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Il ‘radicamento’ in Libia e il buon inserimento in Italia giustificano la protezione umanitaria

Tribunale di Bologna, ordinanza del 3 febbraio 2018

Photo credit: Vanna D'Ambrosio

La vicenda riguarda un richiedente asilo di origine ghanese che lasciava il Paese per la Libia all’età di quattro anni unitamente al padre che poi sarebbe stato ucciso anni dopo nel clima di violenza sistemica e post dittatura. Lo stesso richiedente rimaneva vittima delle efferatezze dell’attuale situazione libica.

La Commissione aveva respinto la domanda di protezione internazionale, ritenendo non sussistente né il fondato timore di persecuzione per uno dei motivi previsti dalla Convenzione di Ginevra né le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria o della c.d. protezione umanitaria.
In sintesi, la CT ha respinto la domanda evidenziando delle supposte incoerenze interne nel resoconto dell’istante.

Il giudizio della Commissione, secondo il Giudice, non può essere condiviso.
Il ricorrente ha fornito una descrizione precisa, dettagliata, coerente, logica e verosimile della drammatica esperienza vissuta in Libia, Paese in cui ha trascorso la maggior parte della propria vita al seguito del padre. Con dovizia di particolari e con grande partecipazione emotiva il ricorrente ha descritto la ferocia e la violenza con cui uno dei tanti gruppi di miliziani, abusi a compiere scorribande in Libia, soppresse la vita del proprio padre e quindi somministrò al giovane una serie di torture fisiche e psicologiche di cui il ricorrente porta ancora evidenti cicatrici“.

Nel contempo, il Giudice evidenzia “che il ricorrente non ha più alcun effettivo legame con il Ghana, avendo perso la madre al momento della nascita ed essendo rimasto orfano di padre in seguito alla drammatica esperienza vissuta in Libia.
Egli abbandonò il Ghana all’età di soli quattro anni e, in effetti, non conosce neppure la lingua parlata o gli usi propri del Paese di cui ha riferito di essere cittadino. Tali considerazioni, unite alla traumatica esperienza subita in Libia, oltre che il positivo percorso di integrazione compiuto dal ricorrente nel nostro Paese, sia sotto il profilo dell’apprendimento della lingua italiana, sia sotto quello dell’avviamento al lavoro, giustificano il riconoscimento di un permesso di soggiorno per seri motivi di carattere umanitario, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 comma 6 D.L.vo n. 286/1998
“.

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Tribunale di Bologna, ordinanza del 3 febbraio 2018