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Tratto da il Manifesto 08.02.2013

Il mare non bagna i rifugiati di Senigallia

Inchiesta di Marco Benedettelli

Mancanza di controlli e niente rendiconti, la cattiva gestione dell’accoglienza vista dall’Hotel Lori. Dal 28 si rischia lo stop, nonostante la crisi tunisina

SENIGALLIA – Quella dell’Hotel Lori è una storia esemplare per capire come le istituzioni italiane hanno gestito l’Emergenza nord Africa. 600 milioni di euro spesi, 1,3 miliardi stanziati per accogliere i 28 mila profughi arrivati nel 2011 dalla Libia in fiamme. Un fiume di soldi, che troppo spesso ha dato vita in Italia, a un business per strutture di accoglienza improvvisate grazie anche alla latitanza degli enti regionali. E il piano è stato prolungato fino al 28 febbraio. 17 mila africani, in tutti i centri d’Italia, si domandano dove andranno a finire allo scoccare di quella data.

Nelle Marche, all’Hotel Lori, i controlli da parte delle istituzioni sono stati quasi inesistenti, il servizio di accoglienza lacunoso, e la situazione è alla fine degenerata.
L’Hotel Lori s’affaccia davanti al mare di Marzocca, frazione di Senigallia. A gestirlo sono di fatto degli ex albergatori, un nucleo familiare, padre madre due figlie e rispettivi mariti, che negli ultimi anni – come successo a non pochi altri proprietari d’albergo italiani – hanno deciso di convertire la loro struttura in centro di accoglienza per richiedenti asilo. Oggi al Lori sono rimasti 20 africani, malesi, nigerini, nigeriani, somali e ivoriani e altri sub sahariani. A inizio gennaio una protesta è degenerata in un brutto momento di tensione, e in seguito sei profughi sono stati espulsi dal piano di accoglienza, con l’accusa di aver aggredito la responsabile della struttura.

La vicenda è l’epilogo di una lunga storia fatta di malessere e disservizi, iniziata molto prima.
A partire dal 6 giugno di due anni fa, la regione Marche, nella persona di Giovanni Rossini, nominato responsabile regionale della Protezione Civile per l’Emergenza Nord Africa, accorda all’Hotel Lori 320mila euro complessivi di budget per l’accoglienza dei rifugiati. Gli ospiti del centro sono una quarantina e i soldi nei mesi a seguire vengono erogati dalla Regione in differenti momenti. Il 31 dicembre 2012 la Protezione Civile smette di essere responsabile. Però c’è una proroga fino al 28 febbraio e intanto la responsabilità passa alle prefetture. Il prefetto di Ancona, Alfonso Pironti, spiega: « Bisogna gestire il dopo. Stiamo studiando soluzioni adeguate, che tengano conto del profilo personale e delle aspirazioni di ognuno».

Dove sono finiti i soldi?
Chi volesse controllare come siano stati spesi dall’Hotel Lori tutti quei soldi erogati fino ad ora dai responsabili regionali della Protezione Civile, non può farlo. Semplicemente perché non si trova, o forse non è ancora stata depositata e chissà se mai lo sarà, nessuna rendicontazione che illustri le singole voci di spesa. Non solo. Nessuno ha mai esaminato, fra i funzionari della regione Marche, i curricoli del personale coinvolto nei centri di accoglienza per accertare che ci fossero figure professionali all’altezza, capaci di farsi carico dei problemi dei richiedenti asilo africani. Né al Lori di Senigallia, né altrove nelle strutture della Marche. «Noi ci siamo fidati delle varie associazioni con le quali abbiamo stipulato le convenzioni.

Sono loro che si impegnano a garantire i servizi», si giustifica Giovanni Rossini che dal 31 dicembre 2012 non è più responsabile del progetto. Gli domandiamo se sono state svolte delle verifiche periodiche sulle attività dei centri gestori per riscontrare che tutto procedesse secondo quanto previsto nelle convenzioni. «Di accertamenti ne abbiamo svolti, ma all’inizio, per verificare l’agibilità delle strutture. Poi i miei tre collaboratori hanno svolto altre visite». Molte delle cooperative marchigiane che si sono fatte carico dell’accoglienza (Gus, Perigeo, Casa Freedom per esempio) hanno fornito un servizio buono, in qualche caso ottimo per i 597 richiedenti asilo arrivati nella Marche dalla Libia. Ma l’esempio dell’Hotel Lori dimostra che le istituzioni non hanno mai esercitato un’opera di controllo costruttivo, con riunioni e report periodici.

Nella struttura di Marzocca, per esempio, è sempre mancata la figura del mediatore culturale qualificato. In questi mesi si era autonominato tale uno dei suoi responsabili, sulla base delle sue conoscenze del francese e dell’inglese. Eppure nella convenzione stipulata due anni fa tra la regione Marche e i responsabili dei centri è stabilito che era obbligatorio garantire – direttamente o in subappalto – servizi di mediazione linguistica e culturale. Solo nel 2013, su indicazione della Prefettura, il centro d’accoglienza Hotel Lori ha finalmente incaricato un mediatore culturale qualificato.

Immigrati abbandonati
Mese dopo mese sono cresciuti disagio, rabbia e frustrazione fra i rifugiati, che hanno lamentato a più riprese e ovunque fosse prestato loro ascolto, senso di abbandono e isolamento, la scarsa qualità del cibo e la mancanza di riscaldamento. «I ragazzi soffrono di disturbi del sonno, incubi, depressione. Ogni piccola malattia diventa un dramma. Sono fragili. C’è chi ha visto dei morti in acqua galleggiare. Avrebbero avuto bisogno di assistenza qualificata. Ho dovuto constatare che gli ex albergatori dell’Hotel Lori non sono in grado di darla», spiega Margherita Angeletti, che per mesi è stata medico interno del centro.

Raccontano i ragazzi della struttura, incontrati fuori dall’Hotel Lori: «Ci sentiamo abbandonati, nessuno fa niente per noi. Ci sono tanti problemi nel centro. Nessuno ci aiuta, ci spiega cosa dobbiamo fare. Ogni volta che chiediamo qualcosa, siamo scacciati. L’assistente sociale, quando viene resta in un angolo e non fa nulla». Per i giornalisti, in tutti questi mesi, è stato impossibile verificare se le loro lamentele corrispondessero a verità. Per chi chiedeva di vistare la struttura, la risposta dei responsabili è sempre stata «no, non vogliamo giornalisti, non vogliamo pubblicità».

La rissa
I rifugiati vivono parcheggiati, frastornati dall’esilio e dalla lentezza burocratica del nostro paese. Finché la situazione degenera. Il 7 gennaio scoppia un parapiglia. Spinte, urla, danni alla struttura. Il motivo scatenante sono i ritardi nei pagamenti della quota mensile di 75 euro, con cui i ragazzi comprano schede telefoniche e altri piccoli beni di necessità. Vola qualche spinta, forse un ceffone. Una responsabile del centro va al pronto soccorso per farsi medicare, ma decide di non sporgere denuncia. Alcune telecamere documentano i momenti di tensione e sei rifugiati vengono individuati e poi espulsi dal programma di accoglienza.

Oggi vivono a carico della Caritas di Senigallia. Dopo l’arrivo delle volanti della polizia all’Hotel Lori, la comunità di Senigallia sembra accorgersi della presenza dei rifugiati sulla riviera. Nei forum dei giornali online locali i commentatori si scatenano. C’è chi accusa le istituzioni di averli finora accolti e sfamati meglio dei cittadini italiani in difficoltà e chi, invece, li difende e ne riconosce e ribadisce gli inviolabili diritti. Colpisce constatare che molti dei commentatori più sprezzanti non sanno nemmeno da dove quegli africani vengono, chi sono, perché sono lì. Li definiscono “parassiti” ma ignorano che sono profughi costretti a scappare dalla guerra in Libia. Il caso del Lori finisce in Consiglio Comunale. I rifugiati partecipano a una seduta e leggono la loro lettera di protesta.

Futuro incerto
Il 28 febbraio scade il loro piano di accoglienza. E molti di quei ragazzi non hanno idea di cosa faranno dopo. All’inizio erano in cinquanta, oggi sono rimasti in venti. Hanno un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido un anno, riconosciuto loro dalla Commissione Territoriale di Caserta. I trenta, che nei mesi hanno abbandonato il centro, se ne sono andati sconfortati dalla lentezza burocratica. In tanti hanno raggiunto amici e conoscenti all’Hotel House, un gigantesco condominio multietnico di Porto Recanati dove vive una comunità di migliaia d’extracomunitari. Il trend dell’Hotel Lori rispecchia quello nazionale: a settembre 2011, nel momento di massima ricezione, i richiedenti accolti nei centri in Italia erano circa 25 mila (più i minori non accompagnati), oggi sono 16 mila.

Prefetto e assistenti sociali valutano una exit strategy per capire se i rifugiati vogliono raggiungere parenti o amici in altre città. Le richieste di rimpatrio volontario assistito sono pressoché nulle. Fabrizio Volpini, assessore alle politiche sociali del comune di Senigallia, evidenzia un nuovo aspetto: «Per molti di loro il problema sarà ottenere la residenza, indispensabile per accedere ai servizi».
L’Hotel Lori si affaccia proprio davanti alla “spiaggia di velluto” ed è a poche centinaia di metri da uno dei ristoranti più famosi della zona, del pluridecorato chef Moreno Cedroni. Alla maggioranza della gente, quei ragazzi sono apparsi per più di un anno come fantasmi dalla pelle nera, magari beneducati ma invisibili, stranieri, inavvicinabili. Oggi passano le giornate sprofondati sulle sedie con la testa fra le mani. Qualcuno gioca a biliardino tutto il tempo, con un accanimento quasi morboso. C’è chi ascolta la radio al cellulare.

La realtà per loro sembra aver perso quasi di superficie, di volume, e si è fatta più rarefatta: «Ho dei contatti, degli amici in altre città. Uscito da qui mi aspettano per fare il calciatore, dicono che mi faranno un contratto». Difficile credere che quel progetto non si tramuterà in un amaro abbaglio.

MILA Sono i rifugiati in Italia di cui non si conosce la sorte a partire dal prossimo 28 febbraio, quando scadrà il decreto per l’emergenza in Nord Africa. All’hotel Lori al momento sono rimaste venti persone. Una trentina sono già andati via dal centro per raggiungere la comunità dell’Hotel House a Recanati. MILA EURO A tanto ammonta il budget concesso dalla Protezione civile all’hotel Lori. Ma i risultati sono stati pessimi: personale sottoqualificato, mancanza di mediatori culturali, scarsa qualità del cibo e mancanza di riscaldamento. E il disagio dei rifugiati è cresciuto.

«Programma inefficiente»
«Siamo agli inizi del 2011 e difficilmente noi italiani dimenticheremo cosa accadde in quei mesi: tra gennaio e aprile Lampedusa sembra un carcere a cielo aperto. A metà gennaio 2011, infatti, i primi arrivi di clandestini. Si teme un esodo biblico in conseguenza dei moti popolari e dei rovesciamenti istituzionali in Tunisia, Egitto e, da metà febbraio anche in Libia. In poco più di un anno arriveranno circa 65 mila stranieri». Così la Rete Primo Marzo comitato di Nonantola, che denuncia una serie di irregolarità e inefficienze burocratiche del programma Ena.