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Il matrimonio dello straniero in Italia dopo l’entrata in vigore della legge n. 94/2009

a cura dell'Avv. Walter Citti

Il nuovo art. 116 del c.c. dopo l’entrata in vigore della legge n. 94/2009 e la condizione di regolarità del soggiorno del cittadino extracomunitario ai fini della capacità matrimoniale in Italia. Dubbi di compatibilità della normativa con il diritto comunitario, costituzionale e gli obblighi internazionali di cui all’art. 12 della CEDU.

La circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari Interni e territoriali n. 19 dd. 07.08.2009 reca, tra l’altro, istruzioni agli ufficiali di stato civile dei Comuni in merito all’applicazione delle nuove disposizioni in materia di matrimonio del cittadino straniero, a seguito delle modifiche apportate all’art. 116 del codice civile dall’art. 1 comma 15 della legge n. 94/2009 (“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”). Dall’entrata in vigore della suddetta legge, il matrimonio del cittadino straniero viene subordinato non solo alla presentazione all’ufficiale di stato civile del c.d. nulla osta rilasciato dall’autorità consolare dello Stato di cittadinanza presente in territorio italiano, come già avveniva in precedenza, ma anche dei documenti attestanti la regolarità del soggiorno nel territorio italiano. In sostanza, con la nuova legge, il matrimonio dello straniero viene subordinato alla condizione della sua regolarità di soggiorno sul territorio nazionale, che deve sussistere tanto al momento della pubblicazione quanto della celebrazione.

La circolare ministeriale ora emanata chiarisce innanzitutto che alla suddetta ulteriore condizione di regolarità del soggiorno ai fini della possibilità di contrarre matrimonio in Italia deve essere assoggettato soltanto il cittadino straniero extracomunitario, ma non quello comunitario.
Ulteriormente, gli ufficiali di stato civile vengono istruiti sui documenti attestanti la regolarità del soggiorno del cittadino extracomunitario: il permesso di soggiorno, il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, la carta di soggiorno di famigliare di un cittadino dell’UE. Qualora, invece, lo straniero extracomunitario abbia fatto ingresso in Italia regolarmente per un soggiorno di breve durata non superiore ai tre mesi, ai sensi della legge 28.05.07, n. 68, la regolarità del soggiorno ai fini matrimoniali potrà essere dimostrata dal timbro di ingresso apposto dall’autorità di polizia di frontiera sul visto Schengen, dalla copia della dichiarazione di presenza resa in questura ovvero dalla copia della dichiarazione resa ai gestori di esercizi alberghieri o di altre strutture ricettive ai sensi della normativa di pubblica sicurezza. Per gli stranieri in possesso soltanto di ricevuta del permesso di soggiorno, in quanto in attesa del primo rilascio o di rinnovo, dovranno essere presentati, oltre alla suddetta ricevuta, rispettivamente il contratto di soggiorno e la domanda di rilascio del permesso di soggiorno (richiesta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato), o il visto di ingresso e la copia del nulla osta (in caso di richiesta di primo rilascio del permesso per motivi di ricongiungimento familiare), ovvero il permesso da rinnovare.

La nuova normativa che subordina la capacità matrimoniale in Italia del cittadino extracomunitario al requisito della regolarità del suo soggiorno, suscita perplessità in ragione della sua dubbia compatibilità con il diritto comunitario, con gli obblighi costituzionali inerenti al rispetto della libertà matrimoniale quale diritto umano fondamentale, e con gli obblighi derivanti dal sistema internazionale ed europeo dei diritti umani.

Riguardo al primo punto, una recente giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha sancito l’incompatibilità con il diritto europeo di ogni normativa nazionale che subordini l’accesso alla carta di soggiorno per il famigliare di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso e del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro ospitante (Sentenza Metock, dd. 25 luglio 2008, C- 127-08). Sul punto, la normativa italiana di recepimento della direttiva n. 2004/38 ha inteso applicare in senso restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana, infatti, subordina, il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del “visto di ingresso, quando richiesto” (art. 10 c. 3 lett. a) d.lgs. n. 30/2007, come ribadito dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag. 8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non accordare il rilascio della carta di soggiorno al cittadino di un paese terzo che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o italiano dopo avere fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità. Contro tale prassi sono stati avviati alcuni ricorsi, che hanno prodotto delle applicazioni giurisprudenziali aderenti a quanto sancito dalla Corte di Giustizia europea. Si richiama in proposito il decreto della Corte di Appello di Venezia dd. 22 aprile 2009 (n. 112/2009) che ha riconosciuto ad un cittadino albanese coniuge di una cittadina rumena residente in Italia il diritto al rilascio della carta di soggiorno per famigliari di cittadini comunitari, sebbene l’interessato avesse fatto ingresso in Italia privo del visto e non fosse legalmente soggiornante in Italia al momento della celebrazione del matrimonio.

La questione si è ulteriormente complicata dopo l’entrata in vigore delle ricordate modiche agli articoli 116 del codice civile e all’art. 6 comma 2 del d.lgs. vo n. 286/98, nel senso rispettivamente di richiedere l’esibizione dei documenti inerenti alla regolarità del soggiorno al fine di celebrare il matrimonio e di cancellare l’esenzione per gli atti di stato civile fra quelli in cui non vi è l’obbligo di presentare il permesso di soggiorno, con la conseguenza di attribuire agli ufficiali di stato civile l’obbligo di conoscere la posizione circa la regolarità del soggiorno degli stranieri che chiedano la celebrazione del matrimonio. La legittimità di tali norme appare dubbia proprio con riferimento alla richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Se non è conforme al diritto comunitario una legislazione nazionale che impedisce l’accesso alla libera circolazione del famigliare del cittadino comunitario che abbia acquisito tale status personale nel territorio dello Stato membro mentre si trovava in condizioni di irregolarità, tanto più sembrerebbe difforme dal diritto europeo la nuova normativa italiana che priva tout court l’intera categoria degli stranieri irregolarmente presenti dalla possibilità stessa di acquisire lo status di famigliare nel territorio dello Stato membro che è il presupposto dell’esercizio del diritto alla libera circolazione.

Ugualmente la legittimità costituzionale di tali norme appare dubbia in quanto appaiono suscettibili di determinare un ingerenza sul diritto a formare una famiglia, annoverato tra i diritti fondamentali della persona umana previsti anche dalle convenzioni internazionali (ad es. gli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) e come tale spettante a tutte le persone presenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla nazionalità.

A tale riguardo, si sottolinea che già il Tribunale costituzionale francese con il parere dd. 26.11.2003 (paragrafi 95 – 96), emanato in relazione ad un disegno di legge presentato dal governo francese e poi ritirato, che prevedeva l’obbligo dell’ufficiale di stato civile di segnalare all’autorità prefettizia la condizione irregolare dello straniero che chiedeva le pubblicazioni di matrimonio, ha concluso che “tali disposizioni sono di natura tale da dissuadere gli interessati dal contrarre matrimonio; di conseguenza, esse portano offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio”. Tutto questo, muovendo dalla considerazione generale che “se il carattere irregolare del soggiorno di uno straniero può costituire in certe circostanze, se accompagnato da altri elementi, un indice serio che lasci presumere che il matrimonio sia prospettato con un altro scopo diverso dall’unione matrimoniale, il legislatore – ritenendo che il fatto che uno straniero non possa giustificare la regolarità del suo soggiorno costituisca in tutti i casi un indice grave dell’assenza di consenso- ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio” (cfr. vedi la decisione)
Considerazioni, quelle del giudice costituzionale francese perfettamente estensibili all’attuale normativa italiana.

L’ ingerenza rispetto al diritto alla libertà matrimoniale non appare proporzionata agli obiettivi di ordine pubblico e di controllo dei processi migratori che la norma si propone con riferimento alle finalità di contrasto dei matrimoni di convenienza. In proposito, vale la pena sottolineare che un recente documento della Commissione europea (“Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornante liberamente all’interno del territorio degli Stati membri”, 2 luglio 2009) espressamente sottolinea che “le misure adottate dagli Stati membri per contrastare i matrimoni di convenienza non possono essere tali da dissuadere i cittadini dell’Unione e i loro familiari dell’avvalersi del diritto alla libera circolazione o da usurpare indebitamente i loro diritti legittimi [così come] non devono minare l’efficacia del diritto comunitario né costituire una discriminazione fondata sulla nazionalità”. Ogni azione e misura volta a contrastare i matrimoni di convenienza non può dunque avere carattere collettivo o sistematico, bensì deve fondarsi – precisa ancora la Commissione europea – su criteri ed indagini individuali che debbono essere svolte in conformità dei diritti fondamentali, in particolare il diritto al rispetto delle vita privata e familiare (art. 8 CEDU )e il diritto al matrimonio (art. 12 CEDU).

Sarebbe, peraltro, incorretto sostenere l’incompatibilità in linea di principio e tout court della nuova normativa italiana con il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia previsto dall’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha infatti sostenuto che il diritto di sposarsi “non include in linea di principio il diritto a scegliere la collocazione geografica del matrimonio” (Savoia e Bounegru v. Italy N. 8407/05 hudoc 2006 DA), cosi che uno Stato non è obbligato ad ammettere uno straniero fidanzato ed in attesa di sposarsi sul proprio territorio ovvero di concedergli di rimanervi al fine di celebrare il matrimonio, almeno in quelle situazioni ove la coppia sia in grado di sposarsi altrove. (X v. FRG ., n. 7175/75 6 DR 138 (1976) (in proposito: Harris O’Boyle & Warbrick, Law of the European Convention on Human Rights, Oxford University Press, 2009, pag. 552). Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sembra suggerire la tesi della potenziale incompatibilità della nuova normativa italiana con il diritto al matrimonio di cui all’art. 12 CEDU almeno in quelle situazioni e circostanze ove uno dei nubendi sia un cittadino italiano ed il matrimonio non possa essere celebrato altrove. Tali situazioni potrebbero sorgere ove la celebrazione del matrimonio nel paese di origine dello straniero irregolarmente presente in Italia non possa avvenire per impedimenti matrimoniali previsti nell’ordinamento di quel paese contrari ai diritti umani fondamentali, fondati ad esempio su motivi religiosi (ad es. il divieto dello Stato di origine della donna che si vuole sposare con un soggetto italiano di diversa confessione religiosa, divieto previsto in diversi ordinamenti di paesi islamici) ovvero nei casi in cui lo straniero non possa comunque e obiettivamente fare ritorno nel paese di origine per motivi di ordine politico o comunque contrari al diritto umano fondamentale di uscire dal territorio del proprio Paese e di farvi rientro (si pensi alla prassi in vigore a Cuba di decadenza dal diritto all’incolato nei confronti di coloro che non rientrano nel paese entro un determinato periodo di tempo dopo un soggiorno all’estero). Il fatto che la legislazione italiana non abbia perlomeno previsto tali eccezioni al principio generale di divieto alla celebrazione del matrimonio dello straniero irregolarmente presente, nei casi in cui per ragioni obiettive e fondate non sia possibile la celebrazione del matrimonio altrove ovvero nel paese di origine di uno dei nubendi, pone certamente un problema fondato di incompatibilità della normativa con l’art. 12 della Convenzione europea dei diritti umani, pur entro i ricordati circoscritti limiti e circostanze definite dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

A cura di Walter Citti, segreteria organizzativa ASGI