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di Nicola Flamigni

Immigrazione clandestina: l’UE si scopre allarmista

Il progetto di ricerca “Clandestino” svela l’inattendibilità delle stime europee sul numero di migranti irregolari che hanno finora legittimato misure fortemente restrittive

Nessuno si è stupito il 28 gennaio di quest’anno, quando il presidente del Consiglio ha dichiarato che meno immigrazione significa meno criminalità, ignorando le già note statistiche dell’Istat che negano l’equazione. Da anni in Italia il discorso politico sull’immigrazione non tiene conto dei dati medi. Al loro posto si discutono i casi eccezionali, al fine di drogare percezioni e paure.
Dovrebbe stupire invece, che a “giocare con i numeri”, come dice Anna Triandafyllidou della Fondazione ellenica di studi internazionali, sia un’istituzione come la Commissione europea, indipendente dai governi nazionali e per questo teoricamente meno incline alla demagogia politica. Secondo il progetto di ricerca “Clandestino”, da lei coordinato e finanziato dalla DG Ricerca della stessa Commissione, gli immigrati irregolari presenti sul territorio dell’Unione non sarebbero tra i 4,5 e gli 8 milioni come dichiarato in un comunicato stampa del 2007, ma meno della metà: tra gli 1,8 e i 3,9 milioni. Il progetto, che ha riunito i ricercatori di quattro centri studi europei, tra cui Oxford, ha inoltre confutato l’allarmistico tasso di crescita di 500.000 nuovi clandestini all’anno, dimostrando l’opposto, che si tratti invece di una cifra in decrescita.

Il comunicato stampa pubblicato il 16 maggio 2007, quando Franco Frattini era Commissario europeo per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, e quindi anche per l’immigrazione, intendeva divulgare la notizia di una nuova proposta di direttiva sulle sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano lavoratori senza permesso di residenza. Misura questa molto controversa, che si teme possa spingere i lavoratori irregolari a scendere un altro gradino nella scala dell’economia sommersa obbligandoli ad accettare condizioni d’insicurezza e ingiustizia ancora peggiori. A questa è seguita nel 2008 l’approvazione della direttiva sui rimpatri, ribattezzata dalle organizzazioni non governative “la direttiva della vergogna”, che lasciava libertà agli stati membri di estendere i periodi di detenzione nei Cpt fino a 18 mesi e di respingere i clandestini (il termine “rimpatriare” è scorretto, perché il testo prevede espulsioni anche verso i paesi terzi di transito) con meno garanzie del rispetto dei diritti umani.

La Commissione europea si è dunque in parte servita di dati sbagliati per giustificare nuove misure più restrittive. È anche vero che il fenomeno dell’immigrazione irregolare sfugge per sua definizione all’analisi quantitativa, ma i dati resi noti erano stati presentati come stime “recenti” e con forbici molto ampie. Ciò nonostante, Dita Vogel, dell’Istituto di economia internazionale di Amburgo, parla di “dati sorpassati e privi di alcun fondamento empirico”.

Per due anni i ricercatori hanno analizzato l’immigrazione irregolare in 12 paesi europei, tra cui l’Italia. I risultati mettono in discussione l’intera strategia europea portata avanti finora, mostrando che l’inasprimento delle legislazioni verso l’immigrazione irregolare, più o meno comune a tutti i paesi considerati, è segno di una politica orba, perché capace di guardare al fenomeno solo dal punto di vista della sicurezza e ottenere con questa solo risultati modesti. Infatti, l’immigrazione irregolare è in diminuzione, ma in maniera non significativa, tanto che si pensa che fattori esogeni come la crisi economica possano essere stati determinanti. E per questo hanno pagato migliaia di immigrati che hanno visto abbassarsi fino a livelli indecenti le loro condizioni di vita.

Secondo il rapporto, anche le aspettative su un’informazione responsabile sono state disattese. Il discorso pubblico è stato orientato alla stigmatizzazione e alla criminalizzazione dei migranti irregolari collocati nella categoria semantica della “minaccia”, prima alla sicurezza nazionale e al sistema sociale, e poi alla cultura nazionale. In Italia la retorica dell’invasione, amplificata dai media, ha fatto si che i cittadini pensino che sia presente sul territorio un numero di immigrati maggiore di quattro volte al numero reale (23% contro il 6% della popolazione), come riportato dallo studio “Transatlantic Trend: immigration”. Secondo il progetto “Clandestino” l’“emergenza immigrati irregolari” di cui tanto si parla consisterebbe di una percentuale nella EU25 che va dallo 0,39% allo 0,77% della popolazione. Anche nei paesi più colpiti, come l’Italia, le percentuale non arriva allo 0,9% della popolazione.
Inoltre, lo studio riconferma che nonostante il pensiero comune l’attraversamento irregolare delle frontiere è il modo meno frequente tramite il quale un migrante diventa irregolare. Subito dopo la permanenza nonostante il permesso scaduto (il cosiddetto “overstaying”), è da sottolineare il secondo motivo per il quale si cade nella clandestinità e cioè le lungaggini burocratiche e il sovente criptico panorama legislativo che insieme ostacolano i rilasci e i rinnovi di permessi di soggiorno di persone con tutti i requisiti per essere in regola. Il contributo passivo delle inefficienze dello stato alla produzione di irregolarità sarebbe quindi nel complesso maggiore di quello degli scafisti e trafficanti di uomini.
Sconforta sapere che solo quattro giornali in tutta Europa hanno ripreso i risultati dello studio e che la Commissione europea, pur avendo finanziato il progetto, non abbia anche pensato di divulgarli tramite comunicato stampa.
La prova che si tratti di risultati molto imbarazzanti.