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da Corriere.it del 23 aprile 2010

Immigrati respinti dall’Italia alla Libia I pm: «È una violenza»

A giudizio superpoliziotto e generale

Violenza privata. Brucia l’accusa costata ieri il rinvio a giudizio a Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Viminale e al generale della guardia di Finanza, Vincenzo Carrarini, capo del terzo reparto operazioni del comando generale. Per loro quel 30 e 31 agosto 2009 si era trattato di attuare l’accordo, voluto dal governo, sui respingimenti in mare dei clandestini. E proprio nel giorno della visita del premier Berlusconi a Tripoli, avevano ordinato di riconsegnare ai libici quei settantacinque clandestini, comprese donne e bambini, sorpresi a Portopalo di Capo Passero. Ordini «non manifestamente illegittimi» secondo la stessa procura della repubblica di Siracusa che, in considerazione di ciò, ha prosciolto i militari della finanza che li avevano eseguiti. Ordini rivendicati come legittimi ancora ieri non solo dal capo della polizia, Antonio Manganelli: «L’azione si è svolta nel pieno rispetto della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti».

Ma anche dallo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni che in una telefonata di «stima e piena vicinanza» a Ronconi si è detto sicuro che l’accertamento giudiziario «dimostrerà che le azioni poste in essere sono state pienamente conformi alla legislazione nazionale e internazionale». È d’accordo il viceministro Alfredo Mantovano che ha bocciato come «sconcertante» il rinvio a giudizio che, ha rimarcato, «non farà in alcun modo recedere il ministero dell’Interno dalla piena applicazione dell’accordo fra Italia e Libia». Ma allora perché il rinvio a giudizio? E perché non è stato eccepito nulla sull’accordo? Secondo la Procura di Siracusa, che ha disposto il processo senza passare dal gip (come previsto per i reati di competenza del giudice monocratico), l’accordo bilaterale non c’entra. Ma i due imputati, «con abuso delle rispettive qualità di pubblici ufficiali» avrebbero tenuto una «condotta violenta» nel «ricondurre in territorio libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni». Per il procuratore capo Ugo Rossi il reato sarebbe scattato al momento in cui i naufraghi vennero fatti salire a bordo della nave «Denaro». L’imbarcazione era territorio italiano. E quei clandestini, potenziali rifugiati, sarebbero stati trattati, secondo i pm, «in aperto contrasto con le norme di diritto interno e di diritto internazionale». Tanto da «impedire loro l’accesso effettivo alle procedure di tutela dei rifugiati e di avvalersi dei diritti loro riconosciuti in materia di immigrazione».

L’operazione fu una delle nove che nel 2009 hanno riportato in Libia 834 immigrati. Alle spalle si lasciò una scia di polemiche. La portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini, denunciò: «Sono stati respinti uomini, donne e bambini somali che hanno chiesto di poter fare domanda di asilo, implorando di non essere rimandati in Libia. Ma nonostante fossero a bordo di una motovedetta italiana gli è stato negato un diritto riconosciuto dalle convenzioni internazionali». Berlusconi a Tripoli disse: «Serve rigore». A pagarla potrebbero essere Ronconi e il generale Carrarini.

Virginia Piccolillo