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Il tempo della solidarietà

La campagna overthefortress in cammino lungo la rotta balcanica

Photo credit: Carmen Sabello, #overthefortress a Belgrado (5 febbraio 2017)

Stiamo seguendo con inquietudine le notizie, le immagini e i suoni che continuano ad arrivare dalla rotta balcanica. Migliaia di migranti sono bloccati in paesi inospitali, esposti a trattamenti inumani e degradanti, ai margini delle città e della società. Sono le stesse persone che abbiamo incontrato, nel corso del tempo e a varie latitudini, nei Balcani. Le stesse che abbiamo conosciuto a Idomeni, con le quali abbiamo condiviso un pezzo importante delle nostre biografie politiche ed esistenziali. Più di 7.500 persone sono attualmente bloccate in Serbia, dove sono costrette a vivere in campi sovraffollati e insediamenti informali.

A Belgrado diverse migliaia di uomini vivono in edifici fatiscenti nel centro città. Provengono soprattutto da Siria, Iraq, Pakistan e Afghanistan. Le condizioni di vita sono indegne: all’assoluta indigenza si aggiunge anche l’insopportabile gelo, con temperature anche di venti gradi sotto lo zero.

Le autorità serbe osteggiano le pratiche solidali attuate nei confronti delle persone bloccate a Belgrado e che si ritrovano a vivere negli insediamenti informali. Il governo serbo vuole indurre tutte le persone a trasferirsi nei campi ufficiali, che però sono attualmente pieni. In questa maniera migliaia di persone sono costrette a vivere negli edifici abbandonati, in condizioni di grave marginalità e costante rischio.

Una storia europea

Quella che sta andando in scena a Belgrado e, più in generale, nella rotta che dalla Grecia conduce in Croazia, Ungheria, Austria e Italia è, a tutti gli effetti, una vicenda europea. È una vicenda europea dal mero punto di vista geografico. Si tratta, infatti, di territori a due passi dal cuore d’Europa, a due passi da noi. È una vicenda europea anche e soprattutto dal punto di vista politico.

Le indegne condizioni di vita e di transito delle persone attualmente bloccate o in movimento lungo la rotta balcanica sono diretta conseguenza delle politiche europee di chiusura delle frontiere, di esternalizzazione del controllo e di criminalizzazione delle migrazioni.

È colpa delle politiche europee se migliaia di persone passano le loro giornate respirando i fumi tossici negli insediamenti informali, il solo modo per provare a resistere al gelo. Si tratta molto spesso di minori, anche non accompagnati. L’Europa sta condannando anche loro ad un’esistenza precaria, di sofferenza e stenti.

I tentativi di attraversamento del confine serbo-croato e serbo-ungherese, per tante e tanti, non sono andati a buon fine. In aggiunta, le testimonianza di violenze inaudite, percosse, maltrattamenti di ogni tipo si moltiplicano. Alla violenza dei confini chiusi, delle strade bloccate, delle politiche di respingimento si aggiunge la violenza delle polizie di frontiera, armate dai governi nazionali, e che rispondono ad una logica, tutta Europea, di chiusura – ad ogni costo – di tutte le vie d’accesso.

È un corpo a corpo, molto spesso tutt’altro che metaforico, quello che è in scena ogni giorno lungo la rotta balcanica. Da una parte ci sono le politiche di repressione e chiusura, che confinano, detengono, precarizzano, uccidono. Dall’altra c’è il desiderio irrefrenabile delle e dei migranti di transitare, di proseguire il viaggio, di resistere ed avanzare.

È tempo di tornare, con forza e convinzione, in maniera organizzata e politicamente determinata, a percorrere nuovamente la rotta balcanica, a fianco delle donne e degli uomini che sono attualmente lì confinati. È tempo di fare la nostra parte all’interno di questa dialettica, tutta Europea, tra le politiche del controllo e il desiderio di transito.

È l’unico modo che conosciamo per far fronte all’inquietudine che ci assale ogni qual volta che osserviamo le immagini delle donne e degli uomini avvolti nelle coperte, in lunghe file per una ciotola di cibo offerta dai volontari presenti. E l’unica solidarietà che pensiamo possa essere efficace è quella politicamente situata.

Pensiamo sia arrivato nuovamente il tempo di mettersi in movimento, portando solidarietà e complicità ai migranti bloccati lungo la rotta balcanica, con particolare riferimento alla Serbia, svolgendo attività di comunicazione indipendente e monitoraggio, denuncia politica ed advocacy. Pensiamo che proprio la Serbia ed i suoi confini siano attualmente dei punti focali, che rendono necessario un intervento solidale all’altezza delle sfida in corso.

In Serbia e sui confini sono attualmente bloccate diverse migliaia di persone, lì sono attualmente visibili le conseguenze più dirette delle politiche europee, con la messa in scena di ogni sfumatura della sofferenza umana, compresa la morte. Ci sono anche difficoltà di ordine politico: la solidarietà è, come altrove, osteggiata e a volte criminalizzata.

Vie di fuga

Abbiamo imparato, nell’ambito delle attività finora svolte da overthefortress, che fare politica vuol dire, molto spesso, rendere possibile ciò che è necessario. Da questo punto di vista, abbiamo bisogno della capacità organizzativa, delle energie e del desiderio di mettersi in movimento di tante e tanti. Un’azione solidale, all’altezza della sfida in corso, non può che essere aperta, partecipata, molteplice.

Abbiamo organizzato alcune partenze che possano dare continuità al primo viaggio di fine gennaio per continuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto fin dall’inizio della campagna #overthefortress. Vedere coi nostri occhi, comunicare e portare una solidarietà concreta.

Saremo nuovamente lungo la rotta balcanica per le stesse ragioni che ci hanno portato a viaggiare, nei mesi scorsi, nel sud Italia per mappare le esperienze solidali e i conflitti che segnano il rapporto tra territori e migrazione. Pensiamo che le migrazioni siamo un terreno privilegiato per capire in che direzione sta mutando la nostra società, e per intervenire politicamente in queste trasformazione. Con queste lenti, contemporaneamente alla staffetta verso la Serbia, saremo in Calabria per sostenere il progetto Rosarno Hospital(ity) school promosso dal Collettivo Mamadou. Luoghi diversi e lontani, ugualmente segnati da esistenze precarie e confinate, e desideri di riscatto e transito.

E’ tempo di fare la nostra parte, con la stessa determinazione politica e lo stesso entusiasmo che abbiamo messo in campo nelle altre avventure solidali degli ultimi anni, prima e dopo Idomeni. È tempo di trasformare l’inquietudine in energia, e di organizzarla. Non sarà facile. È nuovamente possibile fare movimento overthefortress, in tante e tanti. Abbiamo imparato che la solidarietà, se orientata politicamente, è un’arma potentissima. È tempo di agitarla, con coraggio e dignità, verso la costruzione dell’Europa che vogliamo, finalmente libera dai confini, aperta e solidale.

Per info: [email protected]

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