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Il diritto di asilo, diritto negato

Riflessioni dell'avv. Paolo Cognini*

Sono entrate in vigore le modifiche del regolamento che erano rimaste congelate fino al 2002.
Il regolamento è stato fortemente criticato da istituzioni ufficiali, come l’Acnur, la quale ha rilevato da subito come questo regolamento andasse a restringere, così come è strutturato, i diritto e le tutele poste per chi chiede lo status di rifugiato.
Analizzare il diritto d’asilo in Italia ed in Europa è una questione centrale, non solo perché è stata modificata la normativa, ma perché il diritto di asilo è una sorta di indicatore sociale, ed è sempre stato associato ad un fattore di solidarietà nei confronti di chi subisce delle pressioni, delle discriminazioni ed ha la possibilità di ricevere una protezione.
Il Regolamento di attuazione è stato reso operativo dal 21 aprile di questo anno. La situazione si presenta caotica, anche perché questa nuova normativa determina un arretramento generale sul terreno della tutela di chi chiede asilo o lo status di rifugiato.

Richiedente asilo e rifugiato. La differenza
Nel regolamento di attuazione, nella sua parte introduttiva, quando si parla di richiedente asilo, si intende colui che chiede asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra.
La Convenzione di Ginevra è stata sottoscritta nel 1951, ed è diventata esecutiva in Italia nel 1954. E’ una convenzione internazionale che predispone gli strumenti a tutela di coloro che si trovano nella condizione di persecuzione per motivi di razza, religione, per opinione politica o di appartenenza ad un determinato gruppo etnico o per appartenenza ad una particolare comunità. Questo è un aspetto del diritto d’asilo che è tutelato dalla Convenzione.
Per quanto riguarda la situazione italiana, il diritto d’asilo è tutelato anche dalla Costituzione, all’articolo 10, in cui è espresso che venga garantito l’asilo a coloro cui non viene garantito nel proprio paese l’esercizio delle stesse libertà democratiche previste dalla nostra Costituzione. L’articolo 10 non è stato mai reso esecutivo con una legge applicativa perché è stato sempre ritenuto che potesse determinare una tutela troppo ampia.
La prima cosa che colpisce della nuova normativa è il fatto che il richiedente asilo, contrariamente a tutte le procedure che hanno caratterizzato la tutela di questo diritto negli anni precedenti, viene sottoposto, nel momento in cui formula la richiesta d’asilo, ad un procedimento e ad una misura di trattenimento.
Fino al 21 aprile questa procedura non esisteva, la vecchia normativa consentiva di formulare la richiesta, e successivamente, colui che l’aveva formulata rimaneva in libertà di movimento nel nostro paese fino agli esiti della procedura. Attualmente vengono previste delle ipotesi: alcune di carattere facoltativo, altre obbligatorie, in base alle quali è disposto il trattenimento direttamente dal questore.
C’è un trucco che è stato elaborato dal legislatore italiano: secondo la Convenzione di Ginevra non si potrebbe trattenere un soggetto per il semplice fatto che ha richiesto l’asilo. Vengono poi definiti dei casi particolari in cui il richiedente asilo può essere trattenuto in un Centro di Identificazione.
Vengono enucleate delle circostanze nell’ambito delle quali il Governo trova la possibilità di disporre, tramite gli organi di polizia, il trattenimento del richiedente. Se andiamo a vedere quali sono i casi previsti dalla legge, ci rendiamo conto che questi sono strutturati in maniera tale da consentire il trattenimento sempre.
Questo perché la legge fa una distinzione: da un lato prevede l’ipotesi in cui il trattenimento può essere disposto dal questore in maniera facoltativa, cioè, il questore, valutato il caso, decide se in quella situazione è opportuno o meno disporre il trattenimento.

In quali casi il richiedente asilo può essere trattenuto attraverso il provvedimento del questore.
Il questore ha la facoltà di trattenere il richiedente asilo quando questi viene fermato alla frontiera in assenza di un documento di identità o di documenti di viaggio. E’ un caso che si verifica quasi sempre, dal momento che colui che scappa da un paese perché perseguitato, difficilmente avrà con sé la documentazione che dimostri la loro identità.

Un altro caso in cui è previsto il trattenimento, è il fatto che non siano immediatamente disponibili al momento in cui il richiedente asilo viene fermato, gli elementi sulla base dei quali egli potrebbe formulare la richiesta di asilo.
Un’altra eventualità in cui è possibile il trattenimento è quando il richiedente asilo ha in corso altri procedimenti per accedere all’interno dello Stato in cui fa richiesta di asilo.

Quando è obbligatorio il trattenimento?
E’ obbligatorio in tutti i casi in cui il richiedente asilo abbia eluso o tentato di eludere i controlli della frontiera, quindi nel 99% dei casi, visto che quasi tutti i richiedenti asilo arrivano in condizioni di fortuna nel nostro Paese.
E’ molto difficile che un richiedente arrivi alla frontiera con tutti i documenti e formuli la richiesta nel momento in cui accede all’interno dello Stato italiano. Normalmente si tratta di persone che arrivano in circostanze rocambolesche nel nostro territorio e quindi vi entrano avendo eluso i controlli di frontiera o comunque, risulta in condizioni irregolari perché sta scappando. L’altro caso in cui è obbligatorio disporre il trattenimento è quando risultano a carico del richiedente asilo già precedenti provvedimenti di espulsione. Questo perché, dice il Governo, dal momento che molti che avevano già procedimenti di espulsione a carico, utilizzavano la richiesta di asilo per bloccare l’espulsione.
Da questi elementi si capisce che da ora in poi la realtà dei richiedenti asilo in Italia sarà una situazione di trattenimento, cioè quasi tutti si troveranno nella condizione di essere trattenuti all’interno dei Centri di Identificazione.

I Centri di Identificazione
I Centri di Identificazione sono delle strutture assimilabili ai CPT. Questo comporta che con la nuova normativa, quelle strutture che sono state spesso criticate e contro cui si sono messe in campo delle azioni per bloccarne la riproduzione nei nostri territori, vengono utilizzate per trattenere chi chiede asilo nel nostro paese.
I Centri di Identificazione vengono, il più delle volte, realizzati all’interno dei CPT, si stanno costruendo delle sezioni speciali proprio all’interno dei Centri di permanenza temporanea.
La situazione all’interno dei CPT è sempre più grave, lo testimonia anche il Rapporto di Medici senza Frontiere, con continue violazioni dei più elementari diritti umani.
Siamo di fronte a delle strutture restrittive molto forti e violente, con controlli simili alle strutture carcerarie.
Il primo elemento grave che stravolge la filosofia giuridica che si è costruita attorno al diritto d’asilo è proprio il concetto che il richiedente è un soggetto a cui va tolta la libertà personale; viene sottoposto ad operazioni di controllo e la sua domanda viene valutata in tempi non credibili- 20 giorni per chi si trova nei centri di identificazione; 35 giorni, che è il tempo ordinario previsto per la procedura in relazione a quei pochissimi richiedenti asilo che avranno avuto la fortuna di non essere sottoposti a provvedimenti di trattenimento.
Nel regolamento che è entrato in vigore il 21 aprile c’è una parte che riguarda il funzionamento dei CDI. Viene nominato un direttore nell’ambito di una convenzione che stipula la Prefettura, quindi un rappresentante del Governo, quindi un soggetto fortemente schierato dalla parte dell’amministrazione del Ministro degli Interni.

L’ora d’aria
All’interno dei CDI vengono fissate delle fasce orarie che vanno rispettate. C’è la possibilità di uscire in quelle fasce orarie, ma questo vale solo per coloro che non rientrano nelle categorie, cioè che non si trovano nella condizione di irregolarità nel territorio, e di conseguenza pochissimi potranno uscire dal centro.

Negli altri casi bisognerà richiedere l’autorizzazione al direttore. Per quanto riguarda chi ha dei provvedimenti di espulsione a carico non viene collocato in CDI, ma direttamente nei CPT. Un eventuale allontanamento dal CDI senza autorizzazione del direttore equivale, per la legge italiana, alla rinuncia della richiesta di asilo, quindi viene considerato un clandestino.

Chi valuta la richiesta di asilo
Viene valutata da una serie di Commissioni, le famose Commissioni Territoriali che agiscono secondo i tempi detti già sopra: 20 giorni per chi si trova all’interno dei centri di identificazione; 35 giorni per chi non è in condizioni di trattenimento.
E’ difficile verificare in maniera seria se sussistono le condizioni per la concessione dello status di rifugiato in un tempo così breve; o meglio potrebbe anche essere una cosa positiva il fatto che la richiesta di asilo viene analizzata in tempi brevi, se però ci fosse, in caso di diniego dello status di rifugiato, la possibilità di ricorso che sospende la procedura di allontanamento del richiedente dallo Stato italiano.
Le Commissioni Territoriali sono composte da personale che è stato formato in questo periodo, con corsi di formazione che si stanno tenendo a Roma, quindi non idonei e non professionali.
La Commissione, in un tempo così breve deve valutare la richiesta e deve prendere il provvedimento finale, questo lasso di tempo così breve non permette di analizzare la condizione reale del richiedente. Nel momento in cui viene respinta la richiesta di asilo, sarebbe logico immaginare che ci sia un rimedio giurisdizionale, cioè una possibilità di fare ricorso affinché la domanda venga rivalutata, ma in base alla legge non c’è la possibilità di sospendere l’esecuzione dell’espulsione. Conclusa la procedura il richiedente deve lasciare il territorio italiano. Dal momento in cui viene notificato il fatto che la richiesta è stata respinta, il richiedente ha 15 giorni di tempo per strutturare un ricorso e presentarlo al giudice; e tutto ciò, ovviamente deve essere fatto dall’estero, dal momento che il richiedente, almeno che non decida di mettersi in clandestinità, è costretto a lasciare il territorio italiano.

E’ evidente quanto viene compresso il diritto di asilo e la possibilità di tutelare chi richiede lo status di rifugiato nel nostro paese.
Queste Commissioni vengono chiamate Territoriali perché, fino alla vecchia normativa esisteva una sola Commissione Centrale che valutava tutti i procedimenti; collocata a Roma. Con questa nuova normativa sono state istituite nuove commissioni che hanno competenza in varie circoscrizioni territoriali che valutano la richiesta di asilo.
L’istituzione di Commissioni Territoriali poteva essere un elemento di positività perché consente di avvicinare il richiedente asilo alla struttura che è destinata a giudicare la sua richiesta. Anche se questa cosa, alla fine non si verifica perché le Commissioni Territoriali istituite sono pochissime.

Come sono costituite le Commissioni Territoriali
Questo organismo ha il compito di decidere in pochi giorni la vita di una persona che si trova in condizioni di grave rischio. Sono costituite da: il presidente, funzionario di carriera prefettizia, incardinato direttamente con il Ministero dell’Interno; un funzionario di polizia; un funzionario dell’ente territoriale e un rappresentante dell’Acnur (Alto commissariato delle Nazioni Unite dei rifugiati). E’ una situazione paritetica, nel senso che abbiamo una parte che è quella del presidente e il funzionario di polizia che tendenzialmente dovrebbe tendere a non riconoscere lo status di rifugiato; e dall’altra il rappresentante dell’ente territoriale e il rappresentante dell’Acnur che dovrebbero svolgere un ruolo di garanzia nei confronti del richiedente asilo. In situazione di parità nella decisione se concedere o meno lo status, prevale la decisione assunta dal presidente della commissione.

Il ricorso fatto contro un eventuale diniego
L’autorizzazione a permanere nello Stato italiano viene chiesta al prefetto, non c’è un’autorità neutra che valuta la richiesta. E’ il Ministero dell’Interno che valuta questa richiesta di permanenza all’interno dello Stato italiano.

Viene instaurato un regime di trattenimento del richiedente asilo, il controllo sulle procedure del richiedente asilo e sulla possibilità di permanere in caso di diniego, sono demandati a degli organi che sono incardinati all’interno della struttura del Ministero degli Interni.
Nel nostro paese il riconoscimento dello status di rifugiato viene conseguito in pochissimi casi, rispetto alle percentuali europee.

Con una normativa di questo tipo, attendere il riconoscimento dello status si riduce ancora di più e si riduce anche la possibilità che emerga la richiesta di asilo, perchè molti che si troveranno in Italia di fronte alla possibilità id essere condotti all’interno di un CDI e di essere ostaggio dell’amministrazione di questo stato, che successivamente valuterà la richiesta e il più delle volte dà esito negativo, è evidente che prevarrà la tentazione di rimanere in condizione di clandestinità. Questo è un grave arretramento dal punto di vista dei diritti civili e del diritto di asilo.
Il richiedente asilo, nel momento in cui gli viene rifiutata la domanda, potrebbe fare ricorso alla stessa Commissione Territoriale, però in questo caso la Commissione è sempre la stessa, anche se viene integrata con un elemento in più che viene dalla Commissione Centrale. Comunque sia è sempre lo stesso organo che precedentemente aveva rifiutato la richiesta di asilo, che rivaluta la condizione.
Quello che va valutato a fronte di questa normativa è la critica che si è sviluppata attorno ad essa, da un lato è stata una critica diffusa; dall’altro ha creato un equivoco che va sfatato, secondo il quale ci sarebbe, da un lato un’Europa che garantisce il diritto d’asilo in maniera efficace e garantista, e dall’altro la situazione italiana che pratica questa progressiva restrizione del diritto di asilo. Tutto ciò non è reale.
C’è un processo globale in atto. La restrizione del diritto di asilo è un processo strutturale che sta coinvolgendo tutta l’Europa. La Comunità Europea sta dando direttive finalizzate alla restrizione, al progressivo declino del diritto di asilo e di essere riconosciuti come rifugiati nel territorio italiano ed europeo.
A questo proposito l’Unione Europea ha promulgato due direttive:
– la Direttiva n. 83 del 2004 in cui si parla del riconoscimento dello status di rifugiato;
– la Direttiva n. 9 del 2003 che parla di accoglienza, residenza e libera circolazione dei richiedenti asilo.
Va sfatato il concetto che in Italia ci sia una pessima legge sull’asilo semplicemente perchè c’è un governo di centro-destra che va in controsenso rispetto alle disposizioni della Comunità Europea. Non è vero. La Comunità Europea sta adottando in maniera unitaria dei provvedimenti che hanno il compito di restringere in maniera forte il diritto di asilo e di ridurlo fino ad eliminarlo e arrivare ad una equiparazione fra il migrante clandestino che emigra per ragioni economiche, al richiedente asilo. Il declino del diritto di asilo in Europa è una cosa del tutto coerente con quello che sta succedendo nel mondo.
Il problema che oggi ci troviamo ad affrontare e non è giuridico, è di carattere politico.
Come si può aprire un ragionamento sul diritto di asilo e sulla sua pratica in una fase storica in cui il diritto di asilo è in declino, lo stanno liquidando dentro un’ottica post 11 settembre e che ha determinato anche questo tipo di effetto. Dobbiamo batterci per far sì che il diritto di asilo possa sopravvivere ed occupare spazi dignitosi.
Cosa significa oggi una pratica del diritto di asilo che non è una pratica immediatamente riconducibile all’entità statuale, allo stato in quanto tale, ma che si trova un referente in altre forme organizzative? Tra le varie direttive europee ce n’è una in cui viene detto che il riconoscimento dello status di rifugiato è un riconoscimento che proviene o dallo stato o da organizzazioni o partiti che controllano una buona parte del territorio dello Stato. La battaglia a difesa del diritto di asilo e a difesa di chi si trova nella condizione di richiedere asilo deve essere una battaglia che da un lato forza la normativa presente, ma dall’altro deve essere anche in grado di destatualizzare il riconoscimento del diritto di asilo.
Immaginare una ricostruzione del diritto di asilo che non sia basata sullo Stato e sui suoi ministeri degli interni, ma su una forma, una pratica del diritto di asilo che in qualche maniera parte dalla società civile.

*Tratto dalla Conferenza “Il diritto d’asilo al tempo della guerra globale

Avv. Paolo Cognini (Ancona)

Foro di Ancona.
Esperto in Diritto Penale e Diritto dell’immigrazione e dell’asilo, da sempre impegnato nella tutela dei diritti degli stranieri.

Socio ASGI, è stato docente in Diritto dell'immigrazione presso l'Università di Macerata.

Autore di pubblicazioni, formatore per enti pubblici e del privato sociale, referente della formazione del Progetto Melting Pot Europa.


Studio Legale
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