Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da La Repubblica dell'11 gennaio 2004

Il muro illusorio che fabbrica clandestini di Ilvo Diamanti

C´ERAVAMO quasi dimenticati degli immigrati, negli ultimi mesi. L´attenzione politica e mediatica tutta concentrata su altri argomenti. Il dissesto della Parmalat, la perdita di credibilità del sistema bancario, gli scioperi dell´autotrasporto urbano e aereo, le minacce alla tivù pubblica? Fino a ieri, quando un gommone, partito dall´Albania, è stato avvistato e soccorso dalle motovedette della nostra Marina. A bordo pochi superstiti e venti corpi senza vita. Così abbiamo scoperto che il flusso degli immigrati verso le coste del nostro Paese non è finito.

SI ERA solo fermato, temporaneamente, scoraggiato dalle condizioni del mare d´inverno. Per riprendere, appena possibile. Insieme ai naufragi.

Il fatto è che la questione migratoria, in Italia, viene percepita e affrontata in modo sussultorio, seguendo un´agenda imposta dalle emergenze sociali e politiche. Così gli immigrati compaiono e scompaiono, a seconda delle emozioni dell´opinione pubblica. Ma, soprattutto, sulla spinta della contingenza politica. Vengono agitati, gli immigrati, come una bandiera, quando la campagna elettorale è alle porte, oppure quando le tensioni fra le coalizioni e dentro alle coalizioni (il centrodestra, in particolare) sono particolarmente acute. Ne ha fatto un marchio distintivo la Lega Nord, soprattutto dopo il declino della prospettiva secessionista. L´immigrazione, come argomento per catturare il consenso dei settori più insicuri e marginali della società. Nei piccoli centri pedemontani come nelle periferie degradate delle metropoli del Nord. L´immigrazione. Argomento per distinguersi nel centrodestra. Per distanziarsi da An e dai democristiani. L´immigrazione. Vi ha fatto riferimento esplicito Gianfranco Fini, quando ha proposto di concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati “regolari” (a proposito, come procede il progetto?). Un modo per “allontanarsi” da Bossi. Insieme al quale, peraltro, ha siglato la legge restrittiva che attualmente regola il fenomeno. Un modo, inoltre, per accreditarsi come destra moderata, attenta al richiamo solidarista della Chiesa e del mondo cattolico. Gli immigrati. Accendono il dibattito sulla libertà religiosa e sulla laicità dello Stato, quando un esponente della comunità islamica, tanto isolato nel suo ambiente quanto blandito dai media, polemizza ? ad arte – contro la presenza del crocifisso nelle scuole. Evocano il problema della sicurezza, quando avvengono episodi di criminalità (piccola, media e grande), ad essi riconducibili. Gli immigrati. Usati come meccanismo per riscaldare il clima d´opinione, per intercettare consensi, per stringere alleanze, aprire conflitti. Oppure, appunto, dimenticati. Nascosti. Occultati. Secondo le convenienze politiche e le scelte di marketing elettorale.

Non ci stupisce, tutto ciò. L´approccio cinico al tema migratorio, ispirato al calcolo del momento. Ma non possiamo negare un certo fastidio, al proposito. Suscitato non solo da ragioni morali (che da sole, comunque, basterebbero). Anche per ragioni di utilità, di efficacia. Perché un atteggiamento tanto intermittente e ideologico nei confronti dell´immigrazione impedisce semplicemente di comprenderlo; “vederlo”. E quindi di integrarlo, affrontando i problemi che determina.
Sentiamo, dunque, sostenere che un atteggiamento rigido e di chiusura verso l´ingresso degli stranieri in Italia – come quello previsto dall´attuale legislazione – possa davvero scoraggiare i flussi migratori. Che vincolare l´accesso in Italia in base alla stipula preventiva di contratti di lavoro possa agire da freno, nei confronti delle persone che intendono entrare in Italia (e in Europa). Non è così. È solo una finzione. Le aziende italiane continuano a esprimere una domanda di occupazione molto eccedente rispetto alle quote stabilite dal governo. Anche in tempi come questi, di stagnazione internazionale dei mercati. Perché la disponibilità degli italiani a svolgere le attività professionali richieste (le meno qualificate, le più faticose) resta altamente inadeguata e insufficiente. Inoltre, la domanda di assistenza a persone anziane e non autosufficienti, da parte della famiglia, continua a crescere e si orienta, necessariamente, a immigrati (o meglio: immigrate). Il rigore imposto dalla legge, in questo caso, non scoraggia l´illegalità. Anzi. Per accorgersene è sufficiente rammentare come la stessa legge Bossi-Fini, regolarizzando gli stranieri addetti all´assistenza in ambito familiare, abbia favorito la più imponente sanatoria nella storia, per quanto breve, dell´immigrazione in Italia: circa 700mila persone. Allo stesso modo, i vincoli imposti alle aziende private hanno determinato il prevedibile esito di allargare di nuovo l´occupazione immigrata irregolare. Un fenomeno ritenuto da osservatori attendibili, come la Caritas, in sensibile crescita, nell´ultimo anno.
Il che induce a riflettere, senza troppa ipocrisia, sullo stesso concetto di immigrazione clandestina. La faccia oscura dell´immigrazione. Il bersaglio delle paure e del dissenso sociale, che la legge, quella attuale come le altre, si propone – apertamente – di contrastare e vanificare. Tuttavia, le leggi possono produrre esiti diversi e perfino opposti dalle previsioni. Quando ipotizzano situazioni irreali e impongono, di conseguenza, condizioni impraticabili. Quando si pretende, ad esempio, che gli aspiranti immigrati “regolari” vengano reclutati dalle imprese italiane nei loro paesi d´origine, attraverso le nostre ambasciate. Allora, la “clandestinità” diventa “regola”. Il primo passo di un percorso che porterà la maggioranza dei migranti a diventare, anzitutto, lavoratori “irregolari”, poi, alla prima sanatoria disponibile, “regolari” a tutti gli effetti. Questa, d´altronde, è la “carriera” seguita dalla gran parte degli immigrati che oggi risiedono “regolarmente” nel nostro paese, dopo esservi entrati e avervi vissuto, per qualche tempo, da “clandestini”.

Entrare da clandestini, peraltro, significa affrontare viaggi rischiosi, gestiti da organizzazioni criminose. Significa, nel paese di destinazione, venire facilmente risucchiati nei circuiti marginali e illegali. Tuttavia, la clandestinità permette di ignorare il fenomeno. Di nasconderlo: ai nostri occhi (e al nostro cuore). Abolendolo per legge. Silenziandolo sui media. Fino a che? Fino a che il mare non inghiotte qualche carretta travestita da imbarcazione; qualche canotto, stracarico di disperati, che non avevano preso visione delle norme stabilite dalla Bossi-Fini, presso l´ambasciata italiana in Albania, Iraq o Pakistan. Fino a che decine di persone senza volto scompaiono. Al largo delle nostre coste. Allora – ma non sempre: di molti naufragi non sappiamo e non sapremo nulla – l´immigrazione torna ad essere visibile, anche se clandestina. E riappare il dubbio che abolirla per legge, perfino frenarne l´esodo, sia velleitario (e un po´ inverecondo), in tempi nei quali ampie zone del mondo – e molte a noi vicine – sono devastate dalla guerra e dalla povertà. Oppure vessate da regimi autoritari e violenti. Velleitaria e irrealista, la pretesa della Ue, di aprire le frontiere interne e chiudersi all´esterno. Di perseguire logiche integrate, che accelerano la circolazione delle persone, dei capitali e delle merci, ma governano l´immigrazione e la cittadinanza con norme specifiche e diverse, paese per paese. Di immaginarsi fortezza chiusa, costretta a trasformare, per questo, il Mediterraneo in un muro da difendere dal nemico.

C´eravamo quasi dimenticati dell´immigrazione, fino alla tragedia di ieri. Torneremo a dimenticarcene presto. Distratti da altri eventi, da altre emergenze. Ma non illudiamoci. È destinata a riaffiorare. Al prossimo naufragio di “clandestini”. O in occasione dell´imminente campagna elettorale. Che, anche per questo, ci proponiamo di attraversare con cautela. Clandestinamente.