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da guardian.co.uk del 20 ottobre 2010

Il controverso patto dell’UE sui rifugiati

Ad agosto Muammar Gheddafi ha dichiarato che l’UE dovrebbe pagare almeno 5 miliardi di Euro all’anno alla Libia per fermare l’immigrazione irregolare dall’Africa ed evitare una “Europa nera”. Questo mese, il Commissario europeo per gli affari interni, Cecilia Malmström, e il Commissario europeo per la politica di vicinato, Stefan Füle, hanno incontrato le autorità libiche per concludere un accordo su immigrazione e asilo. Secondo la Commissione europea, il sostegno finanziario dell’UE per la Libia sarà di 50 milioni di Euro complessivi durante i prossimi tre anni.

Secondo l’European Council on Refugees and Exiles (ECRE), che riunisce più di 60 organizzazioni di assistenza ai rifugiati in tutt’Europa, i negoziati sull’immigrazione tra l’UE e la dittatura libica rappresentano una delle sfide più pressanti per la protezione dei rifugiati in Europa.

È difficile capire perché l’UE affidi al regime di Gheddafi il compito di fermare l’immigrazione verso l’Europa e di decidere la sorte dei rifugiati, i quali ora avranno ulteriori difficoltà per raggiungere un posto sicuro. Davvero pensiamo che i rifugiati siano al sicuro in Libia, o abbiamo così tanta paura del numero dei rifugiati che cercano di raggiungere le nostre sponde, da essere pronti ad abbandonare i nostri standard sui diritti umani?

L’anno scorso, circa 250.000 persone hanno fatto domanda di asilo nei 27 Stati membri dell’UE – più o meno lo stesso numero dei rifugiati somali che vivono nel campo profughi di Dadaab in Kenya, e circa la metà del numero delle guardie di frontiera che lavorano in Europa.

La Libia non è fra le parti contraenti della Convenzione ONU sui rifugiati del 1951, e non ha una procedura per le richieste di asilo o un sistema di protezione dei rifugiati. Le persone che cercano protezione spesso vengono arrestate, talora per lunghi periodi, in condizioni deplorevoli. Gli immigrati rischiano di essere sottoposti a maltrattamenti e abbandonati nel deserto. Lo scorso giugno, la Libia ha chiesto all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ACNUR, di chiudere le sue sedi nel paese, un’altra dimostrazione della particolare interpretazione della protezione dei rifugiati da parte della Libia, e dell’inaffidabilità del regime di Gheddafi.

I rappresentanti UE si sono impegnati ad assistere Tripoli per rafforzare la sua abilità di impedire l’ingresso di immigranti attraverso la frontiera meridionale e per sviluppare le sue capacità di pattugliamento nelle acque territoriali ed internazionali. L’accordo copre anche l’assistenza offerta dall’UE alla Libia nel valutare le domande degli immigrati per identificare coloro che hanno bisogno di protezione internazionale.

Con l’istituzione di centri d’esame delle richieste d’asilo in Libia sponsorizzati dall’UE, gli Stati UE si sottrarrebbero agli obblighi di proteggere i rifugiati e trasferirebbero la responsabilità ad un paese con una reputazione terrificante in materia di diritti umani. Come farebbe l’UE ad accertarsi che tali centri operanti in Libia rispettino gli standard UE sulla protezione internazionale e persino gli obblighi più basilari in materia di diritti umani?

Infine, la Commissione europea si è impegnata a prestare assistenza a Tripoli reinsediando in Stati membri UE “alcuni” dei rifugiati riconosciuti in Libia. L’UE dovrebbe chiarire come intende proteggere gli individui riconosciuti come bisognosi di protezione per evitare la massiccia detenzione a lungo termine di rifugiati. Ad esempio, in Turchia, 10.000 rifugiati riconosciuti dall’ACNUR rimangono lì senza poter beneficiare della protezione di cui hanno bisogno, e in attesa di reinsediamento in paesi terzi sicuri. L’anno scorso, gli Stati UE hanno reinsediato meno di 7.000 rifugiati a livello mondiale, un numero ridottissimo rispetto alle 800.000 persone che hanno bisogno di essere reinsediate.

Il dibattito intorno alla prassi di delegare a paesi terzi l’esame delle domande dei richiedenti asilo non è nuovo. Simili proposte sono state discusse e respinte in passato in quanto incompatibili con la normativa sui diritti umani. Quando cercava sostegno per il suo programma nel 2004, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso aveva dichiarato senza equivoci dinanzi ai membri del Parlamento europeo: “Vi assicuro che sono contrario all’istituzione di campi profughi fuori dall’Unione”. Adesso, durante il suo secondo mandato, tali proposte sono tuttora insostenibili e illecite.

Bjarte Vandvik è segretario generale dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE), una rete di 69 organizzazioni per l’assistenza ai rifugiati in 30 paesi europei.

Traduzione tratta da Medarabnews.com