Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

In Italia esiste il diritto di asilo?

È emblematico il caso dei richiedenti lo status di rifugiato che sono sbarcati pochi giorni fa sulle coste della Puglia, di cui ora parleremo.
Avevamo già accennato nelle scorse puntate dello sportello radiofonico che nel d.d.l. del Governo il diritto di asilo viene letteralmente triturato, perché si prevede la possibilità di esaminare sbrigativamente e direttamente nei punti di arrivo le domande dei richiedenti asilo e di disporre altrettanto sbrigativamente la loro espulsione dal territorio dello stato senza la possibilità di inoltrare un ricorso che abbia un effetto sospensivo, anche solo provvisoriamente, per consentire un esame più accurato e neutro da parte dell’autorità giudiziaria competente. In questi giorni, assistiamo di fatto all’anticipazione delle nuove norme prima ancora che esse siano entrate in vigore, in quanto la posizione di questi richiedenti asilo sbarcati sulle coste della Puglia risulta essere stata esaminata e ”risolta” a dir poco sbrigativamente, con svariate violazioni di diritti fondamentali dei richiedenti asilo.

Facciamo ora una breve cronistoria: il 31 gennaio 2002 giungevano in Italia a bordo di un’imbarcazione moltissimi cittadini extracomunitari, in particolare, tra questi vi erano moltissimi cittadini kurdi che provenivano dalla Turchia o dall’Iraq. Queste persone, non appena sono sbarcate, hanno immediatamente chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato. Fra l’altro, è da dire che non hanno ricevuto in prima battuta particolari informazioni sulla possibilità di chiedere lo status di rifugiato o su come avrebbero dovuto formalizzare la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, la qual cosa ha ulteriormente facilitato un esame sommario da parte delle autorità competenti.

Ci è stato segnalato che a tutti è stato chiesto se volevano fermarsi e chiedere asilo in Italia, senza spiegare le conseguenze giuridiche della loro scelta, e a coloro che hanno risposto di no, nel senso che non intendevo richiedere asilo in quella situazione, é stata immediatamente notificata l’intimazione a lasciare il paese; a coloro che hanno risposto che intendevano richiedere asilo alla Repubblica Italiana non è stato dato alcun permesso di soggiorno provvisorio, come invece è previsto dalla normativa tuttora vigente in materia di riconoscimento dello status di rifugiato. E’ noto infatti che, un richiedente lo status di rifugiato giunto in territorio nazionale, ha diritto a presentare l’istanza tramite l’autorità di polizia, ma l’istanza deve poi essere esaminata unicamente dallaCommissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato; di conseguenza, nel momento in cui viene presentata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, l’autorità di polizia deve rilasciare un permesso di soggiorno provvisorio in attesa dell’esame della domanda presentata, tralasciando qualsiasi valutazione sul contenuto della domanda. Nel caso invece dei cittadini stranieri sbarcati dalla nave turca in data 31 gennaio 2002 non è stato rilasciato alcun permesso di soggiorno provvisorio, nonostante avessero espressamente dichiarato di voler chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato alla autorità italiane. I richiedenti lo status di rifugiato, tutti cittadini provenienti dalla Turchia o dall’Iraq, sono stati tutti trattenuti con la forza nel cosiddetto centro di accoglienza “Regina Pacis” in Puglia e sono stati sottoposti ad esame da parte della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato il giorno 14 febbraio 2002.
L’esame da parte della Commissione Centrale, che si è divisa in diverse sezione per accelerare, per così dire, l’esame delle domande, è stato svolto direttamente sul posto e in data 14 febbraio 2002 a respinto tutte le domande di asilo presentate dagli interessati. Non si comprende bene in base a quali criteri, valutazioni o verifiche sia stato disposto il rifiuto della domanda, dal momento che tutti gli osservatori che hanno assistito alle operazioni della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato confermano che il tempo dedicato all’esame di ciascun individuo è stato di meno di 5 minuti a testa, compreso il tempo delle traduzioni. Se togliamo il necessario tempo per le traduzioni e per il controllo delle generalità, possiamo immaginare che mediamente ciascuno degli interessati sia stato ascoltato per circa 3 minuti o anche meno.
E’quantomeno difficile immaginare come si possa comprendere la situazione di un individuo in soli 3 minuti, ed è ancora più difficile immaginare come si possa verificare se la richiesta dell’interessato è fondata in un tempo così ristretto. Non si può fare a meno di considerare, inoltre, che la libertà personale di questi soggetti è stata palesemente ristretta, sono stati internati in questo centro di accoglienza senza alcun provvedimento di convalida da parte dell’autorità giudiziaria, mentre perfino nel caso di trattenimento nei centri di permanenza temporanea per l’esecuzione dell’espulsione è richiesto un provvedimento formale di convalida da parte dell’Autorità Giudiziaria, sulla base dell’art.13 della nostra Costituzione. Subito dopo le audizioni “pro forma” effettuate dalla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato sono stati comunicati ai diretti interessati i provvedimenti di respingimento della domanda di asilo politico e subito dopo è stato notificato un decreto di respingimento alla frontiera da parte del Questore di Lecce.

Decreto di respingimento significa che la situazione di queste persone è stata dal punto di vista giuridico inquadrata come una forma d’ingresso illegale e quindi è stato adottato il provvedimento che tipicamente può essere adottato quando le persone vengono intercettate nel momento in cui stanno tentando di fare ingresso irregolare nel territorio della stato o sono rintracciate nelle immediate vicinanze. In pratica, queste persone, dopo che la loro domanda è stata respinta, sono state trattate come dei semplici clandestini che stavano tentando di entrare irregolarmente nel territorio nazionale. Peccato che la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato preveda espressamente che non sono sanzionabili, da parte dell’ordinamento interno degli Stati che aderiscono alla Convenzione di Ginevra, le condotte illegali rivolte a realizzare l’ingresso nel territorio dello stato per accedere alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.

L’art.31 della Convenzione recita infatti: “Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali, per ingresso o soggiorno irregolare, a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal Paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata nel senso previsto dall’art.1, entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza irregolari”.

E’ assolutamente normale che una persona che fugge dal proprio paese si munisca di documenti falsi e tenti di raggiungere anche in condizioni irregolari il territorio di un altro paese dove intende chiedere asilo. Di conseguenza, il comportamento delle persone che, sia pure in modo irregolare, tentano di raggiungere il nostro Paese per poi fare una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, non può essere considerato alla stesso modo del comportamento di un qualsiasi clandestino che cerca di entrare irregolarmente nel territorio dello stato, soprattutto non può essere sanzionato alla stessa stregua del tentativo d’ingresso irregolare dei cosiddetti clandestini.
Dal punto di vista legale, e nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, si dovrebbe dunque ritenere che anche se queste persone hanno utilizzato metodi irregolari per raggiungere il territorio italiano non possano essere trattati come semplici clandestini e quindi colpiti da un provvedimento di respingimento, anche perché queste persone avrebbero avuto un pieno diritto, dopo la domanda di richiesta dello status di rifugiato, ad avere un permesso di soggiorno provvisorio di durata limitata fino al momento dell’esame da parte della Commissione, sicché successivamente non avrebbero dovuto essere trattati come clandestini. E’ noto che nei numerosissimi casi di cittadini extracomunitari che hanno chiesto lo status di rifugiato è sempre stato concesso un permesso di soggiorno provvisorio per consentire l’esame della domanda e che in caso di esito negativo dell’esame queste persone si sono viste notificare un semplice invito a lasciare il territorio nazionale, e solo trascorso il termine di 15 giorni previsto nell’invito sono state poi colpite da un provvedimento vero e proprio di espulsione dal territorio nazionale. Rispetto al provvedimento di espulsione ci sono maggiori garanzie di tutela legale, perché contro un provvedimento di espulsione è possibile fare ricorso sia pure entro il limitato termine di 5 giorni e quindi ottenere una valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente, mentre contro il provvedimento di respingimento alla frontiera di fatto non è possibile proporre alcun ricorso. Vediamo quindi come sia stato fatto un uso strumentale del provvedimento di respingimento, che è stato applicato impropriamente a questo caso per evitare anche che gli interessati potessero fare un ricorso contro l’espulsione e sottoporre alla valutazione dell’Autorità Giudiziaria il comportamento tenuto dalla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Peraltro, il giorno dopo lo sbarco di questi richiedenti asilo, il Presidente del Consiglio Berlusconi ha convocato alla Farnesina l’ambasciatore turco per auspicare, trovando (guarda caso) il pieno accordo dell’ambasciatore, un accordo di riammissione in Turchia delle persone che sono arrivate illegalmente da quel paese, trattando queste persone allo stesso modo dei “normali” clandestini. Ora però il Presidente del Consiglio non dovrebbe ignorare che il rimpatrio coatto dei richiedenti asilo non riconosciuti non può essere deciso in via generale dal governo, ma semmai dovrebbe essere disposto caso per caso dietro verifica della situazione personale e del paese di origine, nel rispetto di tutte le garanzie, compresa la possibilità di ricorso alla magistratura ordinaria o alla magistratura amministrativa. Comunque, avrebbe dovuto tenere conto del divieto di “refolulement”

cioè del generalissimo principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra che impedisce di adottare un provvedimento di semplice respingimento verso il paese in cui gli interessati rischiano una persecuzione, come in questo caso la Turchia e l’Iraq. D’altra parte il motivo per cui fino ad ora non sono stati perfezionati accordi di riammissione con la Turchia sta proprio nel fatto che la Turchia non ha mai dimostrato finora un rispetto dei diritti umani e quindi non dà alcuna garanzia dal punto di vista del trattamento che poi potrà essere riservato a queste persone.
Rispetto a questa situazione c’è stata una forte mobilitazione di tutte le organizzazioni non governative che si occupano di tutela dei richiedenti asilo, in particolare da parte del Consorzio Italiano di Solidarietà, che ha segnalato subito la questione a tutte le autorità competenti denunciando la gravissima violazione dei diritti umani e in particolare dei diritti dei richiedenti asilo, come sanciti dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Altre prese di posizione sono state assunte anche dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, dall’associazione Senza Confine, dalle associazioni kurde che tutelano anche qua in Italia i rifugiati loro connazionali. Una presa di posizione è stata assunta anche dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e in questo caso si è trattato di un vero e proprio intervento anche di carattere giudiziario.

Per l’appunto, l’A.S.G.I. ha già inoltrato un ricorso in data 20 febbraio 2002 alla Corte europea per i diritti dell’uomo, in cui ha segnalato la gravità della situazione e soprattutto la violazione dei diritti fondamentali sanciti anche dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Per l’appunto l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che si è costituita a Milano nel 1990 e di cui è presidente l’avvocato Lorenzo Trucco di Torino, ha tra i propri fini statutari la promozione della tutela anche giudiziaria dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché di fornire assistenza legale e di intervenire in giudizio per l’affermazione e la tutela degli interessi dello straniero, dell’apolide e del rifugiato.

In attuazione di tali principi e scopi statutari l’A.S.G.I. ha quindi potuto costituirsi in giudizio davanti al tribunale di Roma nel procedimento di riconoscimento del diritto di asilo, in base all’art.10 terzo comma della Costituzione, del signor Abdullah Ocalan; si è pure costituita in giudizio nel procedimento penale che è tuttora in corso a carico del Prefetto di Trapani, in relazione al tragico decesso di alcuni cittadini stranieri avvenuto nel centro di permanenza temporanea per espellenti della provincia di Trapani. Ora in base a questo scopo statutario l’A.S.G.I. ha proposto un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo rappresentando una serie di violazioni di diritti fondamentali, a partire dall’art.3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che prevede che nessuno può essere sottoposto a torture, pene o trattamenti inumani o degradanti, poiché è tra l’altro evidente che il respingimento dei richiedenti asilo verso il loro paese di provenienza, per il solo fatto che hanno lamentato la repressione del governo turco e la mancanza di libertà, potrà esporli a gravissime persecuzioni. E’ stata poi denunciata le violazione dell’art.33 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, che sancisce il principio di “non refoulement”, ovvero di non respingimento dei richiedenti asilo.
Il rimpatrio coattivo dei richiedenti asilo li esporrebbe a un gravissimo rischio di trattamenti disumani anche per un motivo molto semplice: é stata informata la rappresentanza diplomatica dello stato di provenienza della loro richiesta individuale di asilo, nonostante il testo unico sull’immigrazione preveda espressamente che non si debba far luogo a tale comunicazione quando si tratti di cittadini stranieri che abbiano presentato domanda di asilo (l’art.2, comma 7, del T.U. prevede espressamente che “non si fa luogo alla predetta informazione quando si tratta di stranieri che abbiano presentato una domanda di asilo, di stranieri ai quali sia stato riconosciuto lo status di rifugiato, ovvero di stranieri nei cui confronti sono state adottate misure di protezione temporanea”) e in ogni caso una simile comunicazione all’ambasciata di provenienza avrebbe comunque dovuto presupporre il consenso degli interessati che sicuramente non è stato dato (l’art.4, comma 3, del Regolamento di attuazione stabilisce che “l’obbligo di informazione all’autorità diplomatica o consolare non sussiste quando lo straniero, cui la specifica richiesta deve essere rivolta dai soggetti di cui all’art.2, comma 7, del testo unico, dichiari espressamente di non volersi avvalere degli interventi di tale autorità”).

C’è poi da dire che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo prevede comunque in via generale un ricorso effettivo (v. art.13) verso i provvedimenti di tipo sanzionatorio che possono limitare l’esercizio delle libertà fondamentali, ma nel caso specifico abbiamo visto che attraverso l’utilizzo strumentale del provvedimento di respingimento è stato di fatto impedito un ricorso all’autorità giudiziaria. Anche questa è una violazione, perché non è possibile di fatto alcuna effettiva tutela giudiziaria di fronte ad alcuna autorità giurisdizionale italiana. Inoltre, l’art.4 del protocollo n°4 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali prevede che le espulsioni collettive di stranieri sono vietate, mentre nel nostro caso non si può dubitare che i provvedimenti adottati dal Questore di Lecce, proprio per le circostanze da cui hanno avuto origine, abbiano natura di espulsione collettiva dei cittadini stranieri. Ricordo che proprio recentemente la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha condannato il Belgio per un episodio di alcuni anni fa di espulsione collettiva di cittadini stranieri.
Ora, l’art.39 del Regolamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo prevede che la Corte possa indicare alle parti ogni misura cautelare necessaria, ovvero che possa prescrivere qualsiasi tipo di provvedimento provvisorio rivolto a tutelare i diritti fondamentali delle persone. E’ appunto quello che si richiede col ricorso proposto dall’A.S.G.I. alla Corte europea per i diritti dell’uomo, di bloccare sostanzialmente l’esecuzione di questi provvedimento di espulsione proprio per consentire un corretto esame da parte dell’Autorità Giudiziaria e una pur minima tutela di queste persone per distinguere i semplici clandestini da persone che chiedono asilo in base a circostanze gravi di persecuzione nel loro paese di origine e che hanno quindi un fondato timore (o addirittura la certezza) di essere perseguitati in caso di rimpatrio nel loro paese d’origine. Nel giro di pochissimi i giorni la Corte europea per i diritti dell’uomo ha dimostrato di avere preso in seria considerazione questo ricorso contattando direttamente l’avv. Trucco e chiedendo allo stesso integrazioni rispetto al ricorso per poter accelerare l’esame. Nel frattempo, e non certo per uno spontaneo ripensamento, il Prefetto di Lecce ha di fatto sospeso l’esecuzione dei provvedimenti di “respingimento”.

Come giustamente ha detto qualcuno, non bisogna cantare vittoria, perché intanto le deportazioni continuano. Mi riferisco a un comunicato stampa dell’associazione Senza Confine, che denuncia l’operazione in corso di rimpatrio di 120 cingalesi che avevano richiesto asilo inutilmente perché la loro domanda è stata rapidamente esaminata e respinta.

Diamo lettura del comunicato che riporta la data del 21 febbraio 2002: “Nel pomeriggio di oggi sono giunti a Fiumicino in autobus 120 richiedenti asilo dello Sri Lanka scortati da 116 agenti, dopo lo sbarco a Siracusa dei primi di febbraio e una detenzione totalmente illegale nel campo di S. Anna, vicino a Crotone, che formalmente non è più centro di detenzione per espellendi. Metà di loro appartengono alla minoranza tamil e rischiano quindi di sparire all’arrivo a Colombo, come avvenne a 50 tamil rimpatriati nello scorso autunno. A tutti loro l’asilo è stato negato dalla Commissione Centrale del Viminale dopo colloqui sommari svoltisi una settimana fa a Crotone, ma la notifica del diniego, per evitare ricorsi, gli è stata consegnata solo stamani al momento di salire sugli autobus. L’avvocato di metà di loro, Rosa Lobefaro, denuncia che la loro detenzione non era stata autorizzata da nessun magistrato. Ma un poliziotto era presente perfino ai colloqui con i suoi assistiti. Per la disperazione dell’isolamento, senza neppure telefonare alle famiglie per 10 giorni, uno di loro era stato ricoverato in ospedale dopo aver ingerito dell’alcool e minacciato di darsi fuoco.

L’avv. Fulvio Vassallo (n.d.r.: che è socio e membro del Direttivo A.S.G.I.) nel frattempo denuncia dalla Sicilia che altri 180 cingalesi sbarcati ieri sulle stesse coste sono stati reclusi in un capannone nell’aerea portuale di Augusta presumibilmente in attesa di rimpatrio, dato che solo a 4 di loro è stato concesso di chiedere asilo in Italia. Nel frattempo la mobilitazione a sostegno dei profughi kurdi e shrilanchesi ha dato un primo risultato. Il prefetto di Lecce ha garantito a una delegazione che il rimpatrio non avverrà prima di una ventina di giorni, nel corso dei quali sarà possibile ai loro avvocati ricorrere alla magistratura italiana e europea. “

Ricordo tuttavia che anche i ricorsi purtroppo hanno un costo notevole, basti pensare che un ricorso al tribunale amministrativo regionale competente per territorio contro i provvedimenti di respingimento comporterebbe come minimo circa £.500.000 solo per spese di marche da bollo e diritti di iscrizione al ruolo per ogni ricorso individuale. Gli ascoltatori potranno quindi capire quale potrebbe essere la cifra approssimativa corrispondente al costo minimo solo di spese per tutelare queste persone, cifra che nessuno ha da mettere a disposizione. Prosegue il comunicato stampa dicendo che è stato sospeso lo sciopero della fame avviato da circa 100 curdi di Turchia, molti dei quali segnati nel corpo e nello spirito dalla tortura e per il giorno 22 è attesa la risposta del governo alle interrogazioni presentate fra gli altri da Violante, Turco, Maritati, Desulueta dei DS, Malabarba e Russo Spena di Rifondazione, Bocco e Martone dei Verdi.
La vicenda sarà portata da Luisa Morgantini anche in sede di Parlamento Europeo. Naturalmente, non mancheremo di dare aggiornamenti ulteriori sul caso e nel frattempo prendiamo atto della sospensione di fatto del respingimento di queste persone e attendiamo con ansia l’esito del ricorso proposto avanti la Corte europea per i diritti dell’uomo nonché di altri ricorsi che stanno per essere promossi direttamente avanti l’autorità giudiziaria compente in Puglia.