle autorità di quei paesi dai quali sono partiti mettendo a rischio la vita e verso i quali potrebbero essere respinti. Il rovesciamento dell’imbarcazione, in questa ultima occasione, se alcuni dei naufraghi sono stati recuperati, deve essersi svolto proprio sotto gli occhi delle unità navali tunisine intervenute con rara tempestività. La temperatura dell’acqua in questa stagione non permette di sopravvivere in acqua più di qualche minuto. Siamo certi purtroppo che non conosceremo mai le circostanze reali nelle quali oltre sessanta persone, tra le quali certamente anche donne e bambini, hanno perso la vita dopo il rovesciamento della loro imbarcazione. Vogliamo solo augurarci che quel rovesciamento non sia stato causato dalle onde di un mezzo militare in azione di “pattugliamento congiunto”, magari sotto la supervisione dei mezzi aeronavali dell’agenzia dell’Unione Europea Frontex.
Secondo quanto riferito dalla stampa, la marina tunisina, “allertata” dalla telefonata di uno degli occupanti e da alcuni pescatori, è comunque riuscita a soccorrere 33 persone ed a recuperare 17 corpi. Circa cinquanta persone, tra le quali donne e bambini, sarebbero disperse. Probabilmente, se i pescatori fossero intervenuti tempestivamente, piuttosto che chiamare le forze di polizia, i superstiti sarebbero stati di più. Ma si sa anche quali sono le conseguenze, un processo penale, il sequestro dell’imbarcazione, il fermo prolungato dell’attività, per i pescatori che intervengono per salvare migranti irregolari.
Non si può dimenticare neppure cosa succede quando le imbarcazioni cariche di migranti, in maggioranza potenziali richiedenti asilo vengono respinte verso i porti di partenza. Si conosce da tempo, anche da report ufficiali, quale è la sorte dei migranti bloccati in mare e respinti a terra verso centri di detenzione o carceri vere e proprie.
La Libia, la Tunisia, l’Algeria o l’Egitto rimpatriano alcune centinaia di migranti in transito riconsegnandoli ai loro paesi, anche se corrono il rischio di subire torture, o altri trattamenti inumani e degradanti, ma anche questo purtroppo è più una operazione di immagine, che un effettivo strumento di contrasto dell’immigrazione clandestina. Chiunque ha i mezzi economici per corrompere una guardia, magari con una rimessa Western Union fatta da un parente in Europa, può proseguire il suo viaggio. Magari vendendo anche il proprio futuro, come avviene per le donne che si “vendono” pur di raggiungere l’Europa e poi, una volta a destinazione, finiscono nel giro della prostituzione. Tutto all’insegna di una contrattazione continua, sul terreno, nelle carceri come ai tavoli di governo, tanti migranti espulsi o trattenuti, tante commesse per le imprese di un paese europeo, tanti rifornimenti in tecnologie militari ai potentati nordafricani per un improbabile controllo delle frontiere meridionali tra la Libia il Chad e il Niger, tra l’Egitto e il Sudan, tra il Marocco e la Mauritania e il Mali. Tante le vittime nei deserti africani come nelle acque del Mediterraneo.
Cambiano le rotte e cambia la composizione e la provenienza dell’immigrazione irregolare che tenta di raggiungere Lampedusa, e sempre più spesso, oltre Malta, le coste della Sicilia sud-orientale, da Pozzallo a Porto Palo di Capo Passero. Tra gli immigrati soccorsi in mare dalle unità della nostra marina si trovano sempre più spesso donne e minori non accompagnati in fuga dall’inferno libico, come conferma Medici senza Frontiere (MSF), aumentati nel 2008 rispettivamente dell’11% e del 4,6%. Sempre più numerosi i migranti in fuga dalla Somalia, dall’Etiopia e dalla Nigeria, tutti potenziali richiedenti asilo, che giunti in Italia, piuttosto che avere accesso alla procedura di asilo, incappano in un provvedimento di espulsione o di “respingimento differito” disposto dal Questore, una condanna alla clandestinità permanente. Ma non mancano neppure tunisini o algerini in fuga dai regimi dei loro paesi. Tutti candidati a finire in fondo al mare, per effetto dell’inasprimento dei controlli praticati nelle acque del Canale di Sicilia con i pattugliamenti a mare targati Frontex.
Che fare di fronte a questa strage silenziosa?
Innanzitutto occorre chiudere la stagione dei processi ai comandanti di imbarcazioni civili che hanno salvato vite di migranti in procinto di annegare, come è successo nel caso della nave tedesca Cap Anamur nel 2004 e dei pescherecci tunisini alla fine dell’estate del 2007. Occorre ridare la serenità ai lavoratori del mare ed alle organizzazioni umanitarie che gli interventi di salvataggio non produrranno conseguenze penali, un modo per rendere più tempestive le operazioni di salvataggio e ridurre il numero delle vittime.
Bisogna adottare nuove regole di ingaggio e di collaborazione tra i numerosi pescherecci che operano nel Canale di Sicilia e i mezzi della marina, in modo da procedere al salvataggio subito dopo il primo avvistamento, senza attendere il tempo necessario per l’arrivo di una unità militare.
Le unità aeronavali di Frontex vanno riconvertite a compiti di salvataggio, e le loro attività devono essere rese pubbliche. In mare interviene per una operazione di salvataggio chi si trova più vicino, non necessariamente chi si trova su una imbarcazione militare. Vanno ridefinite le zone di competenza per gli interventi di salvataggio ( zone SAR) ed a quanti sono soccorsi deve essere garantito il diritto di chiedere asilo, quale che sia il porto di attracco. Uno sforzo che deve essere assolto dall’Unione Europea che deve venire in aiuto dei paesi meridionali più esposti, sostenendo in particolare la distribuzione successiva ( sharing) dei migranti giunti a Malta e a Cipro.
Si devono poi aprire veri e propri “corridoi umanitari” che consentano ai migranti in fuga dalla Libia di abbandonare quel paese verso altri stati, anche in Europa, nei quali il loro diritto di asilo possa essere riconosciuto. Va riconosciuto l’asilo extraterritoriale anche nei paesi di transito.
Per i migranti economici devono comunque essere garantiti i diritti fondamentali ed il diritto al rientro volontario nel paese di origine, e da li una effettiva possibilità di ingresso in Europa per ricerca di lavoro. Esattamente il contrario delle politiche migratorie che si stanno consolidato dietro il progetto di Unione Euro-mediterranea, fortemente voluto da Sarkozy e da Frattini, un progetto che nasce già morto, perché molti paesi del nord-africa, tra i quali la Libia, sono apertamente contrari.
Malgrado la crisi faccia credere il contrario, senza il contributo degli immigrati ( da regolarizzare) e senza il riconoscimento dei loro diritti fondamentali ( a partire dal diritto di asilo), senza giustizia sociale e senza solidarietà, l’Europa è condannata ad un rapido declino, economico, sociale ed anche demografico.
Per battere i politici venditori di fumo, gli imprenditori della “sicurezza”, che hanno costruito sugli allarmismi e sugli stati di emergenza le loro fortune elettorali, mentre sono gli autentici responsabili delle “stragi dell’immigrazione clandestina” e della moltiplicazione del numero degli immigrati irregolari, occorre mobilitare l’opinione pubblica, rinforzando le reti di difesa legale e sociale tra le due sponde del mediterraneo, dando voce ai parenti delle vittime dell’immigrazione clandestina, alle associazioni indipendenti che difendono i diritti dei migranti nei paesi di transito, a quei coraggiosi giornalisti indipendenti che testimoniano ogni giorno il fallimento delle politiche securitarie degli stati europei ed il loro costo in termini di vite umane.
– “Così le navi di Frontex ci respinsero in Libia” – La storia di tre liberiani