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Il lavoro uccide anche i migranti. Ma a volte chi si ribella vince

Storica vittoria dell' Associazione Difesa Lavoratori contro lil "sistema" delle cooperative

Sono centinaia le cooperative che operano in tutta Italia, soprattutto nella logistica e nei trasporti, con l’apporto di manodopera straniera. Il caso del Veneto è emblematico: cinquantamila addetti, il 90% migranti. Le cooperative utilizzano una figura giuridica particolare che è quella del socio-lavoratore e per aggiudicarsi il lavoro partecipano a delle gare d’appalto al massimo ribasso.
Questa procedura comporta dei frequenti cambi di cooperativa assegnataria e in caso di cambio d’appalto non esiste l’obbligo di riassumere i soci-lavoratori della cooperativa uscente. Spesso il lavoro è a “chiamata”, il che significa che il lavoratore viene chiamato telefonicamente o via sms un paio d’ore prima dell’inizio del turno di lavoro, o per essere avvisato di rimanere a casa perché quel giorno non c’è lavoro a sufficienza. Questo perché il lavoratore, quando firma l’adesione alla cooperativa divenendone socio, è vincolato allo statuto e al regolamento della stessa.

La condizione di lavoratore-socio, consente alcune deroghe rispetto al “normale” assetto contrattuale e concede alle cooperative notevoli vantaggi. Per esempio anche se si è firmatari di un contratto a tempo indeterminato o full-time, la normativa relativa alle cooperative prevede e consente il pagamento delle sole ore di lavoro “effettivo” e che, in mancanza di lavoro, si rimanga a casa senza retribuzione. Un’altra caratteristica del socio-lavoratore è che in caso di licenziamento non esiste la possibilità di ottenere dall’INPS l’indennità di disoccupazione, mentre la malattia viene pagata solamente a partire dal quarto giorno.

L’Associazione Difesa Lavoratori, come sindacato di base, da diversi mesi è impegnata ad offrire assistenza fiscale, oltre che a denunciare le innumerevoli problematiche e i molti abusi subiti dai lavoratori in particolare migranti. Il 12 Dicembre l’ADL ha conseguito una grande vittoria: il giudice ha chiesto nell’ordinanza la riassunzione di tre lavoratrici licenziate dalla ditta Alloga con l’applicazione del contratto della ditta e non della cooperativa, con il pagamento di tutti gli arretrati a partire da novembre 2006 e dei compensi che non erano stati pagati a partire dalla data del licenziamento.

Questa è la prova di come sia possibile opporsi ad un sistema di sfruttamento dei migranti che rende la loro condizione di lavoratori sempre più precaria.
E’ di oggi la notizia della morte di due ragazzi rumeni impiegati nell’edilizia nella periferia di Roma. Se dalle statistiche Inail risulta che la maggior parte degli infortuni sul lavoro hanno come vittime cittadini migranti, è evidente come questi lavoratori mantenuti in uno stato di irregolarità dalle leggi sull’immigrazione, divengano la categoria più ricattabile e pertanto, ancora più degli italiani, accettino condizioni di lavoro rischiose e insostenibili.

Per parlare di tutto questo, abbiamo intervistato Michela, una delle lavoratrice rumena impiegata dalla ditta Alloga, ingiustamente licenziata per aver richiesto semplicemente migliori condizioni di lavoro, e poi riassunta grazie alla sua caparbietà e all’intervento di ADL.

D. Quanto tempo fa è partita la vostra lotta? Perché vi siete organizzate all’interno della cooperativa dove lavorate? Cosa vi ha spinto ad unirvi?

R. La nostra lotta, con l’aiuto del sindacato, è iniziata più di un anno fa. Abbiamo iniziato a fare gli scioperi nel mese di Maggio perché le condizioni di lavoro erano tremende e siamo andati avanti fino al 24 Luglio sempre con degli scioperi e degli incontri che non sono andati a buon fine, ci son stati molti incontri rifiutati dalla cooperativa Alloga. Il giorno 24 di Luglio siamo state buttate fuori, in quindici, semplicemente per il fatto che abbiamo chiesto di essere trattate come delle operaie e non come delle schiave.

D. In che condizioni lavoravate all’interno della cooperativa?

R. Prima di tutto ci facevano fare dei lavori che praticamente erano per gli uomini, lavoro pesante, poi la temperatura all’interno e in estate era molto alta e d’inverno molto bassa, e a parte noi lì dentro ci sono anche le medicine e abbiamo chiesto che venissero accesi i condizionatori.
Hanno rifiutato e noi abbiamo iniziato a fare scioperi e a chiedere quelli che erano dei diritti; a loro questa cosa non è andata bene e abbiamo cominciato a ricevere minacce ma in quindici ragazze abbiamo portato avanti la lotta fino alla fine anche se siamo state minacciate di essere buttate fuori. Infatti il giorno 24 tornando dalla pausa pranzo abbiamo trovato i cancelli chiusi e ci hanno detto di non entrare. Siamo entrate a riprenderci la nostra roba, scortate anche, ed è stata Alloga che ci ha buttate fuori, non la cooperativa di cui eravamo soci, ma proprio la ditta Alloga ha deciso così.

D. E in quel momento come vi siete mosse? Perché avete deciso di rivolgervi all’ADL? Ci sono altri lavoratori che sono iscritti a questo sindacato?

R. Si, noi eravamo di più ma siamo stati ricattati dall’Alloga e alcuni hanno dato la disdetta dal sindacato perché l’ADL non la vogliono, se era CGIL si. Altre ragazze hanno dovuto fare una scelta, lavorare così o essere difese dal sindacato, e loro hanno deciso di non essere più difese dal sindacato pur di rimanere là a lavorare. Noi invece, in quindici, siamo rimaste con ADL e abbiamo fatto una causa d’urgenza, l’ordinanza è stata fatta e abbiamo vinto, una grande vittoria.
Adesso c’è in più una speranza: i diritti possono essere riconquistati però bisogna lottare perché loro, i padroni, mai accetteranno che noi operai, semplici operai possiamo avere dei diritti e invece dobbiamo conquistarli. Dobbiamo dire basta, siamo stufi, vogliamo essere trattati come veri operai e non come schiavi. Noi quindici siamo stufe.

D. Tu di dove sei?

R. Della Romania

D. Da quanto tempo sei in Italia e da quanti anni lavori qui?

R. Sono 6 anni che sono in Italia e ho lavorato 4 anni in nero, non perché l’ho voluto io ma perché così hanno deciso i padroni italiani che non volevano pagare le tasse, e 2 anni ho lavorato con la cooperativa. Sono entrata in Alloga con una cooperativa e poi è stato fatto il passaggio nell’altra cooperativa EuroService, però in Alloga sempre in nero, perché … la risposta era sempre: non possiamo pagare le tasse! Ecco, questa è l’occasione per dire che, anche su tutte queste leggi che fanno, prima dovrebbero essere puniti i padroni, gli italiani che sfruttano al massimo gli operai stranieri e poi, passare ad altro. Sono gli stessi italiani che alimentano lo stesso lavoro nero; e lo stesso lavoratore in nero non potrà mai dimostrare che non sta rubando, come fa a dimostrarlo? Non può dirlo, e il padrone non dirà mai si, lavora in nero per me. Ecco, per cui se io lavoro in nero e vado a Cittadella non ricevo la residenza.

D. Siete tutte lavoratrici immigrate o ci sono anche italiane?

R. Ci sono, di meno, ma ci sono tre o quattro italiane. La maggioranza è però straniera, le italiane lavorano per Alloga, la ditta, gli stranieri lavorano per un’altra cooperativa, è questa la distinzione.

D. Tutto quello che ci stai raccontando è molto importante, le richieste che voi avete fatto di cambiamento all’interno dei posti di lavoro hanno messo in luce un elemento importante e irrinunciabile sui posti di lavoro che è quello della sicurezza, connessa per esempio con l’orario di lavoro, con gli straordinari che fate…

R. Si, di straordinari ne abbiamo fatti tanti ma venivano pagati sempre 6,20 euro e non di più, le ore di straordinario non erano pagate come straordinario e poi molti lavori venivano svolti tra le corsie, tra gli scaffali e nessuno si è mai chiesto se un scaffale può rompersi, là dentro nulla è rispettato, niente e per il fatto che abbiamo chiesto una sicurezza in più ci hanno buttato fuori, là si doveva stare zitti e lavorare e basta.

D. La sicurezza è un elemento fondamentale, è un diritto all’interno dei posti di lavoro…

R. E’ un diritto di tutti e non si può pensare di andare a lavorare e che può succedere qualcosa. Noi abbiamo accettato di lavorare tra gli scaffali, non abbiamo mai detto nulla e se abbiamo chiesto l’aria condizionata e l’hanno rifiutato figuriamoci se chiedevamo di essere spostate di qua o di là, non siamo arrivate a chiedere così tanto.
Abbiamo chiesto l’aria condizionata, nulla di più, perché si lavorava con delle temperature elevate ed è difficile d’estate lavorare con una temperatura di 32, 33 gradi, era tremendo; alzare scatoloni che pesavano 20 Kg. Per 8 ore al giorno, con queste temperature, non era mica facile, per noi, donne specialmente perché la maggior parte siamo donne.

D. Collegandoci brevemente a prima, il governo ha varato un pacchetto sicurezza rispetto ai comunitari, ai rumeni e all’espulsione a loro collegata per motivi di pubblica sicurezza, cosa pensi?

R. Questo governo, come quello di Berlusconi, invece di far qualcosa per tutti i cittadini, comunitari ed extracomunitari, trovano delle soluzioni così; ogni risposta per ogni cosa che non va in Italia è che la colpa è degli stranieri. Però loro non devono dimenticare che il 90% del lavoro che viene svolto nelle fabbriche, nei cantieri, ovunque, viene svolto dagli extracomunitari e neocomunitari, anche da noi rumeni .
I cittadini italiani fanno una grande confusione perché essere extracomunitari non è essere delinquenti, significa essere fuori dalla comunità europea ma non fuorilegge, è una bella differenza.
Non pensano di fare più controlli nei cantieri? Mio marito ad esempio ha lavorato due anni in nero nei cantieri e mai è andato nessuno a vedere chi è in nero e se per caso andavano i carabinieri a controllare si figuri se il padrone pagava qualcosa. Se veniva un carabiniere all’interno del cantiere sicuramente mio marito sarebbe stato espulso perché era lui quello colpevole; per lo stato italiano colpevole non è quello che sfrutta questo lavoratore ma quello che lavora in nero. Ecco è questa la grande cosa.
Non ho mai capito perché si pensa così. Una persona se va a lavorare in nero non lo fa perché lo vuole ma lo fa perché è costretto, perché non ha la possibilità di essere messo in regola. Esempio un lavoratore marocchino, come fa ad essere messo in regola? Non parlo dei rumeni, parlo dei marocchini, se un datore di lavoro vuole metterlo in regola, non può perché sono extracomunitari.
La maggior parte dei rumeni vuole lavorare in regola, ma sono i padroni che non vogliono pagare le tasse e così li sfruttano al massimo, gli fanno fare i lavori in nero e nel caso in cui vengono i controlli, loro lo sanno un giorno prima, e il lavoratore non è mandato in cantiere in quel giorno, deve stare a casa perché lo sanno che arrivano i controlli. Così funziona.
Io sono stata una lavoratrice in nero e so come funziona. Se deve arrivare il controllo veniamo mandati via ed è così che funziona. Loro lo sanno, lo sanno!