Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Il coniuge di cittadino italiano, colpito da precedente espulsione, può entrare in Italia anche senza visto?

Si tratta di uno dei tanti problemi legati alla coesione familiare che sono stati creati dalla normativa vigente e dalla prassi burocratica che si dimostra, ancora una volta, poco sensibile alle esigenze basilari di qualsiasi essere umano.
In questo caso possiamo solo fornire un parere rispetto alla valutazione giuridica della questione prospettataci nel quesito. Consideriamo sia peraltro importante dare risonanza a queste vicende che ci vengono segnalate sempre più numerose.
E’ giusto osservare prima di tutto che, secondo le norme vigenti, questa signora ha tutto il diritto di entrare in Italia. Quest’ultima è stata colpita da un provvedimento di espulsione in Italia, ma rispetto a quel provvedimento, è già stato emesso il decreto del Ministero dell’Interno di “speciale autorizzazione” a rientrare nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 13, comma 13, del T.U. sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286).
Durante l’iter per il rilascio del visto di ingresso, è emersa, in base alle procedure di consultazione consolare, una vecchia espulsione emessa dall’autorità della Grecia nel giugno 2003. Tale espulsione è stata segnalata nel Sistema Informativo Schengen (SIS) che, come previsto all’art. 92 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Shengen (Accordo di Shengen del 14 giugno 1985 e Convenzione di applicazione del 19 giugno 1990) “consente alle autorità designate dalle Parti contraenti, per mezzo di una procedura d’interrogazione automatizzata, di disporre di segnalazioni di persone e di oggetti, in occasione di controlli alle frontiere, di verifiche e di altri controlli di polizia e doganali effettuati all’interno del paese conformemente al diritto nazionale nonché, per la sola categoria di segnalazioni di cui all’art. 96, ai fini della procedura del rilascio di visti, del rilascio dei documenti di soggiorno e dell’amministrazione degli stranieri …”.
All’art. 96 si prevede che “I dati relativi agli stranieri segnalati ai fini della non ammissione sono inseriti in base ad una segnalazione nazionale risultante da decisioni prese nel rispetto delle norme procedurali previste dalla legislazione nazionale, dalle autorità amministrative o dai competenti organi giurisdizionali”. In particolare “le decisioni possono essere fondate sul fatto che lo straniero è stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o di espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto di ingresso o eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri” . In base alle disposizioni di carattere generale della Convenzione (v. art. 5, comma 1, lett. d)) la segnalazione ai fini della non ammissione avrebbe un effetto ostativo all’ingresso in qualsiasi altro paese aderente allo spazio Schengen. Queste sono le norme di carattere generale ma, nel caso specifico, non si è tenuto conto di ciò che risulta evidente: la signora è moglie di un cittadino italiano e il matrimonio risulta registrato da tempo. In effetti il Ministero dell’Interno ha tenuto conto di tali circostanze e, da questo punto di vista, l’interessata ha uno stato giuridico del tutto particolare e privilegiato. In casi di questo genere la Convenzione di Schengen prevede la possibilità per gli stati membri di concedere comunque – in deroga alle norme generali della Convenzione – un visto a validità territoriale limitata (art. 5, comma 2 e art. 25), ovvero un visto che consente l’ingresso esclusivamente nel paese che ha rilasciato questa specifica autorizzazione e non in altri paesi appartenenti allo spazio Schengen, stante la permanenza della segnalazione nel SIS.
Ma, a ben guardare, non si tratterebbe nemmeno di affrontare la questione in questi termini perché il problema relativo alla concessione o meno di un visto a validità territoriale limitata riguarda la condizione di cittadino extracomunitario non ulteriormente qualificato. Infatti è possibile rilasciare un visto di questo tipo, per motivi umanitari o di interesse nazionale ovvero in virtù di obblighi internazionali” (art. 5, comma 2). E’ evidente che l’esigenza di marito e moglie di vivere insieme ha un carattere indubbiamente umanitario oltre che essere di buon senso.
Nel caso segnalatoci, si può dire che la persona interessata ha un vero e proprio diritto soggettivo all’ingresso nel territorio italiano. Questo perché è coniuge di un cittadino italiano e, quindi, si vede estendere automaticamente lo status giuridico di cittadino comunitario.
Il d.p.r. 18 gennaio 2002, n. 54 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea – GU n. 83 del 9 aprile 2002, supplemento ordinario) prevede espressamente che ai prossimi congiunti di cittadini comunitari si estendono tutte le disposizioni in materia di libertà di circolazione negli Stati membri dell’UE. Ne discende che questa persona, dovendo essere trattata come un cittadino comunitario non dovrebbe più soffrire minimamente delle circostanze ostative rappresentate dalla segnalazione del SIS; e ciò perchè la segnalazione vale esclusivamente per i cittadini extracomunitari.
Non esistono segnalazioni Schengen ostative alla libera circolazione nei confronti di cittadini comunitari; questi ultimi, in base al Trattato Istitutivo della Comunità europea (TCE) possono vedersi limitata la libertà di circolazione, ad esempio ai fini di una attività di lavoro dipendente (art. 39 ss. TCE) o ai fini dello stabilimento (art. 43 s. TCE), solo per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica (vedi artt. 39, comma 3 e art. 46 TCE).
Non è il caso della persona interessata che è stata semplicemente colpita da un provvedimento di espulsione perchè si trovava in condizioni di irregolarità nel territorio dello spazio Schengen. Si tratta pertanto di una semplice violazione amministrativa.
Che si tratti di una persona che ha tutto il diritto di vedersi riconosciuto lo status giuridico di cittadina comunitaria con tutte le conseguenze che ciò comporta, risulta, non solo dalle norme sopra menzionate, ma anche dal Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), che all’art. 28 (Diritto all’unità familiare) prevede espressamente che “Il diritto a mantenere o a riacquistare l’unità familiare è riconosciuto … agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o per lavoro autonomo ovvero per asilo, per studio o per motivi religiosi”. Al comma 2 si prevede che “I familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica del 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più favorevoli della presente legge o del regolamento di attuazione.
Cosa significa questa norma?
Significa che ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, continuano ad applicarsi le norme sulla libertà di circolazione nello spazio unico europeo. Dette norme (recepite in Italia con il Dpr n.1656 del 1965 recante Norme sulla circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri della CEE) si sono poi evolute e l’attuale testo vigente del 2002 sopra menzionato, prevede incondizionatamente questa libertà, così come il diritto di svolgere attività lavorativa – sia autonoma che subordinata -, e il diritto di stabilirsi unicamente per ragioni connesse ai vincoli di carattere familiare o ad altri interessi del cittadino. Poiché è pacifico che l’art. 28 del Testo Unico sull’Immigrazione sopra riportato equipara a tutti gli effetti il familiare straniero di cittadino italiano ai cittadini comunitari, le norme della Convenzionae di Schengen sopra richiamate non devono essere applicate. Quindi, a maggior ragione, il consolato italiano competente dovrebbe rilasciare un visto di ingresso che non dovrebbe essere nemmeno soggetto ad una limitazione territoriale.
In ogni caso è facoltà degli interessati richiedere formalmente all’autorità che ha il controllo della banca dati nazionale Schengen della Grecia, anche la cancellazione dal SIS proprio perchè questa persona, in quanto avente diritto ad uno status giuridico che è quello di cittadino comunitario, non è più “cliente” della stessa.
L’interessato si è addirittura rivolto alla segreteria della Presidenza della Repubblica ottenendo in qualche modo assicurazioni di interessamento, tant’è che ha successivamente ricevuto una telefonata nella quale si voleva verificare se effettivamente aveva avuto seguito la procedura di rilascio del visto di ingresso. Evidentemente la segreteria della Presidenza della Repubblica confidava che l’avere caldeggiato l’accoglimento dell’istanza di rilascio del visto di ingresso avesse sortito il suo effetto. Invece il consolato competente continua ad avere dei problemi in tal senso.
Fra l’altro, dal punto di vista pratico, non sappiamo se formalmente è stata presentata una richiesta di rilascio del visto di ingresso perché ciò non si deduce dal quesito inviatoci. Dal momento che si tratta di un atto scritto, il consolato non può limitarsi a dare una risposta verbale. Si dovrà rilasciare invece un provvedimento scritto e motivato. Sarebbe curioso conoscere le motivazioni secondo le quali viene rifiutato il rilascio del visto di ingresso perché – come abbiamo già detto – motivazioni giuridiche sostenibili non riusciamo a vederne.

Quello che possiamo consigliare all’interessato, oltre che rivolgersi nuovamente alla segreteria della Presidenza delle Repubblica (per rappresentare non solo la sua delusione, ma, soprattutto, la circostanza che la vicenda rimane irrisolta), è anche di esigere un provvedimento scritto e motivato presso il competente consolato italiano. Eventualmente, se non si riuscisse ad ottenere questo provvedimento, si può formalizzare (con notifica attraverso gli ufficiali giudiziari in Italia) una diffida o messa in mora nei confronti del Ministero degli Esteri e del competente consolato italiano, affinché provvedano a riscontrare l’istanza di rilascio del visto di ingresso rappresentando i motivi che giustificano o comportano necessariamente la concessione dello stesso.

Il rimedio ordinariamente previsto sarebbe quello di impugnare il provvedimento, scritto e motivato, di diniego del rilascio del visto di ingresso avanti al competente Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio con un procedimento ordinario, senza che vi sia la possibilità di ottenere un procedimento urgente e provvisorio che intanto risolva il problema in attesa della sentenza. Quindi, dovremmo prospettare all’interessato tempi ancora molto lunghi per perfezionare questa ricongiunzione.
Il paradosso è quello che, se questa signora si trovasse – anche se arrivata in condizioni irregolari – di fatto qui in Italia, nessuno potrebbe negarle un permesso di soggiorno per motivi familiari valido anche per motivi di lavoro, a fronte del quale trascorsi i sei mesi dall’inizio della residenza in Italia, avrebbe tutto il diritto di iniziare la procedura per l’acquisto della cittadinanza italiana.

Infatti, l’art. 19, comma 2, lett. c) del T.U. sull’Immigrazione (Divieti di espulsione e di respingimento) prevede espressamente il divieto di espulsione e il correlativo obbligo di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, valido anche per lavoro, agli “stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana”. Ne discende che, se la signora fosse già in Italia (anche se giunta in condizioni non regolari), non sarebbe sanzionabile e, soprattutto, avrebbe il diritto immediato di ottenere un permesso di soggiorno.
Non vi sono dubbi in tal senso perché si tratta di una prassi costante. Anche nel caso di persone che hanno precedenti penali, a condizione che non siano tali da farle considerare pericolose per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico, la prassi delle questure è quella di rilasciare il permesso di soggiorno.

A sostegno di quanto sopra esposto si ricorda infine che un recente decreto del Tribunale di Firenze datato 27 marzo 2004, già commentato, ha sostanzialmente precisato ancora una volta che il cittadino straniero coniuge di cittadino comunitario ha diritto al rilascio del permesso di soggiorno per famiglia, a prescindere dalla regolarità del suo ingresso in Italia.
Il Tribunale di Firenze si riferisce all’art. 3 del d.p.r. 18 gennaio 2002 n. 54 (“Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea” in G.U. n. 83 del 9 aprile 2002 – Supplemento ordinario n. 69) precisando che lo stesso prevede l’automatico rilascio del titolo di soggiorno (ovvero della carta di soggiorno) al coniuge di cittadino comunitario, senza che l’esercizio del diritto al soggiorno sia subordinato a un precedente ingresso regolare in Italia da parte dell’interessato. D’altra parte, poiché il coniuge extracomunitario di cittadino comunitario è equiparato ad un cittadino comunitario (in altre parole, beneficia dell’estensione dello status giuridico del coniuge comunitario), non ha senso nemmeno parlare di ingresso regolare o meno, se si considera la piena libertà di circolazione riconosciuta ai comunitari.
Una diversa interpretazione della norma non garantirebbe la tutela della vita famigliare ai cittadini europei e quindi contrasterebbe con diverse direttive comunitarie (si pensi ad esempio alle direttive 68/360 in GUCE L 2 del 1 gennaio 1973 e 73/148 in GUCE L 172 del 28 giugno 1973) come riconosciuto recentemente anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenza del 25 luglio 2002. Si tratta del procedimento C- 459/99 instauratosi tra il Mouvement contre le racisme, l’antisémitisme et la xénofobie ASBL (MRAX) e lo Stato belga.
La cosa è molto semplice e chiara… Eppure problemi di questo tipo continuano a prodursi e con tempi di attesa esorbitanti e ingiustificabili anche dal punto di vista di un’eventuale accumulo di pratiche amministrative presso gli uffici competenti.