Eric Kempson vive sull’isola con la sua famiglia da oltre vent’anni e dal 2015 in seguito ai primi sbarchi ha cominciato a dedicare la propria quotidianità al supporto dei rifugiati detenuti forzatamente in condizioni disumane.
Lo intervistiamo a Hope Project, a pochi passi dal nuovo campo governativo, da lui fondato ma gestito interamente dai rifugiati stessi che lo attraversano. Sono numerose le attività che qui vengono portate avanti: una zona docce, una cucina per la preparazione dei pasti, una palestra per donne, un grande magazzino per la distribuzione di beni di prima necessità e un laboratorio d’arte.
Dopo i primi sbarchi, Eric e Philippa, sua moglie, hanno deciso di affittare un hotel per trasformarlo in un rifugio per i migranti fino a quando le autorità dell’isola non hanno deciso di chiuderlo, sostenendo che la coppia non disponesse di regolare licenza turistica necessaria a gestire una struttura alberghiera, condannandoli inoltre a pagare una multa da 10.000 euro “Le autorità hanno bloccato il mio conto corrente. – continua Eric – Non abbiamo pagato questa multa e non abbiamo intenzione di farlo perché le loro motivazioni sono completamente folli. Ci hanno accusato di vendere pacchetti vacanze su Amazon ma sappiamo benissimo che era un pretesto: non potevano accettare che questo hotel venisse utilizzato per assistere i rifugiati”.
La volontà del governo di sopprimere qualsiasi esperienza di accoglienza al di fuori dei campi governativi è da tempo chiara e manifesta: l’Hope Centre ieri, il campo di Kara Tepe – gestito dal municipalità di Mitilene – e il campo autorganizzato di Pikpa oggi. Per il governo greco, a Lesbo non c’è spazio per la solidarietà.
Il controllo sui rifugiati non si ottiene solamente attraverso lo smantellamento delle esperienze di accoglienza extra governative ma anche allontanando e criminalizzando le organizzazioni indipendenti che operano sull’isola. All’interno dei campi ufficiali possono operare solamente le grandi agenzie, lautamente finanziate dal governo e dalla Commissione Europea e corresponsabili delle condizioni di vita nei campi.
Gli attivisti, le ong e i rifugiati presenti sull’isola devono fare i conti anche con i massicci attacchi e le continue intimidazioni che provengono dai gruppi neofascisti dell’isola. Le gravi minacce che anche Eric e la sua famiglia subiscono hanno rasentato la quotidianità: “Veniamo aggrediti quotidianamente. Hope Project ha subito diversi attacchi, mia moglie poche ore prima di quest’intervista è stata pedinata e insultata. Mia figlia ha ricevuto diverse minacce di stupro. – continua Eric con gli occhi lucidi – Noi siamo ancora qui, è difficile ma facciamo del nostro meglio. Non possiamo girarci dall’altra parte”.
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