1. Il presidente del consiglio Berlusconi ha affermato che i respingimenti in Libia evitano ai migranti il trattenimento nei CIE lager italiani, ricordando le due successive bocciature da parte del Parlamento della proposta di prolungare a sei mesi il tempo massimo di detenzione amministrativa. «È molto meglio esaminare nei luoghi di partenza se gli immigrati possano avere diritto di asilo. Non vorrei dirlo, ma questi campi di identificazione assomigliano molto a campi di concentramento», ha detto Berlusconi in conferenza stampa all’Aquila insieme al presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. Dunque i CIE sono paragonabili a veri e propri lager, forse anche peggiori dei centri di detenzione libici, parola del capo del governo italiano. Berlusconi ha detto il vero sui CIE, ma è stato colto da una grave amnesia quando ha dimenticato di avere autorizzato la imposizione del voto di fiducia sul maxiemendamento nel disegno di legge sulla sicurezza, che prolunga la detenzione amministrativa nei CIE, provvedimento che alla fine è stato approvato dalla Camera con la introduzione del reato di immigrazione clandestina. Sia il nuovo reato, che il trattenimento amministrativo prolungato a sei mesi, potrebbero riguardare oltre un milione di immigrati già irregolari, o che lo diventeranno tra poco tempo, presenti in Italia.
La decisione di prolungare la detenzione amministrativa pone la normativa disciplinata dall’art. 14 del Testo unico sull’immigrazione n.296 del 1998, già modificato dalla legge Bossi-Fini nel 2002, in contrasto ancora più evidente con l’art. 13 della Costituzione. In base a questa norma si affermano il principio di legalità e la riserva di giurisdizione, ridotti ormai a fastidiosi inconvenienti per le autorità che devono eseguire i provvedimenti di allontanamento forzato: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
Per giustificare il prolungamento della permanenza nei CIE a sei mesi il ministro Maroni invoca la normativa comunitaria e in particolare la Direttiva sui rimpatri n. 115 del 2008, che prevede la possibilità della detenzione amministrativa addirittura fino a 18 mesi, ma solo come ultima soluzione per i rimpatri forzati e dentro un quadro di garanzie che il governo italiano non ha alcuna intenzione di introdurre nel nostro ordinamento. L’Europa fa comodo solo quando serve a legittimare le scelte in senso repressivo, mentre il diritto comunitario viene dimenticato quando si tratta di garantire i diritti delle persone migranti, come nel caso dei respingimenti illegali verso la Libia. L’opinione pubblica va informata del fatto che le direttive o i regolamenti comunitari non impongono affatto l’inasprimento della normativa italiana riguardante la detenzione amministrativa, né tantomeno la introduzione del reato di immigrazione clandestina, una misura che potrebbe avere addirittura effetti criminogeni moltiplicatori della clandestinità e dei reati ad essa connessi. Come si osserva in un recente documento della Commissione Europea il trattenimento e l’allontanamento forzato dovrebbero costituire l’estrema soluzione da adottare nei confronti degli immigrati privi di un permesso di soggiorno.
2. L’art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo afferma che “nessuno può essere privato della libertà , salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge”, tra i casi elencati ricorre appunto l’ipotesi “dell’arresto o della detenzione “regolari” di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o di estradizione. Ogni persona arrestata o detenuta in base a questa previsione “deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”. Secondo l’art. 5 comma 4, della stessa Convenzione, “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. La formulazione complessiva di questa norma si pone in contrasto con il prolungamento della detenzione amministrativa fino ad un termine tanto lungo da non risultare certamente finalizzato alla esecuzione della misura di allontanamento.
In realtà quello che il governo italiano vuole è la trasformazione della funzione stessa della detenzione amministrativa, non più uno strumento per rendere effettive le espulsioni o i respingimenti, ma una sanzione vera e propria per una condizione di irregolarità di soggiorno, come il reato di immigrazione clandestina, per infondere una falsa sicurezza nei cittadini, anche quando si rischia di sortire nei fatti il risultato opposto, di ampliare ulteriormente le aree di clandestinità e la devianza sociale. In Italia si sta arrivando ad un milione di immigrati irregolari. I recenti episodi di criminalità, peraltro riconducibili ad immigrati comunitari, confermano la inefficacia delle misure repressive adottate dal governo. La forzatura delle regole del diritto comunitario e gli strappi costituzionali non sempre danno efficacia alla cd. legislazione dell’emergenza. La vera emergenza invece è ormai l’emergenza democratica. Persino i giornalisti che esercitano il loro diritto di cronaca vengono minacciati e denunciati alla magistratura quando fanno filtrare notizie scomode, come quelle che riguardano i centri di detenzione. Le zone limitrofe ai CIE sono di fatto militarizzate ed è fortemente compresso il diritto di manifestazione. L’introduzione del reato di immigrazione clandestina agevolerà la trasformazione in reato dei comportamenti solidali nei confronti degli immigrati irregolari. Presto si arriverà al delitto di solidarietà e qualsiasi comportamento di dissenso sociale potrebbe diventare un fatto penalmente rilevante, a seconda della mutevole valutazione discrezionale di un agente di polizia.
3. Secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, se l’art. 5 comma 1 lettera f. della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) ammette la detenzione amministrativa “regolare” di una persona “contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”, occorre tuttavia che la misura limitativa della libertà sia “proporzionata ed adeguata”, e che abbia una durata commisurata all’esigenza di assicurare le misure di allontanamento forzato. Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, una violazione dall’art. 5 potrà risultare sia da una detenzione amministrativa “non conforme” rispetto a tali criteri, che dalla mancanza di un mezzo di ricorso effettivo. Secondo l’art. 5.4 della CEDU “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha infatti diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione arbitraria “ ha diritto ad una riparazione”. Anche in questo caso viene richiamato il principio che la decisione deve giungere entro un breve termine, e non certo dopo mesi e mesi dall’inizio del trattenimento, sia pure come “ospiti”, in un centro di detenzione amministrativa.
Gli accordi di Schengen non impongono in Italia i centri di permanenza temporanea (oggi definiti come centri di identificazione ed espulsione CIE), ma solo che i singoli paesi che aderiscono all’intesa si dotino di misure di accompagnamento forzato “efficaci”. Il domicilio obbligato o forme più brevi di trattenimento potrebbero consentire una maggiore effettività dei provvedimenti di espulsione, a condizione che si restringa la platea oggi enorme dei potenziali destinatari di questi provvedimenti. Nessuna direttiva comunitaria vieta una procedura di regolarizzazione permanente, che la Spagna ha già praticato. Anche se la direttiva (2008/115/CE) sui rimpatri forzati che l’Unione Europea ha approvato alla fine del 2008, contiene la previsione della detenzione amministrativa per gli immigrati irregolari, addirittura fino ad un periodo di diciotto mesi, la stessa direttiva richiama il principio della adeguatezza e della proporzionalità delle misure di allontanamento forzato ( art. 15) ed afferma che il rimpatrio forzato deve costituire la soluzione estrema dopo il tentativo di rimpatrio volontario che va comunque tentato. Gli scopi di armonizzazione della normativa comunitaria appaiono comunque ancora ben lontani dall’essere raggiunti , se solo si pensa che la direttiva europea non stabilisce un termine minimo di detenzione amministrativa, e rimette ai legislatori nazionali la decisione di attribuire effetto sospensivo al ricorso contro il provvedimento di allontanamento forzato. In ogni caso la direttiva 2008/115/CE deve essere ancora attuata nel nostro ordinamento, ed una normativa interna che risultasse in contrasto con quanto previsto dalla direttiva, prima o dopo la sua implementazione, potrebbe esporre l’Italia ad una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 3.
4. La presentazione e la Relazione tecnica del Disegno di legge n. 2232 di conversione del Decreto legge n.11 del 2009, con particolare riferimento all’art. 5 che riguardava il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa nei CIE, adesso riproposto nel maxiemendamento approvato dalla Camera, conferma la portata demagogica del provvedimento e i costi assai rilevanti, che non compaiono più negli allegati al DDL 2232, ormai trasformato in una serie di maxiemendamenti fatti apposta, grazie al voto di fiducia, per impedire al parlamento di potere esercitare i suoi poteri di controllo e di libera scelta. Presto tutti potranno verificare la “inefficacia” ed i costi effettivi dell’inasprimento della detenzione amministrativa, che sortirà l’unico risultato di criminalizzare, più che allontanare,
il maggior numero di immigrati irregolari. Quando forse sarebbe più rispettoso per la dignità delle persone e più conveniente per le finanze pubbliche introdurre percorsi di emersione dalla irregolarità e di regolarizzazione permanente a regime. Oltre al doveroso ripristino delle quote di ingresso annuali per lavoro a tempo indeterminato. E qualcuno dentro la maggioranza comincia già a ventilare questa ipotesi. Il solito gioco, come quando durante gli interrogatori si alternano il poliziotto buono e il poliziotto cattivo.
Nella relazione allegata al Disegno di legge n.2232 all’esame della Camera dei Deputati, nella parte dedicata all’art. 5, si leggeva che in Italia “attualmente i centri di identificazione e di espulsione (CIE) operativi sono dieci, per un totale di 1160 posti disponibili”. Una notizia molto interessante, seguita da proiezioni non meno interessanti. Sulla base dei dati relativi al 2007 si sostiene quindi che il tempo medio di permanenza sarebbe stato di 27 giorni e che “ con il prolungamento previsto dalla disposizione si ritiene che una stima prudenziale per determinare un nuovo tempo medio di permanenza possa individuarsi in quattro volte il tempo medio attuale ( 30 giorni per 4 = 120 giorni)”. Sempre secondo la relazione tecnica “ipotizzando, pertanto un periodo di trattenimento medio pari a centoventi giorni – corrispondente a quattro mesi di trattenimento – per garantire la stessa capacità recettiva con il nuovo tempo di permanenza il sistema dovrà avere un incremento di 3.480 nuovi posti”. Oltre ai 1000 posti, da ottenere con interventi di riadattamento, già finanziati dalla legge 186 del 2008, “anche al fine della più rapida attuazione della normativa europea che consente il trattenimento degli stranieri da espellere fino a diciotto mesi”, sarebbero dunque da costruire nuovi CIE per 1.500 posti e ristrutturare edifici esistenti ( come la ex base Loran di Lampedusa) per i restanti 980. Tutto questo “sistema” ampliato dei CIE servirebbe solo per mantenere la attuale capacità recettiva ( ma non espulsiva) del “sistema”, prolungando a sei mesi la detenzione amministrativa. Altrimenti lo stesso sistema non potrebbe reggere al prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa ed aumenterà il numero degli immigrati irregolari che non trovando posto nei CIE esistenti verranno rimessi in libertà con l’ordine di lasciare entro cinque giorni il territorio. Di fatto un invito ad entrare in clandestinità. Un risultato paradossalmente opposto rispetto alle intenzioni del governo e della massa di cittadini che lo sostiene. Ma esattamente quello che serve per la schiavizzazione dei migranti irregolari, e per la precarizzazione di tutti gli altri. Il mercato ringrazia. Il prolungamento dei tempi di detenzione amministrativa non equivale affatto ad una maggiore efficacia delle procedure di espulsione, perché se manca la collaborazione dei paesi di provenienza, sessanta giorni sono già troppi, e neppure diciotto mesi potranno consentire il rimpatrio effettivo dei destinatari dei provvedimenti di espulsione o di respingimento quando gli stessi paesi di provenienza non abbiano intenzione di collaborare. E’ peraltro noto che, attualmente, meno della metà degli immigrati trattenuti nei CIE italiani viene effettivamente accompagnata in frontiera e dunque l’inasprimento della durata della detenzione amministrativa produrrebbe solo l’effetto di esacerbare le condizioni di trattenimento senza incrementare di una sola unità la effettiva “capacità espulsiva” delle autorità amministrative italiane.
Soltanto per la realizzazione dei “nuovi” CIE per 1500 posti, ammesso che le Regioni non si oppongano, occorre una spesa di 117 milioni di euro, mentre 22 milioni di euro sarebbero necessari per la ristrutturazione degli edifici esistenti. Ed a queste somme si dovrebbero aggiungere altre decine di milioni di euro per realizzare i mille nuovi posti previsti dalla legge 186 del 28 novembre 2008, questi già utilizzabili, con i “brillanti” risultati che si possono verificare con i lavori di adattamento, dichiarati illegittimi e bloccati a metà nella ex base Loran dell’isola di Lampedusa. Insomma saranno necessari oltre duecento milioni di euro per moltiplicare i CIE e finanziare un prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa, misure che non fanno certo aumentare significativamente, come si può verificare dopo il fallimento degli accordi con la Tunisia, il numero degli immigrati effettivamente accompagnati in frontiera.
Tralasciamo i maggiori costi da prevedere per le convalide “a ripetizione” da parte dei giudici di pace, per i difensori d’ufficio e per gli interpreti. Si tratta di altre centinaia di migliaia di euro, per i primi anni e poi dal “2012 e seguenti”, quando l’intero sistema andrà a regime, si calcola un impegno finanziario che ammonterà anche ad alcuni milioni di euro all’anno (esattamente nel 2012 occorreranno 4.872.000 di euro per il patrocinio a spese dello stato e per l’interpretariato). Ma si potrà risparmiare sempre sul patrocinio legale, come osservava la relazione al decreto legge adesso approvato senza la norma che prolungava la durata del trattenimento, “ in considerazione della contenuta complessità dell’assistenza legale connessa alla ripetitività delle udienze di convalida ogni sessanta giorni di permanenza”. Del resto, già oggi, sotto la pressione della polizia, molti avvocati di ufficio non dicono neppure una parola per difendere i loro assistiti, al punto che nei moduli prestampati non c’è neanche un rigo per le loro opposizioni. Ed i diritti di difesa degli immigrati?
5. Quello che è certo, è che in Italia il clima di violenze e gli atti di autolesionismo all’interno dei centri di detenzione amministrativa non potrà che aggravarsi ulteriormente. Da Milano a Lampedusa ormai è un susseguirsi di rivolte, tentativi di fuga ed atti di autolesionismo che solo una ferrea censura riesce a nascondere all’opinione pubblica. Come una ferrea censura di regime ha impedito che si facesse luce sulle tante morti misteriose di migranti, magari per arresto cardiocircolatorio, all’interno di carceri e centri di detenzione, o sui troppi suicidi che ancora si continuano a verificare, da ultimo nel CIE lager di Ponte Galeria. Ma i CIE dovranno essere quadruplicati in conseguenza del prolungamento dei tempi di trattenimento contenuto nel disegno di legge sulla sicurezza, malgrado il Parlamento avesse bocciato la norma per ben due volte. Le comunità locali sapranno reagire ed i piani del governo, almeno da questo punto di vista, ben difficilmente si potranno realizzare nei tempi che sono stati annunciati. Le elezioni passeranno. Ed al governo non resterà forse altra soluzione che moltiplicare i centri di detenzione amministrativi “camuffati” come centri di prima accoglienza, finanziabili con la legge Puglia del 1995, una “prima accoglienza” dietro le sbarre, che potrà durare magari anche mesi, senza lo straccio di un provvedimento di respingimento o di trattenimento. E dove non ci saranno sbarre e porte di ferro saranno impiegati i manganelli per delimitare gli spazi e stabilire le regole di comportamento, come avveniva nel centro Regina Pacis di San Foca a Lecce negli anni passati, e come è avvenuto ancora di recente a Lampedusa, dopo la protesta scoppiata a febbraio e culminata con il rogo del centro di Contrada Imbriacola.
L’apparente successo delle operazioni di respingimento verso la Libia ed il calo degli arrivi di migranti irregolari, registrato nel mese di maggio, non deve illudere nessuno che il territorio di Lampedusa si sia improvvisamente “liberato” dei migranti in fuga dalla Libia che fino a qualche mese fa vi hanno trovato soccorso e rifugio ( con accesso alla procedura di asilo).
Se qualcuno vuole giocare con le statistiche degli sbarchi, come se le persone fossero soltanto numeri, o pedine da giocare per un successo elettorale, attenda almeno la fine dell’estate per cantare vittoria. L’unico dato certo, che va tenuto presente ancora oggi, alla vigilia della visita di Gheddafi in Italia, sono le condizioni indegne di detenzione in Libia che i migranti tutti, e non solo i potenziali richiedenti asilo, continuano a denunciare non appena possono parlare senza essere ascoltati dalla polizia libica ( e da quella italiana). No, non basta proprio imbiancare le pareti di un carcere, magari con i soldi dell’Unione Europea o dell’Italia, per renderlo più umano.