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da Il Manifesto del 24 novembre 2006

«Immigrazione, dall’Europa un solo segnale: repressione»

Il geografo algerino Ali Bensaad, studioso di migrazioni dall'Africa: le conferenze sono inutili

Geografo, professore associato all’Université de Provence, l’algerino Ali Bensaad è uno dei maggiori esperti di migrazioni dall’Africa sub-sahariana, che ha seguito anche con diverse missioni sul terreno.

Professor Bensaad, che giudizio dà della conferenza di Tripoli?
Questo conferenza – come quella che si è tenuta a Rabat nel luglio scorso – dimostra principalmente una cosa: la gestione dei flussi migratori viene intesa soltanto in termini repressivi. Al di là delle dichiarazioni di intenti, le decisioni che vengono prese in questi consessi vanno solo in questo senso: lotta al traffico, cooperazione giudiziaria e poliziesca, controllo delle frontiere. Tutte misure che, peraltro, si rivelano inefficaci. Ma una considerazione positiva devo farla.

Quale?
Queste riunioni, per il fatto stesso che si tengono, dimostrano che non è possibile trattare la questione migratoria solo da un punto di vista economico. In un certo senso restituiscono alla migrazione una dimensione umana. Gli immigrati sub-sahariani sono riusciti a rimettere al centro del dibattito la libertà di circolazione. I risultati delle discussioni sono deludenti, ma intanto la questione è posta. È comunque un passo avanti, dopo l’affossamento del processo di Barcellona, che mirava a lanciare un reale partenariato euro-mediterraneo.

Non le sembra che ci sia un eccesso di attenzione da parte dell’Europa sui flussi migratori in provenienza dall’Africa?
Quando si parla di cifre, in effetti, si vede che c’è una falsa percezione del problema: quest’anno, alle Isole Canarie spagnole si sono registrati 28mila arrivi. Un fenomeno che è stato definito «emergenza» e che ha fatto da propulsore agli accordi di riammissione firmati da Madrid con diversi stati dell’Africa occidentale. Nessuno dice tuttavia che gli africani costituiscono appena il 3% del totale degli immigrati in Spagna. Nessuno dice che se l’economia spagnola ha, insieme a quella irlandese, il maggiore tasso di crescita del continente europeo, è proprio grazie agli immigrati. Nessuno dice nemmeno che gli immigrati hanno un tasso di occupazione maggiore degli spagnoli, facendo venire meno l’equazione tra immigrazione e disoccupazione.

Si insiste invece sul traffico di essere umani, sulle mafie dell’immigrazione…
Si tratta anche in questo caso di un discorso volto a criminalizzare i migranti. Il traffico di essere umani esiste, ma è un fenomeno trascurabile. La maggior parte dei candidati all’emigrazione sub-sahariani si muovono in modo autogestito, sfruttando le possibilità che si attivano in luoghi di marginalizzazione pre-esistenti. Nel deserto del Sahara, in Niger e in Mali, sono i commercianti tuareg – spesso in rotta con i rispettivi governi – a organizzare i convogli. Alla frontiera algerinomarocchina c’è una forte tradizione di commerci informali, soprattutto verso la regione del Rif, da sempre ribelle a Rabat. Non sono certo i passeurs a provocare il movimento. Il movimento è una realtà. Loro si limitano a offrire un servizio a gente che vuole emigrare. Sono come piccole agenzie di viaggio.

Il Marocco e la Libia, che hanno ospitato le conferenze internazionali, stanno svolgendo un ruolo di controllo sui flussi migratori per l’Europa, disponendo retate e rimpatri. Cosa ci guadagna il Nordafrica a fare il gendarme per conto terzi?
Ai paesi del Nordafrica si è proposto di svolgere il ruolo di sentinelle avanzate dell’Unione europea, che così sposta i suoi confini più a sud ed esternalizza il controllo. In cambio, si danno soldi, mezzi e, soprattutto, riconoscimento politico. Prendiamo il caso della Libia: fino a qualche anno fa, era impensabile che una conferenza di questo tipo con la partecipazione di ministri degli esteri europei e africani – si potesse tenere a Tripoli. È anche grazie alla questione migratoria che il colonnello Gheddafi è stato riabilitato a livello internazionale.

Stefano Liberti