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Rubrica: Confini e frontiere

Il prezzo della solidarietà

Lesbo. Video intervista a Eric Kempson, fondatore di Hope Project

Dal 10 al 18 ottobre due attivist* della campagna Lesvos calling sono stat* sull’isola hotspot greca simbolo, suo malgrado, del fallimento delle politiche europee in tema di migrazione e diritti fondamentali.

Dal 2015 Lesbo è stata progressivamente trasformata in una prigione a cielo aperto, un laboratorio europeo dedito a mettere a punto pratiche sempre più repressive e disumane nei confronti delle migliaia di persone che tentano di raggiungere la Grecia.

Vai alla campagna Lesvos calling


Eric Kempson vive sull’isola con la sua famiglia da oltre vent’anni e dal 2015 in seguito ai primi sbarchi ha cominciato a dedicare la propria quotidianità al supporto dei rifugiati detenuti forzatamente in condizioni disumane.

Lo intervistiamo a Hope Project, a pochi passi dal nuovo campo governativo, da lui fondato ma gestito interamente dai rifugiati stessi che lo attraversano. Sono numerose le attività che qui vengono portate avanti: una zona docce, una cucina per la preparazione dei pasti, una palestra per donne, un grande magazzino per la distribuzione di beni di prima necessità e un laboratorio d’arte.

Dopo i primi sbarchi, Eric e Philippa, sua moglie, hanno deciso di affittare un hotel per trasformarlo in un rifugio per i migranti fino a quando le autorità dell’isola non hanno deciso di chiuderlo, sostenendo che la coppia non disponesse di regolare licenza turistica necessaria a gestire una struttura alberghiera, condannandoli inoltre a pagare una multa da 10.000 euro “Le autorità hanno bloccato il mio conto corrente. - continua Eric - Non abbiamo pagato questa multa e non abbiamo intenzione di farlo perché le loro motivazioni sono completamente folli. Ci hanno accusato di vendere pacchetti vacanze su Amazon ma sappiamo benissimo che era un pretesto: non potevano accettare che questo hotel venisse utilizzato per assistere i rifugiati”.

La volontà del governo di sopprimere qualsiasi esperienza di accoglienza al di fuori dei campi governativi è da tempo chiara e manifesta: l’Hope Centre ieri, il campo di Kara Tepe - gestito dal municipalità di Mitilene - e il campo autorganizzato di Pikpa oggi. Per il governo greco, a Lesbo non c’è spazio per la solidarietà.

Il controllo sui rifugiati non si ottiene solamente attraverso lo smantellamento delle esperienze di accoglienza extra governative ma anche allontanando e criminalizzando le organizzazioni indipendenti che operano sull’isola. All’interno dei campi ufficiali possono operare solamente le grandi agenzie, lautamente finanziate dal governo e dalla Commissione Europea e corresponsabili delle condizioni di vita nei campi.

Gli attivisti, le ong e i rifugiati presenti sull’isola devono fare i conti anche con i massicci attacchi e le continue intimidazioni che provengono dai gruppi neofascisti dell’isola. Le gravi minacce che anche Eric e la sua famiglia subiscono hanno rasentato la quotidianità: “Veniamo aggrediti quotidianamente. Hope Project ha subito diversi attacchi, mia moglie poche ore prima di quest’intervista è stata pedinata e insultata. Mia figlia ha ricevuto diverse minacce di stupro. - continua Eric con gli occhi lucidi - Noi siamo ancora qui, è difficile ma facciamo del nostro meglio. Non possiamo girarci dall’altra parte”.

- Per fare una donazione a The Hope Project clicca qui
- Per acquistare le opere del laboratorio d’arte clicca qui

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  • Cronache da Lesbo, dove l’Europa fallisce ancora una volta
  • Violenze ai confini greci. Ottobre 2020

Galleria fotografica

[ 28 ottobre 2020 ]
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ARGOMENTI:
#Lesvoscalling, Grecia e immigrazione, Lesvos, Progetti e servizi, Solidarietà e attivismo, Video
GEOTAG:
Grecia, Isola di Lesvos, Isole Egee
TIPO DI ARTICOLO:
Interviste

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