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da Il Tempo.it del 3 maggio 2007

Il secolo dei nuovi muri

di Maurizio Piccirilli

I muri dell’infamia e dell’intolleranza.
Nell’ultimo quarto del XX secolo, quello delle guerre mondiali e dei genocidi, il Muro di Berlino ha rappresentato l’orrore e la volontà di sottomettere i popoli dividendo nazioni e famiglie in nome dell’ideologia. L’Occidente subì quel muro per decenni e solo un Papa polacco e un presidente americano di nome Reagan ripresero la battaglia per abbatterlo.

Era il 1979 quando i Pink Floyd composero The Wall dove si raccontava di un muro immaginario ma pur sempre percepibile, creato dall’alienazione ma condito anche di schizofrenia e The Wall fu colonna sonora di un epico concerto di Roger Waters sulle macerie di quel Muro preso a picconate nel novembre 1989. Muri, barriere.

Nell’antichità il Vallo di Adriano e la Grande Muraglia cinese erano baluardo a difesa delle civiltà insidiate dai barbari che premevano sui confini degli imperi.

Oggi dopo aver abbattuto il Muro di Berlino, gli stessi portabandiera della libertà e della democrazia innalzano Muri in giro per il mondo. Muri di difesa. Muri di chi è incapace di risolvere la sofferenza dei popoli così la occultano dietre le barriere perchè non fanno nulla e non sanno come combatterla. Resta un «canto del gallo per contrade oscure» il grido di Giovanni Paolo II contro la barriera che divide la Cisgiordania. «Non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti», disse nel 2002 il Papa polacco che con le sue pressioni e le sue preghiere diede la decisiva picconata al Muro di Berlino. Ma la «barriera di difesa» voluta da Sharon avanza. Una megaopera di 650 km, tre volte più alto e due volte più largo del Muro di Berlino.
Gli israeliani lo chiamano «gader hahafrada» (recinto di separazione), i palestinesi «al Jidar al Fasel al unsuri» (muro di separazione razzista) e la comunitá internazionale «barriera di separazione». Paura e incapacità di dialogare. Da una parte e dall’altra. Così si cerca di esorcizzare quella distesa di cemento con graffiti e foto per rendere meno opprimente per l’anima quella barriera. Alcuni poster giganti campeggiano da qualche tempo su questo cosiddetto muro di separazione. Fanno parte di un progetto chiamato «Face2Face», ideato e realizzato da due francesi, Jr. e Marco. Volti di ebrei e palestinesi simili nella gioia e nella sofferenza. Eppure lì, in Terra Santa, c’è un muro millenario che è simbolo di pace e riconciliazione con Dio. Dove si va in pellegrinaggio per parlare con l’unico Dio.

Ma i muri non finiscono mai in questa alba di XXI secolo diventano l’unica risorsa dei Paesi civili contro l’ignoto e l’impotenza nell’affrontare situazioni politiche troppo complesse. Così ecco i muri di Baghdad. Milioni di dollari per dividere i quartieri sciiti da quelli sunniti.
Un business miliardario che arrichisce un imprenditore sunnita, Ahmed Chalabi, e l’esercito del Mahdi, le milizie sciite di Moqtada al Sadr che forniscono la manodopera. E ci sono già i progetti per innalzare muri in altre 50 città irachene. Mentre un pezzo di muro scompare a Cipro ne sorgono altri. Nascondere, proteggere. Chiudersi in un guscio di cemento protetto da campi minati, telecamere e corrente elettrica. Proteggersi dai «diversi», dagli stranieri.
È il muro tra Stati Uniti e il Messico. È quello finanziato dalla Comunità europea per impedire ai clandestini di entrare nell’enclave spagnola di Ceuta. È il muro di via Anelli a Padova per nascondere e proteggere la città dagli immigrati. Il muro voluto dall’ex presidente Bill Clinton ma visibilmente apprezzato da Bush, che rientrava nell’ottica del progetto Gatekeeper o «Operacion Guardian» che, fra le altre cose, prometteva di bloccare i clandestini. Ma i dati sull’immigrazione sono contrastanti e evidenziano che dal 1994 a oggi i clandestini che passano la frontiera americana non sono mai diminuiti. Anzi si calcola che ogni anno aumentino di circa 300mila unità. Un muro che, oltre ad avere scarsi effetti pratici, arriva addirittura a bagnarsi in mare, mortificando lo spettacolo che fornisce l’Oceano Pacifico. E oggi un altro Pontefice, Benedetto XVI, papa teologo, chiede «più umanità per gli immigrati» e l’abbattimento della barriera tra Usa e Messico. Il vescovo ausiliare di Città del Messico, Gregorio Rosa Chávez, ha dichiarato che «la costruzione di questo muro è un’offesa alla dignità umana ed è una dichiarazione di disprezzo all’America Latina».
Mentre nel deserto del Sahara, come un opera antica si staglia tra le dune il «muro marocchino» edificato con l’obiettivo di proteggere il territorio occupato dal Marocco dalle incursioni del Fronte Polisario un altro muro prende vita tra le montagne del Centro Asia. Il Pakistan ha iniziato la costruzione del muro di difesa lungo il confine con l’Afghanistan. Lo ha annunciato il ministero della difesa afghano, che contesta l’operato di Islamabad per via della disputa di frontiera esistente tra i due Paesi. «Stando a quanto riferito dai servizi di intelligence dell’Afghanistan, il Pakistan ha iniziato a costruire il muro lungo l’area di Barmal». Barmal si trova nella nella provincia afghana di Paktika e il mese scorso il presidente pakistano, Pervez Musharraf, aveva annunciato di voler costruire il muro lungo quella zona per restringere il movimento dei talebani tra i due Stati. Ma per l’Afghanistan il muro «non aiuterà nella lotta al terrorismo».
«Dividerà famiglie e tribù», aumentando tensioni e accrescendo sentimenti di rivolta. «Se in un ambiente integrato si introducono delle divisioni artificiali, nascono delle anomalie», scriveva lo scrittore americano Mark Ehrman a proposito del muro di Berlino. Queste anomalie continuano a riprodursi.