Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Il diritto all’ingresso ed al soggiorno per ricongiungimento familiare del cittadino extracomunitario con cittadino italiano è legittimo in presenza di una situazione connotata da almeno due anni dal requisito della “convivenza”, da intendersi notoriamente come “consortium vitae”

Sentenza Tribunale di Genova del 04/02/2015

R., originario della Repubblica Dominicana, è giunto in Italia nell’ottobre del 2012 munito di regolare visto di ingresso ed ha richiesto il rilascio – nei termini di legge – di un permesso di soggiorno per motivi familiari poiché fratello di cittadina italiana.
Fissato il proprio domicilio presso l’abitazione di quest’ultima, insieme alla madre, ad un’altra sorella e la nipote, R. ha ricevuto, nel mese di settembre 2013, la comunicazione concernente i motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno, ex art 10 bis della L. 241/1990 con la quale la P. A. avvertiva dell’intenzione di rifiutare la concessione del permesso per una asserita mancata convivenza.
Nonostante le numerose comunicazioni ed osservazioni segnalate alla P.A., le testimonianze allegate attestanti l’effettiva convivenza di R. con il suo nucleo famigliare, la Questura di Genova ha notificato un provvedimento con cui ha disposto il rigetto del rilascio del permesso di soggiorno ritenendo, sulla base di un’interpretazione restrittiva della norma, che R. “non necessitasse di assistenza né fosse a carico della sorella per gravi motivi di salute”, escludendo inoltre l’effettiva convivenza con la sorella per non averla mai rintracciata in occasione dei vari sopralluoghi effettuati.
Avverso tale provvedimento è stato esperito ricorso volto a consentire a R. di ottenere il permesso di soggiorno come suo diritto.
Il Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sulla vertenza ha favorito, invece, una lettura differente e più attenta della norma, all’esito di una valutazione della fattispecie concreta, una volta esaurita la fase istruttoria.
Sotto un primo profilo, infatti, ha riconosciuto che il diritto all’ingresso ed al soggiorno per ricongiungimento familiare del cittadino extracomunitario con cittadino italiano è regolato dalla disciplina normativa di derivazione comunitaria introdotta dal D. Lgs. 6.2.2007, n. 30, (che ha recepito la Direttiva 2004/38/CE) e che pertanto “tale diritto non può essere riconosciuto ad un cittadino straniero collaterale del cittadino italiano in quanto tale vincolo di parentela non è compreso nella definizione normativa di “familiare” contenuta nell’art. 2 del citato D. Legislativo”. Ha affermato, inoltre, che “nemmeno un interpretazione estensiva della norma da ultimo citata può essere giustificata dal successivo art. 3, che prefigura la possibilità di un’estensione della nozione di “familiare”, ma esclusivamente in presenza di specifiche condizioni , quali una seria infermità, l’essere a carico del cittadino italiano, di cui è necessario dimostrare l’esistenza” (Cfr. ord. Corte Cass. 17.12.2010, n. 25661): elementi, questi, neppure allegati come sussistenti nella specie.
Sotto diverso profilo, ha però sottolineato che:“gli esiti dell’istruttoria orale in questa sede svolta sia a mezzo dell’acquisizione di numerose testimonianze scritte (ritenute aventi valore indiziario) sia a mezzo dell’audizione della sorella e della madre del ricorrente consentono di ricostruire i fatti in modo difforme da quanto espletato alla luce degli accertamenti effettuati dall’Autorità posto che la stessa citata sorella ha riferito con univocità che da due anni il ricorrente vive con lei, con sua mamma e con sua sorella e sua figlia, spiegando altresì che – quando la Questura ha svolto gli accertamenti io
non c’ero perché all’epoca lavoravo presso Fincantieri sempre come pulizie ed andavo via presto la mattina e tornavo la sera tardi – circostanze del tutto concordanti con quanto riferito dalla madre del ricorrente, che ha altresì precisato che è la sorella del ricorrente e cioè la cittadina italiana J. a provvedere al loro mantenimento oltre che dal teste T., del tutto indifferente perché mero amico del ricorrente, con ciò descrivendo, tutti, una situazione connotata da almeno due anni dal requisito della “convivenza”, – da intendersi notoriamente come “consortium vitae” – e quindi non solo come una mera convivenza formale, ma anche in senso sostanziale e cioè come comunione di vita e di assistenza reciproca, la cui prova grava sul richiedente che nella specie l’ha fornita”.
Tenendo conto ancora che “ai fini della valutazione delle risultanze istruttorie, non priva di rilievo può rimanere l’ ulteriore circostanza risultante dagli atti a mente della quale il ricorrente non ha precedenti penali e quindi da tempo vive in Italia nel pieno rispetto delle leggi, così come risulta dai certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti prodotti” il Giudice ha quindi ritenuto che, in questa situazione, ricorresse il presupposto di cui all’art 19, comma 2, lettera c) D. Lvo 286/1998per il rilascio del permesso di soggiorno richiesto e che pertanto il ricorso dovesse essere accolto, annullando il decreto emesso dal Questore della Provincia di Genova in data 29.9.2013 con il quale R. si era visto negare rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Avv.ti Alessandra Ballerini e Matteo Buffa

– Scarica la sentenza
Sentenza Tribunale di Genova del 04/02/2015