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18 dicembre 2000

Il mare di mezzo

Per tutti gli Hassan e le Amila di questo mondo, o per ricordare e migliorare

Foto: Kenny Karpov / SOS MEDITERRANEE

Uno, due, tre.
Pietre levigate dall’acqua che rotolano sul dorso di sabbia scura. Hassan li guarda rotolare fino al mare, affascinato dal rumore sordo che fanno non appena spariscono tra le onde, poi corre a raccoglierne altre, seguito a vista dagli occhi scuri e silenziosi di sua madre.

Hassan ha 12 anni e non ha ben capito cosa ci fanno sulla spiaggia a quell’ora di notte; eppure ha intenzione di approfittare del momento per infilare i piedi nell’acqua calda, per buttarsi di schiena sulla sabbia morbida e osservare le stelle che brillano nella notte buia.

Sua madre Amila è a pochi metri di distanza, seduta su un relitto di barca e avvolta in bel kaftan rosso; è un abito elegante, di solito relegato alle cerimonie, ma il viaggio che stanno per compiere è molto importante e ha sentito che in qualche modo fosse l’occasione giusta per indossarlo.

Si gira ad osservare il mare: quello stesso mare che porta odori, profumi, colori e vita, adesso sembra un’infinita e rumorosa distesa di petrolio liquido. Nonostante l’abbia sempre affascinata, in quel momento ne ha paura, una paura immensa mescolata ad un’emozione vibrante e profonda.

Ormai ha deciso di affrontare il viaggio, fare un salto per cercare un futuro migliore per suo figlio; un futuro che possa costruire su delle basi diverse, probabilmente migliori.

Eppure ha paura perché le storie, spesso fantastiche, molte altre volte ancora sono terribili: si sente parlare di morti, di annegamenti, di bambini senza genitori e di madri senza figli, di famiglie separate, di muri eretti e percorsi cancellati.

Quel mare chiamato così dalla storia perché univa mondi e popoli, ora è chiamato allo stesso modo perché separa persone, civiltà, mondi, universi.
Cosa troveranno dall’altra parte lei non lo sa, a chi andranno incontro lei non può saperlo.

Forse spera, ingenuamente, che vi siano solo altri esseri umani. Altri esseri umani che stanno guardando lo stesso mare, provando lo stesso miscuglio di sensazioni – tra lo smarrimento nei confronti dell’infinito e l’eccitazione del viaggio –, che giocano con la stessa sabbia e sgranano gli stessi sassi.

Uno, due, tre.
Amila guarda le pietre levigate che rotolano sul dorso di sabbia scura e scivolano nell’acqua nera del mare di mezzo. Poi vede, a poca distanza, delle figure stagliarsi contro la notte stellata e il profilo di una barca avvicinarsi.
Il mare è tranquillo, probabilmente si partirà all’alba quando tutti i preparativi saranno terminati.

Amila sospira profondamente l’aria della sua terra natia, chiude gli occhi per un istante, si alza.

Forse nessuno è mai totalmente pronto a farlo, ad abbandonare la propria terra di origine per l’ignoto, qualunque sia il motivo. Eppure sa che deve farlo, perché non c’è altra scelta.

Sorride. È pronta.
Per Hassan

Note alla storia:
La datazione è simbolica e si riferisce alla prima Giornata del migrante e del rifugiato, ufficialmente proclamata dall’ONU il 18 dicembre del 2000.