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da Il Manifesto del 23 aprile 2004

Immigrati, Pisanu espelle Mantovano di Cinzia Gubbini

Sulle questioni dell’immigrazione, e su quel che bisognerà fare una volta pubblicata la sentenza della Corte costituzionale che boccia l’articolo 13 della Bossi-Fini non dovrebbero decidere né Alleanza nazionale, né la Lega. Questo pensa quella parte della destra che vive con sempre maggiore insofferenza le esternazioni infuocate su questo tema, i dati della polizia usati con troppa libertà, le campagne elettorali fatte a chi la spara più grossa.

E non da oggi. Ieri il ministro dell’interno Pisanu ieri ha rotto gli indugi, e ha rilasciato una dichiarazione sulle anticipazioni della Consulta: «Rispetteremo la sentenza della Corte e apporteremo le modifiche che essa suggerisce, garantendo la continuità e l’ efficacia della Bossi-Fini sull’ espulsione degli immigrati clandestini», ha detto, sostenendo che la legge funziona bene «nel suo complesso», e funzionerà ancora meglio dopo l’approvazione dei regolamenti «al momento al vaglio del Consiglio di stato» (che precedentemente aveva ravvisato numerosi problemi). Nessun commento sulle indiscrizioni che circolano sulla stampa circa il contenuto del decreto correttivo: ai giudici di pace la competenza di disporre l’accompagnamento alla frontiera, trasformazione del reato amministrativo di immigrazione clandestina in delitto, con un innalzamento della pena. La versione ufficiale rimane che queste sono solo ipotesi e che non c’è niente di deciso.

Il fatto è che questo modello va benissimo ad Allenaza nazionale (e pure alla Lega, soprattutto sulla questione del reato di immigrazione clandestina). Anzi, il sottosegretario all’interno di Alleanza nazionale, Alfredo Mantovano, ci ha messo del suo. Ma non sarà un caso che Mantovano è stato improvvisamente esautorato dal compito di supervisionare le questioni migratorie. Certo non ha mai avuto la delega formale, rimasta orfana dopo le dimissioni forzate di Taormina, ma è un fatto che per tutti – dai sindacati alle associazioni – il referente al Viminale era lui. Da qualche tempo non più: tutto è tornato nelle mani del ministro che ora ha un filo diretto con il prefetto che guida il Dipartimento delle libertà civili, Anna Maria D’Ascenzo. Insomma, Pisanu e Mantovano sono ormai in rotta di collissione. Sul decreto, come sul resto, torna a decidere il ministro.

D’altronde un sottosegretario con la delega alla polizia e pure all’immigrazione, ha un certo potere. Troppo. Analoga situazione si creò quando al Viminale c’era Bianco dopo la dipartita di Maritati da sottosegretario con delega all’immigrazione. Maritati fu sostituito da Di Nardo ma fu Brutti – che aveva la delega alla polizia – a prendere di fatto le redini sulle politiche migratorie, con grande irritazione di Bianco. Erano i primi segnali dello sfaldamento della coalizione di governo. E’ sempre un brutto segno quando al Viminale si bisticcia.

Ma perché questo decreto, che doveva essere approvato il 18 marzo scorso, è stato rimesso precipitosamente nel cassetto? Evidentemente qualcuno crede a chi sostiene che tanto la questione dei giudici di pace, quanto l’introduzione del delitto di immigrazione clandestina sarebbero passibili di un’ennesima bocciatura da parte della Consulta. E due bocciature di seguito sugli stessi punti sarebbero un po’ troppe. Meglio rimandare, e aspettare che la Corte emetta la sentenza con relative motivazioni. Formalmente è un atto di garbo istituzionale, praticamente è un modo per prendere tempo e per vedere quali margini di manovra assicureranno le motivazioni della Consulta.

Il governo si trova ad affrontare un vero nodo gordiano. L’ex ministro diessino Livia Turco, non fa che girare il coltello nella piaga e non perde occasione per ricordare alla maggioranza che l’unica strada percorribile è tornare al suo testo di legge. In effetti voler mantenere l’accompagnamento alla frontiera come provvedimento generalizzato per chi entra illegalmente in Italia è difficile. La Turco-Napolitano lo prevedeva solo in casi eccezionali. Né pare che si possa risolvere con il controllo giurisdizionale affidato ai giudici di pace, che così andrebbero a decidere sulla restrizione della libertà personale. Giudice di pace può diventare chiunque abbia una laurea in giurisprudenza e un’abilitazione alla professione forense. Ancora più spinosa la questione della trasfromazione del reato di immigrazione clandestina in delitto, «quale sarebbe la lesione del bene giuridico?», chiede il responsabile immigrazione Ds, Giulio Calvisi. Alle teste d’uovo della destra l’onere di rispondere.