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tratto da Peacereporter.net

In attesa di espulsione

Trentotto giovani del Bangladesh rifugiati da un mese in un bosco di Ceuta, enclave spagnola

Spagna – Ceuta – 22.10.2007
di Carlo Cascione

Da due mesi sono rifugiati in un bosco, nel monte di Ceuta. Sono trentotto giovani, originari del Bangladesh. Non hanno acqua, nè cibo, nè accesso ai servizi igenici. Nessuna associazione li aiuta. Secondo il governo, e anche qualche ONG, “hanno abbandonato, di loro volontà un centro dove ricevevano tutti i servizi basici”. In realtá cercano di sfuggire a un’espulsione quasi sicura. La loro storia non è delle piú drammatiche, nessuno ci ha lasciato la pelle, peró il dolore, silenzioso, è di quelli che segnano una vita. Trentotto vite.

Fughe. Questa fuga è cominciata lo scorso 18 agosto: nel ‘Centro d’Accoglienza Temporanea per Immigranti’ (CETI) dove alloggiavano, si sparge la notizia dell’imminente arrivo del console del Bangladesh. Compito del funzionario: effettuare il riconoscimento dei suoi connazionali, tutti senza passaporto, e dare il via libera all’espulsione. I bengalesi scappano e si nascondono nel bosco. Molti di loro erano arrivati in Spagna piú di due anni fa: le loro mete erano Madrid, Barcellona, Bilbao, non questa disgraziata enclave spagnola in territorio marocchino. Per pagare i 6/7mila euro del viaggio si erano indebitati con le mafie di turno, avevano ipotecato le case dei genitori. Le inondazioni delle scorse settimane ne avevano distrutte alcune. La fuga dal loro paese (quasi tutti hanno chiesto asilo politico, che è stato loro negato) era cominciata passando dall’India, poi da lí – con qualche variante – Mali, Mauritania, deserto del Sahara (“abbiamo viaggiato a piedi per giorni interi, senza mangiare nè bere” raccontano), Algeria, infine Marocco. Molti di loro erano entrati a Ceuta sul sedile posteriore di una moto d’acqua, di notte, scaricati un una spiaggia, senza bagaglio nè documenti. Appena arrivati, avevano ricevuto un ordine di espulsione e l’obbligo di non abbandonare la cittá

Carcere a cielo aperto. Ceuta è una cittadina tre volte piú piccola di Pavia, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 30%. I bengalesi si guadagnavano la vita nei posteggi dei supermercati, tre quattro euro al giorno, quando andava bene, per poter chiamare a casa e dire va tutto bene, chissá forse la settimana prossima ci portano nella peninsula, magari, ojalá. Intanto dal Centro di permanenza temporanea passavano centinaia di persone: quando la struttura si riempiva, l’amministrazione organizzava viaggi alla peninsula, i migranti venivano messi in libertá, sebbene con un’ordine di espulsione pendente. É il massimo che potevano ottenere. Lo scorso luglio avevano detto loro di preparasi, “domani si parte”. Il giorno dopo si era bloccato tutto: “problemi con Madrid”, aveva detto la polizia.

Esternazionalizzazione delle frontiere. Su quali siano questi “problemi con Madrid”, le associazioni che si stanno occupando del caso (pochissime, perchè tutte le altre associazioni e ONG danno la battaglia per persa e quindi se ne disinteressano), hanno qualche idea: “sospettiamo che li stiano utilizzando come moneta di cambio nelle negoziazioni tra il governo spagnolo e quello bengalese per aprire un’ambasciata spagnola in Bangladesh”, ci dice Marina, del collettivo Binario Clandestino. Secondo questa versione, il governo spagnolo chiederebbe a quello del Bangladesh la firma di un accordo definitivo per eseguire automaticamente le espulsioni dei suoi cittadini. A cambio, aprirebbe un’ambasciata in Bangladesh. Accordi definitivi sulle espulsioni la Spagna li ha giá firmati con vari paesi, tra cui Marocco, Senegal e Nigeria. Le associazioni di difesa dei diritti umani denunciano che il governo spagnolo starebbe dando denaro sotto banco (o ‘travestito’ da altro) ai governi che ricevono gli indesiderati e che, addirittura, alcuni paesi starebbero accogliendo nelle proprie frontiere cittadini di altre nazionalitá.

Resistenza. In tutti i modi i trentotto bengalesi resistono. “Non hanno nessuno spirito di ribellione, sono spaventati, la situazione peggiora di giorno in giorno, piove sempre piú frequentemente, non so quanto possano resistere” ci racconta Pepa, una suora che ha visitato l’accampamento. “Molti di loro non smettono di piangere, hanno poco piú di vent’anni”. Se fossero nati qui sarebbero considerati degli adolescenti. Nati in Bangladesh, sono piú semplicemente dei clandestini in attesa di espulsione.