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da Il Manifesto del 12 ottobre 2003

Immigrati, perché Fini? di Enrico Pugliese

La mia reazione all’esternazione del vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini sul voto agli immigrati è stata diversa da quella («non ci posso credere«) dell’immigrato sulla copertina del manifesto di mercoledì scorso. In effetti mi aspettavo un qualche presa di posizione dell’on. Fini (o di qualche altro esponente di rilievo del governo) sul tema della immigrazione: magari non proprio la promessa di una legge a favore del voto amministrativo per gli immigrati, ma certamente una presa di posizione benevola. Questa mia aspettativa derivava proprio da alcune impressioni che avevo ricavato dal convegno sull’immigrazione tenutosi nei giorni precedenti presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), durante il quale ha avuto luogo l’esternazione. Si trattava di un convegno estremamente ufficiale con la presenza dei rappresentanti di organizzazioni operanti nel campo dell’immigrazione, di sindacati e di altre forze sociali, di organizzazioni internazionali e di associazioni di immigrati (ben selezionate), oltre che, ovviamente, dei rappresentanti del governo: insomma un parterre di tutto rispetto dal punto di vista istituzionale.

C’erano tutti e si parlava di tutto: pareva un’ottima premessa per un convegno inutile e ritualistico. Ma le cose stavano diversamente. Per una qualche strana coincidenza – di quelle che capitano raramente in convegni sull’immigrazione – in quella occasione avevano finito per trovarsi insieme persone che avevano qualcosa da dire e per di più con cognizione di causa. Venivano infatti condotte analisi puntuali sulla situazione degli immigrati, sui loro problemi, le loro aspettative, le loro sofferenze e sul come e perché la loro vita è diventata più difficile negli ultimi anni anche – ma non solo – in conseguenza dell’applicazione della legge Bossi Fini. Il giudizio negativo su questa legge e sui suoi effetti era esplicito o traspariva dalla stragrande maggioranza degli interventi. Alle critiche all’azione del governo si affiancavano quelle nei confronti dei recenti orientamenti restrittivi dall’Unione Europea e della stessa Organizzazione per i Rifugiati delle Nazioni Unite in materia di diritto di asilo.

Dagli interventi risultava chiaramente che l’Italia sta in ottima compagnia per quanto riguarda chiusure e inutili rigidità nei confronti degli immigrati e soprattutto per quanto riguarda le norme restrittive nei confronti dei richiedenti asilo. Con riferimento a quest’ultimo tema, tuttavia, da più parti veniva fatto notare come il grado di chiusura – e il conseguente rischio per i profughi – che caratterizza la Bossi-Fini e la pratica attuale del governo italiano vanno ben oltre l’usuale rigidità attualmente praticata negli altri paesi europei.

Nel convegno insomma la diplomazia aveva ceduto definitivamente il posto alla chiarezza. Chi parlava sa come è difficile rinnovare il permesso di soggiorno; sa quanto è difficile per un profugo ottenere il riconoscimento dello status e quanto è invece più facile rischiare di essere rispedito indietro; sa come è in nella pratica complicato l’accesso ai benefici delle politiche sociali previste dalle leggi sull’immigrazione; sa infine come sia diventato più agevole e frequente deportare gli immigrati oggi. Non mi è parso invece – ma sarò stato distratto – che la richiesta del voto amministrativo animasse generalmente il convegno. Più che il diritto di voto, la maggior parte degli interventi rivendicava per gli immigrati il diritto di vivere senza essere inutilmente e perennemente vessati e senza dover dare quotidianamente conto della propria meritevolezza, senza la spada di Damocle delle difficoltà di rinnovo del permesso di soggiorno (esacerbate dalla legge Bossi-Fini).

In quella occasione – e fino all’intervento dell’on. Fini nel secondo giorno – non fu data alcuna risposta alle denunce e alle richieste. Il sottosegretario Sacconi le prese alla larga con un discorso da convegno, ritualistico, e in sostanza difese in maniera generica solo il «contratto di soggiorno», la norma della Bossi Fini – criticata finanche dalla Confindustria – secondo la quale si può entrare per lavorare solo con un determinato datore di lavoro, per cui quando il rapporto di lavoro finisce si perde anche il permesso di soggiorno. Da parte sua il ministro Pisanu, la cui presenza e le cui parole sarebbero stati importanti, era assente (come capita in casi di scarso rilievo, è stato sostituito da un prefetto). Insomma il primo giorno una risposta del governo è del tutto mancata.

Poteva andare così, senza alcuna significativa reazione da parte governativa? Non credo. Un mio amico, a un certo punto della giornata, mi chiese ridacchiando: «Secondo te chiuderanno il Cnel?». Sapeva di ironizzare: non solo per la rilevanza istituzionale e costituzionale del Cnel, organismo di confronto delle parti sociali. Ma perché in quel convegno c’era qualcosa in più che i soli sindacati e le imprese: c’erano i rappresentanti del mondo religioso, in particolare di quello cristiano e – ciò che è ancora più importante – in maniera massiccia e decisa di quello cattolico.

Quante divisioni ha il Papa? Davvero tante quando si parla di immigrati a giudicare dal tono e dai contenuti del discorso di mons. Nozza direttore di Charitas. Il convegno rifletteva il punto di vista di una area vasta che taglia trasversalmente orientamenti politici: un’area le cui preoccupazioni e le cui critiche non possono essere facilmente ignorate C’era la necessità di dare una risposta ai fermenti che quel convegno rifletteva e il vicepresidente del consiglio l’ha data. Non che l’on. Fini sia entrato minimamente nel merito: non poteva certo concordare con critiche così pesanti nei confronti di come vengono trattati ora gli immigrati. Entrare nel merito sarebbe stato troppo difficile e impegnativo e non era agevole trovare argomenti per controbattere alle denunce. E così – senza rinnegare la pesante pratica presente che mette gli immigrati in condizioni di grande difficoltà – viene proposto un luminoso futuro, espresso dal diritto di voto per chi onestamente risiede e lavora nel nostro paese.

Che siano parole o impegni concreti dopo tutto non ha molta importanza. Le parole in questo caso contano enormemente giacché influenzano il clima politico e culturale. Agli immigrati è stato lanciato un messaggio di rispetto e di accettazione. E questo è importante, anche se il messaggio conteneva la velenosa distinzione tra buoni e cattivi. E’ ovvio quindi che bisogna dare una valutazione positiva dell’esternazione dell’on. Fini. Che poi ci si debba contentare è tutt’altra storia. I problemi – lo ripeto – non stanno nel diritto di voto, ma nel diritto all’esistenza, al poter vivere in pace.

Rispetto poi alle caratteristiche di questa legge poco ne sappiamo perché poco ne sa chiunque. Si sa solo che verrà presentata venerdì. Si sa anche che ne beneficeranno – secondo il responsabile di An per l’immigrazione – non solo i titolari della carta di soggiorno ma anche i titolari di semplice permesso di soggiorno purché con prolungata e continuativa residenza nel paese (si dice otto anni). Tuttavia il permesso di soggiorno agli immigrati extracomunitari – che in Italia è stato finora concesso in generale (per oltre l’80% dei casi) solo in occasione di sanatorie – può essere revocato con grande facilità e rischia sempre di scadere per i motivi più vari. Dopo di che le pratiche ufficialmente richieste per il rinnovo sono complicatissime e bisogna dare dimostrazione di essere in regola sotto tutti punti di vista e di avere un reddito continuativo. Non so se si introdurrà così il voto in base al censo per gli stranieri, ma di reddito continuativo ho sentito parlare. La legge infine sarà basata su una modifica costituzionale, che – come è noto a chi se ne intende – non è affatto necessaria. Quindi c’è il rischio di andare alle calende greche o di scomodare nuovamente la Costituzione. Staremo a vedere. Per ora si è trattato di una vittoria simbolica per gli immigrati. Non è poco.