Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto dell'1 marzo 2004

Immigrato? In regola sì, in ruolo mai di Manuela Cartosio

Milano – «Lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale gode in materia civile degli stessi diritti riconosciuti al cittadino italiano»; ad esso «è riconosciuta parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani». Così recita l’articolo 2 del testo unico Turco-Napolitano. Articolo non modificato dalla legge Bossi-Fini: e però ignorato, salvo rarissime eccezioni, nel pubblico impiego dove per partecipare ai concorsi ed essere assunti in ruolo si continua a richiedere la cittadinanza italiana o di un paese della Ue. Il requisito, necessario anche per ruoli che non contemplano l’esercizio di poteri d’autorità (polizia, esercito, magistratura, funzioni di certificazione), discrimina palesemente gli immigrati extracomunitari e ciononostante è previsto dai regolamenti di comuni, province e regioni. Migliaia di immigrati lavorano come interinali, precari, soci di cooperative per gli enti locali o per le Asl. Sono però esclusi dai concorsi banditi dagli stessi enti per assumere personale a tempo indeterminato.

Il caso sollevato al comune di Brescia dai delegati del Sin.Cobas è esemplare. L’amministrazione comunale (giunta di centro sinistra) ha bandito un concorso per tre posti a tempo pieno e sei a part time in due case di riposo. Una dozzina di immigrate lavorano lì da anni e sono in regola con il permesso di soggiorno, ma non avendo la cittadinanza italiana non possono partecipare al concorso. «Precarie sì, di ruolo no», sintetizza il Sin.Cobas, che preme sulla giunta perché modifichi il regolamento comunale (il bando scade a fine a mese). «Si tratta di una chiara discriminazione istituzionale», afferma la delegata Margherita Recaldini, «ai danni di lavoratrici che hanno seguito i corsi professionali per operatori socioassistenziali e che, nel caso vincessero il concorso, continuerebbero a svolgere le stesse mansioni». Hanno titoli e esperienza, dice Riccardo Balneari, un altro delegato del Sin.Cobas, chiediamo solo che possano farli valere come gli italiani. «Lavoriamo gomito a gomito, facciamo gli stessi turni, non è giusto condannarle a un eterno precariato. Se sei un interinale in banca non ti fanno il muto, le ferie non le puoi accumulare. E’ così per tutti, per gli immigrati è peggio».

L’assessore al personale Luigi Gaffurini (Margherita) ammette che il problema esiste, dice che «la normativa è complicata e contraddittoria, annuncia che farà una proposta alla giunta per risolverlo. Nell’ultima riunione di giunta la soluzione non è stata trovata, segno che il problema, come sempre quando ci sono di mezzo gli immigrati, più che tecnico è politico. Soprattutto in campagna elettorale, a Brescia a giugno si voterà per le provinciali. Poiché la modifica del regolamento resta una vaga promessa, le lavoratrici immigrate per cautelarsi hanno presentato comunque la domanda.

Ottimo, commenta l’avvocato Marco Paggi dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), quella è la prima mossa da fare. Oltre che per cautelarsi, serve per far capire all’ente banditore che gli immigrati sono informati sui loro diritti. Sanno che una legge nazionale è «più forte» di qualsiasi regolamento. E sanno che in materia di concorsi e assunzioni nel pubblico impiego due sentenze hanno dato ragione agli immigrati ricorrenti. Una del 2001 del Tar della Liguria, l’altra del 2002 della Corte d’appello di Firenze. Quest’ultima afferma chiaramente che «costituisce comportamento discriminatorio» escludere da un concorso un extracomunitario «per carenza del requisito della cittadinanza italiana». La legge del 1994, che prevedeva quel requisito, è «superata» dal testo unico Turco-Napolitano. Ed è pacifico, aggiunge Paggi, che lo sono anche i regolamenti degli enti locali stilati dopo la Turco-Napolitano.

Purtroppo si contano sulle dita di una mano gli enti pubblici che hanno modificato i loro regolamenti (provincia di Firenze) o si accingono a farlo (provincia di Trento, comune di Venezia). Una direttiva della regione Emilia Romagna equipara i lavoratori immigrati a quelli italiani nelle assunzioni fatte per concorso. Se si aspetta che uno alla volta, e con comodo, gli enti locali correggano i loro regolamenti, passeranno anni. D’altra parte, i contenziosi giudiziari non sono una cosa semplice, soprattutto per gli immigrati. C’è una strada diversa? «Basterebbe una circolare dell’Aran o del ministero del welfare che solleciti i vari enti pubblici a calcellare il requisito della cittadinanza italiana», risponde Paggi.

Soluzione semplice ma, aggiunge, improbabile. Qualsiasi cosa assomigli a una «concessione» fatta agli immigrati non piace o divide la destra e non scalda il centrosinistra. Dal 1986 ben tre leggi sull’immigrazione hanno promesso decreti attuativi per risolvere «al più presto» il problema del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero. «Gli unici titoli a oggi disciplinati sono quelli per le professioni parasanitarie. E sono stati riconosciuti solo perché abbiamo bisogno d’infermieri come del pane».