Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il manifesto del 13 agosto 2006

Immigrati avvelenati in serra. E’ giallo

di Alfredo Pecoraro da Ragusa
Sono morti da soli e lontano dal loro paese, la Romania, da dove erano partiti con la speranza di guadagnare un po’ di soldi, attirati con l’inganno nelle campagne di Sicilia. Sono morti a distanza di 48 ore l’uno dall’altro: Campus Yonuth, 25 anni, nell’ospedale di Comiso, e Josif Majhart, 46 anni, in quello di Ragusa dopo che il «padrone» lo aveva abbandonato agonizzante sul marciapiede davanti al pronto soccorso. I medici attribuiscono la morte di entrambi i braccianti ad avvelenamento da metanolo. Come l’abbiano ingerito però rimane un mistero. Un terzo rumeno sarebbe ricoverato a Ragusa e presenterebbe gli stessi sintomi, e non si esclude che anche altre persone siano rimaste intossicate. La Procura di Ragusa ha aperto un’inchiesta, s’indaga a tutto campo nel mondo agricolo e in particolare tra le aziende che producono in serra, luoghi di lavoro dove di solito viene impiegata la manodopera extracomunitaria, per lo più rumeni, ucraini, polacchi, albanesi e slavi. L’ipotesi è che i due rumeni abbiano potuto inalare sostanze chimiche a base di metanolo utilizzate in serra come disinfettante oppure che abbiano bevuto vino adulterato. L’autopsia sui cadaveri probabilmente aggiungerà un tassello in più, anche se al di là delle cause del decesso ora in Sicilia da più parti comincia ad alzarsi la voce contro gli schiavisti del terzo millennio. Campus e Josif sono soltanto le ultime due vittime in ordine di tempo, e la loro morte può sicuramente assurgere a simbolo di un fenomeno che in Sicilia negli ultimi tre anni ha assunto proporzioni enormi, nell’indifferenza delle istituzioni che anzi tentano di rappresentare la Sicilia come modello d’integrazione e tolleranza. La Flai-Cgil calcola che nel giro di due-tre mesi, soprattutto con l’inizio della vendemmia, saranno in 20 mila gli schiavi dell’est costretti a lavorare in condizioni disumane nelle serre o nei campi a Catania, Niscemi, Gela, Vittoria, Ragusa, Agrigento. Un esercito di «morti viventi», come li definisce Beniamino Sacco, parroco di Vittoria, città crocevia di uomini e donne fantasma, pagati 10 euro per 12 ore di lavoro, rinchiusi in casolari fatiscenti, trattati peggio delle bestie e abbandonati quando il «padrone» sente puzza di sindacato o polizia. La coltre di silenzio attorno a questi schiavi comincia però a diradarsi e la morte di Campus e Josif forse servirà ad aprire le coscienze di chi finora ha girato la testa o di chi peggio ancora fa degli immigrati dell’est un business. «Il fenomeno è gravissimo – denuncia Salvatore Lo Balbo, segretario generale della Flai-Cgil siciliana – Questi poveretti lavorano nelle zone ricche, dove il prodotto si vende permettendo al padrone di guadagnare sulla manodopera sottopagata e sfruttata in modo disumano. Ingaggiarli è semplice: il padrone può arruolarli mandando qualcuno dei suoi nelle piazze o nelle strade dove si sa è facile trovare gli immigrati dell’est che aspettano il lavoro oppure può rivolgersi ai mediatori, gente di media istruzione che dello sfruttamento degli schiavi ne ha fatto un mestiere». A Vittoria tutti sanno ma in pochi sono disposti a denunciare, qualcuno soprattutto nel mondo del volontariato e in quello sindacale fa quel che può per aiutare gli schiavi intrappolati dalla loro condizione di clandestini. Dei 34 mila interventi medici effettuati nel 2005 nell’ospedale di Vittoria ben 4 mila riguardano extracomunitari, vittime di incidenti sul lavoro ma che evitano di parlarne ai sanitari preferendo presentarsi al pronto soccorso senza documenti. Sulla statale di Vittoria è facile imbattersi anche di notte in lunghe fila di disperati in marcia verso le serre e basta recarsi nella stazione di Catania per capire che l’immigrazione clandestina non è solo sbarchi ma anche sporchi affari e trafficanti di uomini.