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In Emilia Romagna continua la campagna per la chiusura dei CPT di Bologna e Modena

Intervista a Gianmarco De Pieri, disobbedienti Bologna

Modena: il Social forum denuncia continui episodi di violenza, rivolta, tentativi di fuga e autolesionismo all’interno della struttura. Alla luce dei dati presentati dalla Prefettura dopo sei mesi di funzionamento vengono messe in crisi molte delle ragioni che ne giustificavano l’apertura. Un bilancio tra costi e risultati ottenuti in termini di espulsioni conferma la presunta efficacia di queste strutture.

Bologna: l’indagine sullo smontaggio della struttura di Via Mattei alla vigilia della sua apertura (eclatante iniziativa dei disobbedienti avvenuta il 25 gennaio 2001) ha portato alla richiesta da parte del Ministero degli Interni di un risarcimento per oltre 277.000 euro di danni per danneggiamento.

Domanda: Ti chiediamo una riflessione, un bilancio, sulla presenza dei Centri di permanenza temporanea in Emilia Romagna.

Risposta: Io credo che sia il momento di parlare di bilancio perché ad un anno dall’apertura del Cpt di Bologna e a circa sette mesi dall’apertura di quello di Modena che, non a caso, sorge presso una caserma dei carabinieri e con la sospensione a tempo indeterminato del futuro Cpt di Rimini, possiamo dire a voce alta che avevamo ragione. Avevamo ragione a dire che questi Centri sono luoghi al cui interno non può essere garantito il diritto, che si costituiscono come strutture in cui il diritto viene sospeso, sia per quanto riguarda il suo aspetto di dottrina costituzionale che di dottrina penale.
Si conferma quotidianamente, sia a Bologna che a Modena, la drammaticità di non poter gestire e garantire diritti ai reclusi del Cpt. Settimana dopo settimana assistiamo infatti a evasioni tentate e riuscite, vendette personali praticate dalle forze dell’ordine – carabinieri, polizia e finanza. Avevamo ragione nel dire che era impossibile la lettura garantista del Cpt secondo la quale, pur rappresentando una rottura della forma-diritto nel territorio, al loro interno sarebbero stati garantiti ai reclusi diritti e umanità. Questo non è possibile ed è stato denunciato anche dalle stesse forze di polizia, che almeno a Modena ne chiedono la chiusura in quanto inadeguato e ingestibile.

D: Secondo te è possibile vedere un cambiamento nel ruolo dei Cpt a partire dalla loro istituzione ad oggi?

R: E’ ovviamente difficile in ogni processo storico e sociale dare delle linee di cesura e di cambiamento radicale, è difficile che ci sia discontinuità nei processi storici, tuttavia ritengo che la funzione dei Cpt sia cambiata negli ultimi anni. I Cpt vengono introdotti in Italia nell’ambito di quella che viene definita legge Quadro sull’immigrazione, ovvero la Turco Napoletano, che recepisce le istanze di Schengen e che costituisce i Cpt sulla base di una visione temprata e moderata del neoliberalismo. In base a questa concezione i Cpt divengono luoghi di gestione e governo della migrazione regolare. I Cpt vengono previsti come strumento di territorio di ricomposizione dell’anomalia migrante, ovvero di tutti quei casi in cui vi è una devianza, una clandestinità scelta da parte del migrante. Con la Turco Napoletano i Cpt introducono un’anomalia legislativa con la carcerazione amministrativa, che non è prevista dalla legislazione di questo paese. In qualche maniera si pongono l’obiettivo di governare il fenomeno dei migranti.
Dentro al contesto dell’approvazione della legge Bossi-Fini-Mantovano, succede invece che i Cpt cambiano di ruolo, accentuando la proprio funzione già prevista dalla precedente legge. Essendo un governo di estrema destra neoliberale, gestisce questi Cpt cambiandone la ragione d’uso e facendoli diventare strumenti di controllo e gestione dell’eccedenza della forza lavoro migrante. Diventano in qualche maniera lo strumento del disciplinamento delle soggettività del lavoro vivo migrante, gestendone con forme di ricatto ogni forma di insubordinazione. Dentro il contesto della legge Bossi-Fini-Mantovano, se un migrante accetta di essere sfruttato nella sua forma di clandestinità – come normalmente accade – cioè lavora in una delle tante imprese presenti sul territorio, accetta la precarietà imposta da un regime di clandestinizzazione, allora continua a “vivere” nel territorio, ma nel momento in cui insorge, si sindacalizza, lotta per i propri diritti e dunque rompe con la forma di clandestinità, allora il Cpt viene utilizzato come leva per riportare alla disciplina questa forza lavoro e l’immigrato viene messo in carcerazione preventiva.
L’ultima fase di ridefinizione normativa e di applicazione dei Centri di Permanenza Temporanea è la fase dal 12 settembre in poi. E’ il momento in cui si introduce sull’universo mondo la categoria di sovranità ottenuta a mezzo guerra ordinativa, è il momento in cui si inaugura e si sperimenta la guerra globale permanente. Guerra che oltre ad avere un fronte esterno ha anche un fronte interno, un fronte di distruzione del diritto ad aver diritti, un fronte di distruzione del soggetto deviante e anomalo. Una guerra che ha anche una fase di controllo della forza lavoro migrante a piena potenza dispiegando sul territorio il potere e la violenza di disciplinamento. A questo punto i Cpt non sono più la volontà di ricomporre un soggetto anomalo da riportare alla norma, ma l’albergo di distruzione di un nemico che non ha mai scelto di esserlo. Una sorta di trincea di un fronte interno di combattimento che si rivolge al soggetto più debole e più clandestino a cui si dichiara una guerra combattuta dagli eserciti interni delle polizie globali.

D: Cosa pensi delle incriminazioni di un buon numero di disobbedienti per l’azione dello smontaggio del Cpt di Via Mattei il 25 gennaio dello scorso anno?

R: Penso che anche per le cose dette nell’apertura di questa intervista si possa dire che i disobbedienti avevano ragione a insorgere, a ribellarsi e a indignarsi per l’apertura del Centro di Permanenza Temporanea. Quasi una cinquantina di noi è imputata per lo smontaggio e oltre a questo il Ministero dell’Interno si è costituito parte civile chiedendoci oltre 277.000 euro di danni. La pratica dello smontaggio, della ribellione e della disobbedienza che ha portato quel 25 gennaio allo smontaggio, ha riscosso il consenso di gran parte delle sinistre di questi territori. Dietro a quello smontaggio sta un’intera società civile che pensa non solo che si possa e debba parlare di mondo migliore possibile ma che bisogna intanto cominciare a costruirlo. E ancora, che non si possa parlarne accettando in maniera silente che dentro alle città vengono costruite carceri etniche e abomini di questo tipo. Questa è stata la sfida vinta in quei territori. Il processo a mio avviso porta innanzitutto ad un appello pubblico a tutta la società civile, alle reti di reti, alle associazioni e ai singoli che hanno condiviso quello smontaggio e lo hanno apprezzato, anche senza conoscerci, a rendere manifeste queste opinioni. E’ un appello ad aiutarci, a costituire un collegio legale di difesa e raccogliere dei soldi per noi. In secondo luogo la sfida è quella di chiedere tutti a voce alta la chiusura immediata di questo Centro di Permanenza Temporanea, di quello di Modena e di quelli del resto d’Italia.