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da Il Tempo.it

Immigrati a punti… E se il premio fosse la cittadinanza italiana?

La proposta, articolata su 10 punti per dieci anni, cioè sino al traguardo della cittadinanza italiana, è stata bocciata, non solo dall’opposizione e dai sindacati, ma anche da una parte consistente della maggioranza (soprattutto Pdl), anche se gli esponenti di questi settori non si sono ancora pronunciati esplicitamente.

Non sarà facile sbrogliare ora questa matassa, anche perché i leghisti sembrano determinati a resistere su questa linea (che prevede, fra l’altro, oltre alla perdita dei punti per chi non rispetta la legge, sanzioni amministrative, l’obbligo dei lavori socialmente utili per ottenere crediti, l’aumento da 72 a 200 euro del permesso di soggiorno). Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, cui spetterebbe il compito di elaborare un regolamento, sembra imbarazzato e si è trincerato nel silenzio. E c’è da comprenderlo: da una parte, infatti, pesa la forte pressione del suo partito (soprattutto delle componenti più apertamente caratterizzate dalla demagogia razzista e xenofoba), dall’altra la estrema difficoltà di rendere applicabile la procedura proposta. L’emendamento leghista che, sbrigativamente l’opposizione, ma anche la Cgil e le Acli, hanno liquidato come «razzista», «astruso» e «provocatorio» non è proprio una novità assoluta. Esiste già, ad esempio, in Canada, per selezionare – ma prima dell’ingresso nel paese – la preparazione professionale degli immigrati, la loro conoscenza delle lingue, i titoli di studio.

A proposito, nessuno si è ancora chiesto perché il superpubblicizzato storico accordo con Gheddafi non è ancora entrato in funzione. Anzi, sembrerebbe che Tripoli favorisca, invece che frenare, i viaggi sulle carrette del mare che si concludono in Sicilia e in Sardegna, con lo sbarco di centinaia di migranti ogni giorno. Senza considerare gli arrivi, anch’essi irregolari, di lavoratori stranieri dalle frontiere del nord, ormai non più controllate come un tempo. La realtà è purtroppo amara. Non riusciamo a chiudere le frontiere (oggi sarebbe impossibile, anche se si sospendesse il trattato di Shengen), non ce la facciamo a rimandare indietro gli immigrati (comunitari e non), se non in percentuali modeste (meno del 20% ), non riusciamo, in tempi di quasi recessione, ad assorbire tutte le ondate migratorie e tanto meno a garantire loro una integrazione, fatta di alloggi,scuole e servizi decenti.

Certo, però non è con la facile demagogia dell’opposizione, dei sindacati e di tante organizzazioni cattoliche che si può arrivare a realizzare vere politiche di integrazione. C’è allora da chiedersi, come ci sollecitava un ascoltatore del Senegal qualche sera fa: ma se un immigrato lavora, paga le tasse e rispetta le leggi, dimostrando di amare l’Italia, perché – dopo cinque anni – non può ottenere la cittadinanza e conquistare il diritto al voto? Il «permesso a punti», se sarà approvato, potrebbe prevedere proprio un «premio» di questo tipo.